Filppine: il presidente Benigno Aquino III, in visita nelle aree colpite dal tornado, ammete carenze negli aiuti
Le operazioni di soccorso nelle Filippine centrali, sostenute massicciamente dall’estero e con il contributo determinante delle forze armate filippine, sembrano prendere slancio raggiungendo aree finora isolate.
Misna - Determinanti in questa fase i mezzi navali e la ventina di elicotteri messi a disposizione dalla Marina statunitense, presi d’assalto – senza conseguenze – in alcune aree dalla popolazione affamata e assetata. In troppi, ha ancora avvisato la responsabile delle attività umanitarie delle Nazioni Unite, Valerie Amos, restano senza il necessario nelle regioni montuose dell’interno. Le piogge aggravano la situazione dei 600mila senzatetto per fonti ufficiali, 900mila secondo fonti Onu, di cui meno della metà ospitati nei campi di raccolta governativi. Gli ultimi dati ufficiali, diffusi ieri, indicano in 3.974 i morti accertati, 12.544 i feriti, 1.186 i dispersi. La situazione resta generalmente confusa, come pure i dati, con stime diverse tra autorità filippine e organismi internazionali.
Da ieri nelle aree colpite si trova anche il presidente Benigno Aquino III. Sottoposto a critiche all’interno e fuori per l’inadeguatezza dei soccorsi, il presidente è arrivato a Tacloban, dove resterà fino a quando non verificherà con certezza “che la città si avvia a superare l’emergenza”. Il presidente ha confermato che l’impegno di agenzie governative, forze armate e volontari è insufficiente. Allo stesso tempo ha riconosciuto che l’intervento della comunità internazionale valutato finora in 248 milioni di dollari, non ha raggiunto molti che ancora restano in stato di necessità.
Ieri, dove possibile, nelle aree devastate si sono tenuto le cerimonie religiose domenicali. Di particolare significato quella nella Chiesa del Santo Niño a Tacloban, città-simbolo della catastrofe m anche delle difficoltà dell’emergenza, dove 500 persone hanno affollato l’edificio semidistrutto, in parte trasformato in centro di raccolta di sfollati.
Anche nelle chiese all’estero frequentate dalle consistenti comunità di emigrati filippini, si è ricordata la tragedia delle Visayas. A Hong Kong, diverse parrocchie sono diventate il centro della raccolta di aiuti da parte dei 133.000 filippini che vi lavorano.
Intanto, dopo aver proclamato pochi giorni fa una tregua provvisoria sui territori devastati dal super-tifone, i ribelli maoisti del Nuovo esercito del popolo hanno accusato gli Stati Uniti di sfruttare la tragedia locale per incrementare la presenza militare sul territorio filippino. “Quello di cui le vittime hanno urgente bisogno – hanno sottolineato in un comunicato – sono cibo acqua e assistenza medica, non navi da guerra che portano razioni d’emergenza per giustificare una presenza armata nelle acque territoriali filippine”.
Il paese prova anche a guardare oltre l’emergenza. Il segretario dell’Istruzione Armin Luistro ha chiesto alle autorità scolastiche in tutte le aree disastrate di riaprire le aule ovunque possibile, anche nei campi profughi, almeno per verificare numero e identità degli studenti. Si stimano in 3200 le scuole distrutte dal tifone.
Da ieri nelle aree colpite si trova anche il presidente Benigno Aquino III. Sottoposto a critiche all’interno e fuori per l’inadeguatezza dei soccorsi, il presidente è arrivato a Tacloban, dove resterà fino a quando non verificherà con certezza “che la città si avvia a superare l’emergenza”. Il presidente ha confermato che l’impegno di agenzie governative, forze armate e volontari è insufficiente. Allo stesso tempo ha riconosciuto che l’intervento della comunità internazionale valutato finora in 248 milioni di dollari, non ha raggiunto molti che ancora restano in stato di necessità.
Ieri, dove possibile, nelle aree devastate si sono tenuto le cerimonie religiose domenicali. Di particolare significato quella nella Chiesa del Santo Niño a Tacloban, città-simbolo della catastrofe m anche delle difficoltà dell’emergenza, dove 500 persone hanno affollato l’edificio semidistrutto, in parte trasformato in centro di raccolta di sfollati.
Anche nelle chiese all’estero frequentate dalle consistenti comunità di emigrati filippini, si è ricordata la tragedia delle Visayas. A Hong Kong, diverse parrocchie sono diventate il centro della raccolta di aiuti da parte dei 133.000 filippini che vi lavorano.
Intanto, dopo aver proclamato pochi giorni fa una tregua provvisoria sui territori devastati dal super-tifone, i ribelli maoisti del Nuovo esercito del popolo hanno accusato gli Stati Uniti di sfruttare la tragedia locale per incrementare la presenza militare sul territorio filippino. “Quello di cui le vittime hanno urgente bisogno – hanno sottolineato in un comunicato – sono cibo acqua e assistenza medica, non navi da guerra che portano razioni d’emergenza per giustificare una presenza armata nelle acque territoriali filippine”.
Il paese prova anche a guardare oltre l’emergenza. Il segretario dell’Istruzione Armin Luistro ha chiesto alle autorità scolastiche in tutte le aree disastrate di riaprire le aule ovunque possibile, anche nei campi profughi, almeno per verificare numero e identità degli studenti. Si stimano in 3200 le scuole distrutte dal tifone.
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