martedì, novembre 05, 2013
Dopo quasi 40 anni di esilio in un quartiere alla periferia di Londra, Leopoldo García può finalmente dire di essere il primo cileno sopravvissuto alla tortura a vincere una causa giudiziaria.  

Amnesty - Alla fine di ottobre 2013, la Corte interamericana dei diritti umani ha stabilito che il Cile dovrà risarcirlo e processare chi lo ha torturato. Ecco la storia di ciò che ha subito, della sua lotta e della sua sopravvivenza. Per Leopoldo García, che oggi ha 80 anni, è impossibile dimenticare anche per un solo giorno le torture patite 40 anni fa sotto il regime di Pinochet. Ogni volta che si guarda allo specchio, ne vede i segni e le cicatrici. "Ho perso i denti e la cicatrice sul volto è la conseguenza di un colpo col calcio di una mitragliatrice. Ho un braccio rotto e danni permanenti alla spina dorsale... un disastro. Ancora oggi convivo con ciò che è accaduto in quel periodo... e sarà così fino alla morte" - spiega Leopoldo García.

Prima del colpo di stato di Pinochet dell'11 settembre 1973, Leopoldo era il responsabile di un ufficio scommesse all'ippodromo della capitale Santiago e militava nel Partito socialista. Il suo incubò iniziò pochi giorni dopo il golpe, il 16 settembre, quando fu arrestato dalla polizia.

Lo portarono alla stazione centrale e lo trattennero in incommunicado senza alcuna accusa. Lo torturarono per costringerlo a rivelare informazioni su altre persone legate al Partito socialista. Ogni due o tre ore, gli agenti gli legavano mani e piedi, lo bendavano, lo colpivano alla testa e la immergevano nell'acqua.

In seguito, Leopoldo fu trasferito allo Stadio nazionale. Le torture proseguirono e s'intensificarono per tre mesi. Trascorse il successivo anno e mezzo nei campi di detenzione di Chacabuco, Tres Alamos e Ritoque. La sua famiglia poté visitarlo solo poche volte.

"Quando mi torturavano pensavo che la mia gente era già morta e che ero rimasto solo io da ammazzare. In quei momenti, pensi al peggio".

Un giorno, praticamente senza preavviso, le autorità informarono Leopoldo che sarebbe stato liberato a condizione che lasciasse il paese.

"Scoprii così che ci stavano per espellere. Pensai che dopo tutto era la nostra salvezza e che tutto sarebbe finito presto".

Il 12 luglio 1975 Leopoldo e alcuni familiari lasciarono il Cile per Londra, senza conoscere l'inglese e portando solo pochi bagagli. Ma quella che sembrava la loro salvezza divenne presto un nuovo capitolo di una lunga e difficile battaglia.

Sopravvivere lontano da casa

Leopoldo è uno delle centinaia di migliaia di cileni che andarono in esilio durante il regime di Pinochet. Adattarsi alla nuova casa fu lento e difficile.

La tortura gli aveva causato una disabilità permanente che gli impediva di lavorare.

"Pensavo che sarei rimasto a Londra un paio d'anni e invece sto qui da quasi 40. È allucinante. Ho perso i miei amici, ho perso tutti, non posso neanche lavorare, non posso fare nulla di quello che facevo in Cile. Mi sento come in una gabbia". Dopo una laboriosa procedura, Leopoldo ottenne alcuni benefici economici che il governo cileno forniva a chi era stato assolto da reati politici. Ma solo in parte: non vivendo in Cile, non poteva accedere ad altre misure di riparazione come le cure mediche per i sopravvissuti alla tortura, che erano fondamentali nel suo caso.

L'esilio, aggravato dalla tortura e dall'assenza di giustizia, ha pesato molto sulla famiglia di Leopoldo. Sua moglie, María Elena Otilia García, non ebbe altra scelta se non lasciare il lavoro in Cile e prendersi cura del marito. Le tre figlie, minorenni all'arrivo a Londra, dovettero intraprendere un nuovo percorso educativo senza parlare l'inglese e in un ambiente culturale assai diverso da quello natio. La famiglia perse tutti i beni e i risparmi che aveva in Cile. Leopoldo e i suoi familiari sono molto grati al Regno Unito ma ricordano ancora quando fu difficile iniziare da capo in un altro paese, quasi 40 anni fa.

"Le nostre tre figlie soffrirono molto l'esilio. Alla fine, sono riuscite ad adattarsi al paese ma c'è voluto tempo, a causa della lingua. La più piccola, che all'epoca aveva quattro anni, dovemmo iscriverla a una scuola speciale e fare terapia del linguaggio. Nessuna di loro è andata all'università nonostante la più grande avesse un ottimo curriculum scolastico e volesse diventare architetta" - racconta María Elena. "Siamo stati anche discriminati. Nel primo appartamento che trovammo, i vicini non ci volevano. Lanciavano le bottiglie del latte e le uova contro la nostra casa, depositavano la loro spazzatura davanti alla nostra porta... Era terribile".

Dopo aver vissuto metà della loro vita a Londra, sentono comunque che è troppo difficile tornare in Cile.

La lunga strada verso la giustizia e la riparazione

Le cose iniziarono a cambiare nell'aprile 1994, quando Leopoldo e la sua famiglia decisero di bussare alla porta di Redress, un'organizzazione londinese per le vittime di tortura.

Fu Redress a suggerire ai García di adire il sistema interamericano di protezione dei diritti umani per chiedere una riparazione allo stato cileno, cosa che accadde nel maggio 2002.

La Commissione interamericana dei diritti umani ammise il caso nell'ottobre 2005 e, nel 2011, lo deferì alla Corte interamericana dei diritti umani

Gli avvocati di Redress sostenevano, nella causa, che né Leopoldo né i suoi familiari avessero avuto accesso alla giustizia o a una riparazione adeguata. Chiedevano al Cile di rimuovere tutti gli ostacoli che impedivano a Leopoldo e ad altre persone l'accesso alla giustizia, come ad esempio la Legge d'amnistia. Sostenevano che il vitalizio che Leonardo riceveva dallo stato cileno come persona assolta da reati politici dovesse essere ricalcolato alla luce del maggiore costo della vita a Londra e infine sollecitavano la restituzione dei risparmi che aveva in Cile.

La Corte ha sentenziato che il Cile deve svolgere con la massima urgenza possibile l'indagine sulle violazioni dei diritti umani subite da Leopoldo e assicurare i responsabili alla giustizia. La Corte ha inoltre stabilito che Leopoldo ha diritto a un risarcimento.

"È una sentenza positiva. Ora lo stato cileno deve garantire che Leopoldo García possa vedere in un'aula giudiziaria coloro che lo hanno torturato" - ha dichiarato Guadalupe Marengo, vicedirettrice del Programma Americhe di Amnesty International.

Per la prima volta, dunque il sistema interamericano di protezione dei diritti umani ha emesso un verdetto su una persona torturata sotto il regime di Pinochet. Per Leopoldo, è ovvio che il Cile debba prendersi la responsabilità di quanto gli fu fatto 40 anni fa e delle conseguenze che l'esilio ha avuto su di lui e sulla sua famiglia.

"Sono molto grato all'Inghilterra per avermi dato ospitalità. Morirò qui, ma è il Cile che deve assumerne la responsabilità. Io non sono inglese. Sono cileno".

In occasione del 40esimo anniversario del golpe in Cile, l'11 settembre 2013, Amnesty International ha pubblicato storie e testimonianze dell'epoca. Approfondisci.


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