Sono in maggioranza donne e del Sud. Due terzi infermieri, 10.000 i medici.
Sono 35.000 in tutta la sanità secondo la Ragioneria Generale dello stato, il 69% è donna e in gran parte del Sud Italia. Sono i precari della sanità, che un decreto legge, già passato in prima lettura al Senato e ora in Commissione alla Camera, dovrebbe riuscire a stabilizzare. Circa due terzi sono infermieri, 10.000 i medici. Hanno contratti a tempo determinato 29.000 di loro mentre 4000 sono lavoratori interinali. Secondo dati relativi a fine 2011, gli ultimi disponibili, la stragrande maggioranza lavora nelle Asl, circa 26.000, 1500 negli Ircss. Ci sono poi i precari 'a gettone', pagati a singola prestazione che non rientrano in queste stime.
Cococo, a progetto, a ore, a partita iva, diversi contratti un unico comune denominatore: nessuna tutela per malattia, pensione e liquidazione. E sopratutto sempre a rischio di mancato rinnovo del contratto. "Nel 2011 i precari della sanità erano 5000 unità in meno rispetto al 2010, quando toccavano quota 40.000, segno del fatto che non sono stati riconfermati", spiega Massimo Cozza dell'Fp Cgil Medici.
"Chiediamo - prosegue Cozza - la fine del blocco del turn over. Senza questo passo, la stabilizzazione rimane solo una chimera su carta, ma non si può calare nelle realtà aziendali. Urge approvare subito i provvedimenti all’esame del Parlamento e nel frattempo chiediamo una proroga per il tempo necessario a consentire che vengano attuati i percorsi di stabilizzazione". Il fenomeno riguarda soprattutto Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, spiega il segretario del sindacato di categoria Anaao Assomed, Costantino Troise. "Si tratta di personale che in genere presta servizio nei pronto soccorso e al 118, ovvero ricopre servizi essenziali per l’assistenza ai cittadini. E hanno sui 37-38 anni l'età con la quale in genere all'estero si diventa primari. C'è un' espulsione dal mercato del lavoro di intere generazioni di giovani medici che impedisce la trasmissione di conoscenze professionale da una generazione all’altra e che comporta un invecchiamento del personale che si traduce in minore sicurezza nelle cure".
fonte articolo
Sono 35.000 in tutta la sanità secondo la Ragioneria Generale dello stato, il 69% è donna e in gran parte del Sud Italia. Sono i precari della sanità, che un decreto legge, già passato in prima lettura al Senato e ora in Commissione alla Camera, dovrebbe riuscire a stabilizzare. Circa due terzi sono infermieri, 10.000 i medici. Hanno contratti a tempo determinato 29.000 di loro mentre 4000 sono lavoratori interinali. Secondo dati relativi a fine 2011, gli ultimi disponibili, la stragrande maggioranza lavora nelle Asl, circa 26.000, 1500 negli Ircss. Ci sono poi i precari 'a gettone', pagati a singola prestazione che non rientrano in queste stime.
Cococo, a progetto, a ore, a partita iva, diversi contratti un unico comune denominatore: nessuna tutela per malattia, pensione e liquidazione. E sopratutto sempre a rischio di mancato rinnovo del contratto. "Nel 2011 i precari della sanità erano 5000 unità in meno rispetto al 2010, quando toccavano quota 40.000, segno del fatto che non sono stati riconfermati", spiega Massimo Cozza dell'Fp Cgil Medici.
"Chiediamo - prosegue Cozza - la fine del blocco del turn over. Senza questo passo, la stabilizzazione rimane solo una chimera su carta, ma non si può calare nelle realtà aziendali. Urge approvare subito i provvedimenti all’esame del Parlamento e nel frattempo chiediamo una proroga per il tempo necessario a consentire che vengano attuati i percorsi di stabilizzazione". Il fenomeno riguarda soprattutto Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, spiega il segretario del sindacato di categoria Anaao Assomed, Costantino Troise. "Si tratta di personale che in genere presta servizio nei pronto soccorso e al 118, ovvero ricopre servizi essenziali per l’assistenza ai cittadini. E hanno sui 37-38 anni l'età con la quale in genere all'estero si diventa primari. C'è un' espulsione dal mercato del lavoro di intere generazioni di giovani medici che impedisce la trasmissione di conoscenze professionale da una generazione all’altra e che comporta un invecchiamento del personale che si traduce in minore sicurezza nelle cure".
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È presente 1 commento
Vorrei far notare che ora nella sanità (soprattutto IRCCS) i contratti del personale a tempo determinato vengono 'convertiti' a co.co.co., naturalmente mantenendo lo stesso tipo di lavoro di prima e gli stessi doveri, con gli stessi orari fissi: cambiano solo i diritti, che si riducono!....
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