Tifone nelle Filippine, scatta la solidarietà internazionale: primi aiuti di Papa Francesco
Radio Vaticana - È destinato a salire il bilancio delle vittime del tifone Haiyan che ha devastato negli ultimi giorni le Filippine. Le autorità locali parlano di oltre 10 mila morti, ma le stime cambiano di ora in ora: i dispersi sono almeno duemila. Secondo i meteorologi, Haiyan starebbe perdendo forza: stamani ha toccato terra in Vietnam. All’Angelus domenicale l’accorato appello e la preghiera di Papa Francesco per le popolazioni colpite. Attraverso il Pontificio Consiglio Cor Unum, il Santo Padre ha stabilito di inviare un primo contributo di 150 mila dollari per il soccorso ai sinistrati. Il servizio di Giada Aquilino: ascolta
I sopravvissuti ''si muovono come zombie''. È l’immagine che i soccorritori stanno usando man mano che arrivano nei luoghi colpiti dal passaggio del tifone Haiyan, localmente chiamato Yolanda. La zona più disastrata è quella della regione centrale delle Filippine, in particolare le isole di Samar e Leyte. Il capoluogo di Leyte, Tacloban, è praticamente raso al suolo: non c’è luce elettrica, mancano acqua potabile e cibo. Ma, pur nella devastazione, è venuta alla luce una bimba, Bea Joy, nata in un ospedale da campo. Intanto, ci sono ancora intere comunità isolate, dalle quali purtroppo non arrivano segni di vita. E poi sono entrati in azione i saccheggiatori che hanno razziato le rovine dei supermercati e i distributori di benzina. Una banda ha attaccato un convoglio di camion carico di cibo, tende e medicine. Intanto la macchina degli aiuti è partita, con la mobilitazione nazionale voluta dal presidente Benigno Aquino, che ha proclamato lo stato di calamità naturale. Le ultime stime indicano che fino a 4 milioni di bambini potrebbero essere stati colpiti dal disastro: per questo l'Unicef sta accelerando l'invio di aiuti d'emergenza e ha approntato una raccolta fondi (unicef.it). Anche Medici Senza Frontiere è operativo per l’emergenza: già arrivata a Cebu una prima equipe, mentre 200 tonnellate di materiali medico-logistici giungeranno nei prossimi giorni (medicisenzafrontiere.it). La Conferenza episcopale italiana ha stanziato tre milioni di euro (dai fondi derivanti dall’otto per mille, da destinarsi alla prima emergenza) e la Caritas Italiana 100.000 euro (caritas.it). In un comunicato della Fondazione Migrantes, le comunità cattoliche filippine in Italia hanno espresso dolore e preoccupazione per quanto avvenuto in Patria: sono oltre 150.000 i filippini che vivono e lavorano in Italia, la maggioranza dei quali cattolici. A Roma sono 34 mila, a Milano 35 mila.
Per un quadro della situazione, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Manila Josephine Ignacio, coordinatrice programmi d’emergenza della Caritas Filippine–National Secretariat for Social Action (Nassa): ascolta
R. – What the church is doing is: we are contacting neighbouring dioceses … Quello che la Chiesa sta facendo è prendere contatto con le diocesi vicine per chiedere aiuto, soprattutto per quanto riguarda il rifornimento di cibo alla gente di Tacloban. Ce ne sono alcune che non hanno riportato gravi danni dal passaggio del tifone ed hanno riserve di riso, l’economia locale è ancora vitale, hanno il mercato e negozi di alimentari; per questo abbiamo dato denaro in cambio di generi di prima necessità ancora imballati, da destinare alla gente di Tacloban. Tutto ciò è coordinato dalla Chiesa. Noi siamo la task-force che, messa in campo per far fronte all’emergenza provocata dal tifone Yolanda, raggruppa sei diocesi filippine; stiamo cercando di mettere insieme 15 milioni, come donazione iniziale, per le 11 diocesi nelle quali abbiamo rilevato i danni più gravi.
D. – Di cosa ha bisogno la popolazione oggi?
R. – They need everything. They have lost everything. We try to supply them with … Hanno bisogno di tutto. Hanno perso tutto. Ci stiamo impegnando intanto a fornire riso, ma ci dicono che hanno bisogno anche di cibo pronto, perché hanno perso tutte le attrezzature per cucinare. E hanno bisogno anche di acqua. In tutto questo, l’aeroporto è chiuso, perché l’edificio è danneggiato e il radar non funziona, tutto è stato spazzato via. Il governo, i soldati hanno limitato l’accesso ai soli aerei che portano beni da destinare alle aree colpite. Per questo dobbiamo trovare altre strade per fare arrivare quello che serve. Il governo fornisce gli aiuti che arrivano via aria e noi - come Chiesa - ci siamo mobilitati per ottenere aiuti via terra. Facciamo il possibile, cerchiamo continuamente strategie nuove per raggiungere le persone che sono ancora a Tacloban e nelle zone disastrate.
