Ieri il ministro dell’Ambiente della Polonia Marcin Korolec (nella foto), presidente della 19esima conferenza sui cambiamenti climatici di Varsavia (Cop19), ha risposto, in un briefing, alle domande della società civile. Korolec ha confermato la volontà di improntare la sua presidenza ad un processo inclusivo ed aperto, ha sottolineato la peculiarità dei negoziati: la ricerca del consenso, la sua ambizione di non fare nessuna forzatura per accordi giuridicamente vincolanti ma parziali, ma di lavorare per un accordo globale, ratificato da tutti i paesi e quindi applicabile da tutti.
GreenReport -Non è facile, ci sono 190 paesi, con 190 interessi diversi, 190 problemi diversi, paesi estremamente vulnerabili ai fenomeni estremi provocati dai cambiamenti climatici, paesi i cui popoli subiscono carestie, fame, carenza di acqua per la siccità causata dai cambiamenti climatici, paesi le cui popolazioni sono costretti alle migrazioni climatiche, paesi con un’economia fortemente connessa all’uso del carbone e dei combustibili fossili, paesi in via di sviluppo con una popolazione che lotta per uscire dalla povertà.
Ci sono interessi contrapposti, quelli della società civile, quelli delle multinazionali sia in campo energetico che alimentare, quelli delle popolazioni indigene che rivendicano il diritto a vivere nelle proprie terre, rispettando costumi e tradizioni. Non è facile trovare la convergenza fra interessi contrapposti e diverse responsabilità e capacità finanziarie e tecnologiche.
Tre interventi, meglio di altri, hanno rappresentato nel briefing di ieri, lo spaccato delle contrapposizioni che devono essere ricomposte nei negoziati della conferenza.
Il primo di un rappresentante di Climate Justice Filippine, che ha ringraziato per la solidarietà che tutti esprimono al popolo delle filippine in questi giorni, ma ha rivendicato la necessità di aiuti immediati e ha denunciato con forza la responsabilità dei combustibili fossili, in particolare il carbone, come causa dei cambiamenti climatici che hanno scatenato il tifone che ha devastato il suo paese. Il carbone è per lui il killer che ha ucciso i fratelli e le sorelle filippini.
Il secondo è l’intervento di un rappresentante di una ONG sudanese che ha rimarcato la propria difficoltà a tornare a casa al termine della conferenza senza avere niente di concreto da riportare alla sua popolazione che muore di fame ed è costretta ad emigrare per gli effetti dei cambiamenti climatici: «Come posso dirgli che devono aspettare la COP20 o la COP21 di Parigi?». Il terzo è stato un passaggio del presidente Korolec che, nel rispondere alle domande della platea, ha affermato che il problema non è il carbone ma come viene usato, sostenendo l’importanza della ricerca di tecnologie che consentano di utilizzarlo in sicurezza.
I primi due interventi sono gridi di denuncia e di dolore, rappresentano la voce di popoli che rivendicano diritti umanitari violati dagli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, il terzo, insistendo sulla necessità di fare ricerca tecnologica sul carbone invece che sull’efficienza energetica e sull’suo delle fonti rinnovabili, rappresenta la posizione di un sistema economico che, in nome del profitto di pochi, lotta contro il bene comune, la transizione giusta a un nuovo modello di sviluppo sostenibile, l’unico in grado di garantire giustizia sociale, lavoro dignitoso, sicurezza alimentare, un futuro per le prossime generazioni.
GreenReport -Non è facile, ci sono 190 paesi, con 190 interessi diversi, 190 problemi diversi, paesi estremamente vulnerabili ai fenomeni estremi provocati dai cambiamenti climatici, paesi i cui popoli subiscono carestie, fame, carenza di acqua per la siccità causata dai cambiamenti climatici, paesi le cui popolazioni sono costretti alle migrazioni climatiche, paesi con un’economia fortemente connessa all’uso del carbone e dei combustibili fossili, paesi in via di sviluppo con una popolazione che lotta per uscire dalla povertà.
Ci sono interessi contrapposti, quelli della società civile, quelli delle multinazionali sia in campo energetico che alimentare, quelli delle popolazioni indigene che rivendicano il diritto a vivere nelle proprie terre, rispettando costumi e tradizioni. Non è facile trovare la convergenza fra interessi contrapposti e diverse responsabilità e capacità finanziarie e tecnologiche.
Tre interventi, meglio di altri, hanno rappresentato nel briefing di ieri, lo spaccato delle contrapposizioni che devono essere ricomposte nei negoziati della conferenza.
Il primo di un rappresentante di Climate Justice Filippine, che ha ringraziato per la solidarietà che tutti esprimono al popolo delle filippine in questi giorni, ma ha rivendicato la necessità di aiuti immediati e ha denunciato con forza la responsabilità dei combustibili fossili, in particolare il carbone, come causa dei cambiamenti climatici che hanno scatenato il tifone che ha devastato il suo paese. Il carbone è per lui il killer che ha ucciso i fratelli e le sorelle filippini.
Il secondo è l’intervento di un rappresentante di una ONG sudanese che ha rimarcato la propria difficoltà a tornare a casa al termine della conferenza senza avere niente di concreto da riportare alla sua popolazione che muore di fame ed è costretta ad emigrare per gli effetti dei cambiamenti climatici: «Come posso dirgli che devono aspettare la COP20 o la COP21 di Parigi?». Il terzo è stato un passaggio del presidente Korolec che, nel rispondere alle domande della platea, ha affermato che il problema non è il carbone ma come viene usato, sostenendo l’importanza della ricerca di tecnologie che consentano di utilizzarlo in sicurezza.
I primi due interventi sono gridi di denuncia e di dolore, rappresentano la voce di popoli che rivendicano diritti umanitari violati dagli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, il terzo, insistendo sulla necessità di fare ricerca tecnologica sul carbone invece che sull’efficienza energetica e sull’suo delle fonti rinnovabili, rappresenta la posizione di un sistema economico che, in nome del profitto di pochi, lotta contro il bene comune, la transizione giusta a un nuovo modello di sviluppo sostenibile, l’unico in grado di garantire giustizia sociale, lavoro dignitoso, sicurezza alimentare, un futuro per le prossime generazioni.
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