venerdì, novembre 15, 2013
La Striscia di Gaza, prigioniera del crudele embargo israeliano e isolata dalla nuova chiusura della frontiera con l’Egitto, vive la sua ennesima crisi umanitaria. 

GreenReport - Questa volta a mettere a rischio la salute e il benessere dei palestinesi non è un attacco israeliano ma un depuratore che serve 120.000 persone e che è andato in tilt per mancanza di carburante che non arriva nella Striscia di Gaza a causa dell’embargo. L’acqua delle fogne ha allagato interi quartieri di quella che viene definita la più grande galera all’aperto del mondo ed il municipio di Gaza City ha dichiarato lo stato di emergenza ambientale. Sa’ad el-Deen al-Tbash, uno dei responsabili del municipio di Gaza, ha chiesto aiuto: «E’ l’inizio di una catastrofe e se il mondo non sentirà ora il nostro pianto, un vero disastro colpirà Gaza e la sua gente. Questa è una questione umanitaria, non politica. I bambini di Gaza non hanno fatto nulla per meritarsi di sguazzare nelle fogne».

I palestinesi si lamentano soprattutto perché la chiusura del valico e dei tunnel dei contrabbandieri che collegavano la Striscia di Gaza all’Egitto hanno causato una carenza di combustibile che ha portato a continui blackout, anche perché l’unica centrale elettrica di Gaza produce 65 Megawatt, un terzo dei consumi di energia della Striscia. L’Egitto ha anche bloccato i rifornimenti di combustibile a Gaza provenienti dal Qatar, accusato (a ragione) di finanziare i guerriglieri integralisti che attaccano le forze di sicurezza egiziane nella penisola del Sinai. Paradossalmente l’unico carburante che arriva a Gaza viene da Israele, che se lo fa pagare molto caro.

Ma anche il governo della Striscia non sta certamente dando buona prova di sé: mentre ieri i liquami traboccavano dal depuratore, a pochi chilometri di distanza Hamas celebrava in pompa magna, con una parata militare, la battaglia contro l’esercito israeliano dell’anno scorso. Intanto, mentre l’acqua di fogna aveva già sommerso le ruote delle auto parcheggiate ed il puzzo ammorbava la città, Raed Saad, un alto comandante di Hamas ricomparso in pubblico per la prima volta dopo anni, spiegava dove vanno a finire molti dei soldi che a Gaza potrebbero servire a far stare un po’ meglio la gente: «I nostri combattenti sono più capaci, pronti e preparati. I nostri piani sono più completi e il nostro arsenale è più sviluppato».

La battaglia iniziata del 14 novembre 2012 si scateno dopo che Israele assassinò il comandante militare di Hamas, Ahmad Jabari, come ritorsione per l’aumento del lanci di razzi da Gaza verso Israele. Nella prima settimana di guerra Israele effettuò centinaia di attacchi aerei contro obiettivi militanti, mentre Hamas e altri gruppi armati palestinesi spararono centinaia di razzi su Israele. In tutto rimasero uccisi 161 palestinesi, la maggioranza civili, e 5 israeliani sono morti. E’ stata la battaglia più feroce dopo l’offensiva israeliana di tre settimane all’inizio del 2009, quando morirono 1.400 palestinesi, tra cui centinaia di civili, e 13 israeliani.

E’ questo che Hamas celebra armata di tutto punto, mentre la sua gente sguazza nelle fogne per raggiungere case senza luce elettrica. Ma sarà difficile riportare la pace a Gaza e liberarla se all’onore per i martiri morti non si sostituirà la pietà e la solidarietà per i vivi.

di Umberto Mazzantini


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