D. – Qual è la speranza della Chiesa delle Filippine e anche della Caritas locale?
R. – The generosity of all and … well, if you look at Tacloban, it’s really such a … La generosità di tutti. Certo, se guardiamo a Tacloban, la situazione è veramente disperata; le altre diocesi cercano di portare aiuto, come ad esempio la diocesi di Bohol che ha subito un terremoto grave: perfino loro stanno mandando aiuti a Tacloban. Si cercano modi per far giungere i generi di prima necessità, quello che si ha, alla gente disperata. Nell’arco di tre settimane qui c’è stato un forte terremoto e tre tifoni, ed è in arrivo – per questa notte o per domani – un altro tifone: è previsto che passi vicino Cebu, Bohol e nella parte settentrionale di Mindanao. Quindi, in realtà facciamo affidamento gli uni sugli altri, facciamo affidamento su quello che ciascun buon cristiano può fare per aiutare il prossimo.
Il cataclisma che ha devastato le Filippine "può anche essere il peggiore mai visto prima al mondo" ma la fede in Dio della popolazione è "anche più forte". Sono le parole del presidente della Conferenza episcopale filippina, mons. Jose Palma, contenute nel messaggio rivolto a una popolazione in ginocchio. Mons. Palma sottolinea che "nessuna calamità o disastro naturale può spegnere il fuoco della speranza” e, assicurando la presenza e la partecipazione al dolore dell'intera Conferenza episcopale, invita i fedeli a rivolgersi a Dio "in questo momento di calamità nazionale" come ogni filippino ha sempre fatto "negli ultimi 400 anni". Da oggi al 19 novembre in tutto il Paese si tiene una novena di preghiera. Laura Ieraci, del programma inglese della nostra emittente, ha intervistato mons. Pedro Quitorio, responsabile per il rapporto con i media della Conferenza episcopale filippina: ascolta
R. – There will be a lot of dioceses where the typhoon went through, but … Sicuramente ci sono molte diocesi colpite dal tifone, ma le più devastate sono quelle nelle isole di Samar e Leyte, e più particolarmente la diocesi di Borongan e l’arcidiocesi di Palo. Nella diocesi di Borongan, la prima terra toccata dal tifone, abbiamo numerose chiese devastate; quelle che si sono trovate nell’occhio centrale del ciclone sono quelle di Guiuan, nella parte orientale di Samar. Una chiesa è antica di centinaia di anni, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco, ed è stata completamente rasa al suolo; quello che rimane è solo il campanile, che era separato dall’edificio centrale; il tetto è stato completamente smantellato… rimangono i muri portanti sui due lati della chiesa. Tutto il resto è stato devastato. Anche le case intorno a questa parrocchia sono distrutte per quasi il 90 per cento. L’altra chiesa distrutta si trova nell’arcidiocesi di Palo, sull’isola di Leyte, ed è la chiesa di Santo Niño. Questa chiesa, che è anche santuario, era simbolo della fede cattolica nell’area: nella chiesa era conservata l’immagine del Santo Niño, patrono dell’arcidiocesi di Palo. La distruzione al di fuori della chiesa è immensa, per quanto riguarda la popolazione: si stima, a tutt’oggi, che le persone disperse e i senzatetto superino varie migliaia. Ieri, in un primo momento, si pensava che potessero essere un migliaio, ma alcuni rapporti parlano di oltre 10 mila morti. Particolarmente devastata la città di Tacloban, che fa parte dell’arcidiocesi di Palo. Anche nella diocesi di Borongan ci sono stati morti, ma finora non abbiamo cifre esatte, perché tutte le linee di comunicazione sono state interrotte, non c’è corrente elettrica e non siamo riusciti a conoscere la situazione esatta. Nemmeno le grandi organizzazioni umanitarie hanno saputo dire con precisione quale sia la situazione in quelle zone.
Sull’entità della catastrofe, Giada Aquilino ha intervistato Paolo Beccegato, vicedirettore e responsabile area internazionale di Caritas italiana: ascolta
R. - Per esperienza, vedendo le immagini e sentendo anche i contatti in loco, l’entità del disastro, la cosiddetta magnitudo, sia in termini di popolazione colpita che di vastità del terreno e di vulnerabilità - per esempio la qualità delle abitazioni è molto bassa - fa presumere che l’impatto sulla popolazione e i danni saranno molto elevati: nella categoria più alta verosimilmente.
