mercoledì, novembre 13, 2013
Nell'ambito del dialogo ecumenico tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa russa, il cardinal Angelo Scola svolge una riflessione sul laicato  

Aleteia - Descrivere il fedele laico a partire dall’insegnamento del Concilio Vaticano II implica considerare la sua identità in termini di vocazione-missione (Christifideles laici 2, 8-9). Egli, infatti, riceve la propria identità nel battesimo ordinato all’Eucaristia che lo costituisce membro del Corpo di Cristo e quindi lo radica essenzialmente ed esistenzialmente nell’appartenenza ecclesiale (anche la realtà dei carismi e dei ministeri trova la sua ragion d’essere in questa radice sacramentale), inviandolo al mondo quale testimone: «L'inserimento in Cristo per mezzo della fede e dei sacramenti dell'iniziazione cristiana è la radice prima che origina la nuova condizione del cristiano nel mistero della Chiesa, che costituisce la sua più profonda “fisionomia”, che sta alla base di tutte le vocazioni e del dinamismo della vita cristiana dei fedeli laici: in Gesù Cristo, morto e risorto, il battezzato diventa una “creatura nuova” (Gal 6, 15; 2 Cor 5, 17), una creatura purificata dal peccato e vivificata dalla grazia. In tal modo, solo cogliendo la misteriosa ricchezza che Dio dona al cristiano nel santo Battesimo è possibile delineare la “figura” del fedele laico» (ChL 9).

In questo modo possiamo dire, con un’espressione sintetica, che l’identità del fedele laico è quella del testimone nel mondo: questa affermazione se ben intesa rivela anche il contenuto proprio dell’indole secolare caratteristica del fedele laico: «Il Concilio descrive la condizione secolare dei fedeli laici indicandola, anzitutto, come il luogo nel quale viene loro rivolta la chiamata di Dio: “Ivi sono da Dio chiamati”. Si tratta di un “luogo” presentato in termini dinamici: i fedeli laici “vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta”. (…) Il “mondo” diventa così l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo» (ChL 15). Il testimone, quando è autentico, fa sempre spazio all’interlocutore e a tutte le sue domande, di qualunque tipo esse siano: «Non ci sono confini, non ci sono limiti» (Papa Francesco, Santa Messa per la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù, 28 luglio 2013). Non è certo un ripetitore di teorie o di dottrine cristallizzate, ma vive delle stesse domande del suo interlocutore, poiché è immerso in quel medesimo campo che è il mondo. Non esistono infatti domande dei nostri contemporanei che non siano nostre; le “periferie esistenziali” – per usare l’espressione di Papa Francesco – sono anzitutto i confini della nostra stessa esperienza umana. Con una bella espressione Benedetto XVI approfondisce la dinamica della testimonianza affermando che essa «è il mezzo con cui la verità dell'amore di Dio raggiunge l'uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell'uomo» (Sacramentum Caritatis 85).

La precisazione di Benedetto XVI – Dio raggiunge l’uomo nella storia – appare decisiva. Infatti la categoria di testimonianza si rifà da una parte alla fisionomia stabilmente costitutiva del cristiano in quanto seguace di Cristo ma, dall’altra, qualifica la dimensione secolare della Chiesa tutta, e quindi anche la specifica indole secolare del fedele laico, come una realtà che non è possibile predeterminare in astratto. Diceva Giovanni Paolo II sempre nel n. 15 di Christifideles laici: «Come diceva Paolo VI, la Chiesa “ha un'autentica dimensione secolare, inerente alla sua intima natura e missione, la cui radice affonda nel mistero del Verbo Incarnato, e che è realizzata in forme diverse per i suoi membri”. La Chiesa, infatti, vive nel mondo anche se non è del mondo (cf. Gv 17, 16) ed è mandata a continuare l'opera redentrice di Gesù Cristo, la quale “mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l'ordine temporale”. Certamente tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono in forme diverse. In particolare la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il Concilio, è loro “propria e peculiare”: tale modalità viene designata con l'espressione “indole secolare”». L’indole secolare non può essere pensata a tavolino, ma essendo sempre storicamente determinata, deve essere guadagnata in ogni tempo. Dall’interno delle singolari circostanze vocazionali di ogni cristiano e dei tratti socio-culturali propri dell’agire “qui ed ora” cui è chiamato dalla sua indole secolare si deve, infatti, dire quel che Guardini diceva del lavoro di trasfigurare la natura a partire dalla grazia: esso è «qualcosa che incombe come compito. Emergente continuamente alla luce (…) Il compito ha il carattere d’esser sempre posto e sempre di nuovo rimesso in questione».

In questo contesto parlare di indole secolare significa parlare della missione della Chiesa e, quindi, dei fedeli laici, come intrinsecamente segnata dalla storia. La domanda circa l’identità del fedele laico diventa pertanto essenzialmente pratica. Si tratta di individuare come oggi l’indole secolare della Chiesa e, quindi, dei laici debba venir declinata. Ciò equivale ad identificare i tratti essenziali della missione ecclesiale dei fedeli laici all’inizio del terzo millennio cristiano. Qui diventa decisiva la questione della vocazione-missione dei fedeli laici in Russia. I laici sono chiamati a testimoniare nel mondo la bellezza della loro fede. Questa testimonianza integrale, sempre storicamente situata, che valorizza carismi e ministeri, è anche, in forza dell’indole secolare, il dono più grande che possiamo fare ai nostri fratelli uomini in vista dell’edificazione della vita buona personale e sociale e del buon governo. Ecco perché Charles Péguy, nel suo stile inconfondibile, afferma che i cristiani sono «i più civici fra gli uomini (...), eredi degli antichi civici, universalmente, eternamente civici».


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