L’Istituto per la ricerca sulle acque (Irsa) del Cnr ha condotto un progetto di ricerca durato due anni volto a valutare il rischio ambientale e sanitario derivante dalla contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche (Pfas) nel bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani. I risultati sono stati esposti nell’ambito di un convegno svoltosi presso l’Area della ricerca del Cnr di Milano.
Almanacco della Scienza - CNR - Il progetto, inquadrato nell’ambito di una convenzione tra l’Irsa e il ministero dell’Ambiente (Direzione generale per le valutazioni ambientali), ha rappresentato il primo studio completo sulla distribuzione e le sorgenti, nei principali bacini idrici italiani, dei composti perfluoroalchilici. Queste sostanze chimiche di sintesi hanno particolari caratteristiche fisico-chimiche - repellenza all’acqua e ai grassi, stabilità termica e tensioattività – che le rendono utili in numerose applicazioni industriali e prodotti di largo consumo, ad esempio nella lavorazione di tessuti, tappeti, carta, contenitori per alimenti. Obiettivo dell’indagine, misurare le concentrazioni di tali composti, identificarne le sorgenti e valutare il rischio sulla salute relativo al consumo di acqua potabile e agli alimenti allevati in acqua come i mitili.
“Le campagne di monitoraggio sono state condotte sui bacini di Po, Tevere, Adige e Arno, e in aree di transizione come il delta del Po e la laguna di Venezia, concentrandosi in particolare su alcune aree critiche per la presenza di scarichi di impianti per la produzione di fluoroderivati, come il sito industriale in provincia di Alessandria che scarica nel fiume Bormida, sul bacino del Po”, spiega Stefano Polesello dell’Irsa-Cnr. “In generale la qualità delle acque potabili ricavate dai fiumi e dei mitili allevati nelle lagune deltizie sono risultati a basso rischio per il consumatore. Ha invece destato allarme la significativa concentrazione di Pfas nelle acque superficiali e potabili di una zona del Veneto in provincia di Vicenza influenzata dalla presenza di un impianto fluoro chimico. Qui abbiamo misurato concentrazioni di acido perfluoroottanoico (Pfoa) superiori a 1.000 ng/L e di composti perfluoroalchilici superiori a 2.000 ng/L. A seguito dei dati rilevati le autorità locali hanno immediatamente messo in atto una serie di interventi di contenimento”.
Le sostanze perfluoroalchiliche tendono ad accumularsi in sangue e fegato, con un tempo di escrezione nell’ordine degli anni. La tossicità acuta di questi composti è bassa e gli effetti vanno dall'interferenza nel metabolismo dei grassi alla sospetta azione estrogenica e cancerogena.
Fonte: Stefano Polesello, Istituto di ricerca sulle acque, Brugherio, tel. 039/21694218 , email polesello@irsa.cnr.it
Almanacco della Scienza - CNR - Il progetto, inquadrato nell’ambito di una convenzione tra l’Irsa e il ministero dell’Ambiente (Direzione generale per le valutazioni ambientali), ha rappresentato il primo studio completo sulla distribuzione e le sorgenti, nei principali bacini idrici italiani, dei composti perfluoroalchilici. Queste sostanze chimiche di sintesi hanno particolari caratteristiche fisico-chimiche - repellenza all’acqua e ai grassi, stabilità termica e tensioattività – che le rendono utili in numerose applicazioni industriali e prodotti di largo consumo, ad esempio nella lavorazione di tessuti, tappeti, carta, contenitori per alimenti. Obiettivo dell’indagine, misurare le concentrazioni di tali composti, identificarne le sorgenti e valutare il rischio sulla salute relativo al consumo di acqua potabile e agli alimenti allevati in acqua come i mitili.
“Le campagne di monitoraggio sono state condotte sui bacini di Po, Tevere, Adige e Arno, e in aree di transizione come il delta del Po e la laguna di Venezia, concentrandosi in particolare su alcune aree critiche per la presenza di scarichi di impianti per la produzione di fluoroderivati, come il sito industriale in provincia di Alessandria che scarica nel fiume Bormida, sul bacino del Po”, spiega Stefano Polesello dell’Irsa-Cnr. “In generale la qualità delle acque potabili ricavate dai fiumi e dei mitili allevati nelle lagune deltizie sono risultati a basso rischio per il consumatore. Ha invece destato allarme la significativa concentrazione di Pfas nelle acque superficiali e potabili di una zona del Veneto in provincia di Vicenza influenzata dalla presenza di un impianto fluoro chimico. Qui abbiamo misurato concentrazioni di acido perfluoroottanoico (Pfoa) superiori a 1.000 ng/L e di composti perfluoroalchilici superiori a 2.000 ng/L. A seguito dei dati rilevati le autorità locali hanno immediatamente messo in atto una serie di interventi di contenimento”.
Le sostanze perfluoroalchiliche tendono ad accumularsi in sangue e fegato, con un tempo di escrezione nell’ordine degli anni. La tossicità acuta di questi composti è bassa e gli effetti vanno dall'interferenza nel metabolismo dei grassi alla sospetta azione estrogenica e cancerogena.
Fonte: Stefano Polesello, Istituto di ricerca sulle acque, Brugherio, tel. 039/21694218 , email polesello@irsa.cnr.it
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