D. - Che zone sono quelle colpite, tra l’altro già interessate da altri disastri?
R. - Le isole più colpite sono Leyte e Samar che fanno parte del gruppo centrale delle Visayas, che tradizionalmente è quello colpito sempre da tempeste tropicali, che spesso evolvono in veri e propri tifoni. E Haiyan, che pare essere stato il più grande della storia che abbia mai colpito le Filippine, preoccupa proprio perché le zone interessate sono sostanzialmente rurali e molto popolose: nelle Filippine vivono più di 80 milioni di persone, su una superficie pari a quella dell’Italia, tutta densamente abitata. Le case sono fatte soprattutto di legno e di un cemento molto povero. Quindi il tifone e le frane che ne sono conseguite possono veramente aver provocato una catastrofe umanitaria.
D. - Qual è la prima emergenza da affrontare ora?
R. - C’è l’emergenza acqua potabile, che è certamente quella più grave. C’è il rischio epidemie, perché il fatto che ci siano state varie esondazioni, varie alluvioni e varie frane fa sì che si mischino le acque bianche con le acque nere e questo in un tessuto già fortemente debole da questo punto di vista: soprattutto riguardo ai minori, che magari non hanno l’accortezza di distinguere la qualità delle acque. Tutto ciò può davvero causare forti rischi di epidemie e quindi far alzare ulteriormente il numero dei feriti, dei malati e delle vittime.
D. - Caritas Italiana ha già stanziato 100 mila euro per questa emergenza. Dunque, qual è l’appello?
R. - E’ un appello che riprendo dalle parole del nostro direttore, don Francesco Soddu, che ha chiesto un intervento concreto e immediato. Quindi un appello a tutti perché, nonostante questa crisi che colpisce l’Italia, l’Europa e anche molti Paesi occidentali, di fronte a disastri del genere ci possa veramente essere una globalizzazione della solidarietà. Sul nostro sito caritas.it aggiorniamo costantemente quello che facciamo e sono indicati anche tutti i riferimenti bancari, postali, per effettuare donazioni online, attraverso cui si possono sostenere le nostre azioni. Ringrazio anticipatamente tutti quelli che lo faranno.
I sopravvissuti ''si muovono come zombie''. È l’immagine che i soccorritori stanno usando man mano che arrivano nei luoghi colpiti dal passaggio del tifone Haiyan, localmente chiamato Yolanda. La zona più disastrata è quella della regione centrale delle Filippine, in particolare le isole di Samar e Leyte. Il capoluogo di Leyte, Tacloban, è praticamente raso al suolo: non c’è luce elettrica, mancano acqua potabile e cibo. Ma, pur nella devastazione, è venuta alla luce una bimba, Bea Joy, nata in un ospedale da campo. Intanto, ci sono ancora intere comunità isolate, dalle quali purtroppo non arrivano segni di vita. E poi sono entrati in azione i saccheggiatori che hanno razziato le rovine dei supermercati e i distributori di benzina. Una banda ha attaccato un convoglio di camion carico di cibo, tende e medicine. Intanto la macchina degli aiuti è partita, con la mobilitazione nazionale voluta dal presidente Benigno Aquino, che ha proclamato lo stato di calamità naturale. Le ultime stime indicano che fino a 4 milioni di bambini potrebbero essere stati colpiti dal disastro: per questo l'Unicef sta accelerando l'invio di aiuti d'emergenza e ha approntato una raccolta fondi (unicef.it). Anche Medici Senza Frontiere è operativo per l’emergenza: già arrivata a Cebu una prima equipe, mentre 200 tonnellate di materiali medico-logistici giungeranno nei prossimi giorni (medicisenzafrontiere.it). La Conferenza episcopale italiana ha stanziato tre milioni di euro (dai fondi derivanti dall’otto per mille, da destinarsi alla prima emergenza) e la Caritas Italiana 100.000 euro (caritas.it). In un comunicato della Fondazione Migrantes, le comunità cattoliche filippine in Italia hanno espresso dolore e preoccupazione per quanto avvenuto in Patria: sono oltre 150.000 i filippini che vivono e lavorano in Italia, la maggioranza dei quali cattolici. A Roma sono 34 mila, a Milano 35 mila.
Per un quadro della situazione, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Manila Josephine Ignacio, coordinatrice programmi d’emergenza della Caritas Filippine–National Secretariat for Social Action (Nassa): ascolta
R. – What the church is doing is: we are contacting neighbouring dioceses … Quello che la Chiesa sta facendo è prendere contatto con le diocesi vicine per chiedere aiuto, soprattutto per quanto riguarda il rifornimento di cibo alla gente di Tacloban. Ce ne sono alcune che non hanno riportato gravi danni dal passaggio del tifone ed hanno riserve di riso, l’economia locale è ancora vitale, hanno il mercato e negozi di alimentari; per questo abbiamo dato denaro in cambio di generi di prima necessità ancora imballati, da destinare alla gente di Tacloban. Tutto ciò è coordinato dalla Chiesa. Noi siamo la task-force che, messa in campo per far fronte all’emergenza provocata dal tifone Yolanda, raggruppa sei diocesi filippine; stiamo cercando di mettere insieme 15 milioni, come donazione iniziale, per le 11 diocesi nelle quali abbiamo rilevato i danni più gravi.
