Il Vajont è ogni anno, e ogni giorno dell’anno
Longarone
Youreporternews - Lo sanno bene gli abitanti dei paesi che ogni giorno aprendo i balconi, si trovano faccia a faccia con quel gigantesco muro a doppia curvatura in calcestruzzo (speciale youreporter sul Vajont). Ancora nelle orecchie dei sopravvissuti, quel rumore, quel boato sordo e penetrante che la sera di quel 9 ottobre 1963 si sprigionò dal monte Toc, mentre veniva giù. Erano più di 270 milioni di metri cubi, quelli che scivolarono nel buio e precipitarono nel lago, ad altezza di invaso 710 metri. La roccia, il bosco sovrastante, i pascoli, presero il posto all’acqua, che spinta verso l’alto mangiò i paesi di Erto e Casso, e alcune frazioni. Della gigantesca onda prodotta, una minima parte, 25 milioni di metri cubi d’acqua fangosa riuscirono a superare l’orlo del bicchiere, la diga.
“Avrei voluto vedere Napolitano, il Papa, nel mio paese morto, che sta crollando ma è protetto dalle belle arti e da quella patacca fasulla dell’Unesco – ha commentato amareggiato Mauro Corona, alpinista e scrittore originario di Erto, con l’occhio alla diga – Si va sempre a omaggiare i morti dei terremoti, che si venga a omaggiare anche quelli che ha ucciso lo Stato.”
Youreporternews - Lo sanno bene gli abitanti dei paesi che ogni giorno aprendo i balconi, si trovano faccia a faccia con quel gigantesco muro a doppia curvatura in calcestruzzo (speciale youreporter sul Vajont). Ancora nelle orecchie dei sopravvissuti, quel rumore, quel boato sordo e penetrante che la sera di quel 9 ottobre 1963 si sprigionò dal monte Toc, mentre veniva giù. Erano più di 270 milioni di metri cubi, quelli che scivolarono nel buio e precipitarono nel lago, ad altezza di invaso 710 metri. La roccia, il bosco sovrastante, i pascoli, presero il posto all’acqua, che spinta verso l’alto mangiò i paesi di Erto e Casso, e alcune frazioni. Della gigantesca onda prodotta, una minima parte, 25 milioni di metri cubi d’acqua fangosa riuscirono a superare l’orlo del bicchiere, la diga.
“Avrei voluto vedere Napolitano, il Papa, nel mio paese morto, che sta crollando ma è protetto dalle belle arti e da quella patacca fasulla dell’Unesco – ha commentato amareggiato Mauro Corona, alpinista e scrittore originario di Erto, con l’occhio alla diga – Si va sempre a omaggiare i morti dei terremoti, che si venga a omaggiare anche quelli che ha ucciso lo Stato.”
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