D. – Di cosa ha bisogno la popolazione oggi?
R. – They need everything. They have lost everything. We try to supply them with … Hanno bisogno di tutto. Hanno perso tutto. Ci stiamo impegnando intanto a fornire riso, ma ci dicono che hanno bisogno anche di cibo pronto, perché hanno perso tutte le attrezzature per cucinare. E hanno bisogno anche di acqua. In tutto questo, l’aeroporto è chiuso, perché l’edificio è danneggiato e il radar non funziona, tutto è stato spazzato via. Il governo, i soldati hanno limitato l’accesso ai soli aerei che portano beni da destinare alle aree colpite. Per questo dobbiamo trovare altre strade per fare arrivare quello che serve. Il governo fornisce gli aiuti che arrivano via aria e noi - come Chiesa - ci siamo mobilitati per ottenere aiuti via terra. Facciamo il possibile, cerchiamo continuamente strategie nuove per raggiungere le persone che sono ancora a Tacloban e nelle zone disastrate.
D. – Qual è la speranza della Chiesa delle Filippine e anche della Caritas locale?
R. – The generosity of all and … well, if you look at Tacloban, it’s really such a … La generosità di tutti. Certo, se guardiamo a Tacloban, la situazione è veramente disperata; le altre diocesi cercano di portare aiuto, come ad esempio la diocesi di Bohol che ha subito un terremoto grave: perfino loro stanno mandando aiuti a Tacloban. Si cercano modi per far giungere i generi di prima necessità, quello che si ha, alla gente disperata. Nell’arco di tre settimane qui c’è stato un forte terremoto e tre tifoni, ed è in arrivo – per questa notte o per domani – un altro tifone: è previsto che passi vicino Cebu, Bohol e nella parte settentrionale di Mindanao. Quindi, in realtà facciamo affidamento gli uni sugli altri, facciamo affidamento su quello che ciascun buon cristiano può fare per aiutare il prossimo.
Il cataclisma che ha devastato le Filippine "può anche essere il peggiore mai visto prima al mondo" ma la fede in Dio della popolazione è "anche più forte". Sono le parole del presidente della Conferenza episcopale filippina, mons. Jose Palma, contenute nel messaggio rivolto a una popolazione in ginocchio. Mons. Palma sottolinea che "nessuna calamità o disastro naturale può spegnere il fuoco della speranza” e, assicurando la presenza e la partecipazione al dolore dell'intera Conferenza episcopale, invita i fedeli a rivolgersi a Dio "in questo momento di calamità nazionale" come ogni filippino ha sempre fatto "negli ultimi 400 anni". Da oggi al 19 novembre in tutto il Paese si tiene una novena di preghiera. Laura Ieraci, del programma inglese della nostra emittente, ha intervistato mons. Pedro Quitorio, responsabile per il rapporto con i media della Conferenza episcopale filippina: ascolta
R. – There will be a lot of dioceses where the typhoon went through, but … Sicuramente ci sono molte diocesi colpite dal tifone, ma le più devastate sono quelle nelle isole di Samar e Leyte, e più particolarmente la diocesi di Borongan e l’arcidiocesi di Palo. Nella diocesi di Borongan, la prima terra toccata dal tifone, abbiamo numerose chiese devastate; quelle che si sono trovate nell’occhio centrale del ciclone sono quelle di Guiuan, nella parte orientale di Samar. Una chiesa è antica di centinaia di anni, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco, ed è stata completamente rasa al suolo; quello che rimane è solo il campanile, che era separato dall’edificio centrale; il tetto è stato completamente smantellato… rimangono i muri portanti sui due lati della chiesa. Tutto il resto è stato devastato. Anche le case intorno a questa parrocchia sono distrutte per quasi il 90 per cento. L’altra chiesa distrutta si trova nell’arcidiocesi di Palo, sull’isola di Leyte, ed è la chiesa di Santo Niño. Questa chiesa, che è anche santuario, era simbolo della fede cattolica nell’area: nella chiesa era conservata l’immagine del Santo Niño, patrono dell’arcidiocesi di Palo. La distruzione al di fuori della chiesa è immensa, per quanto riguarda la popolazione: si stima, a tutt’oggi, che le persone disperse e i senzatetto superino varie migliaia. Ieri, in un primo momento, si pensava che potessero essere un migliaio, ma alcuni rapporti parlano di oltre 10 mila morti. Particolarmente devastata la città di Tacloban, che fa parte dell’arcidiocesi di Palo. Anche nella diocesi di Borongan ci sono stati morti, ma finora non abbiamo cifre esatte, perché tutte le linee di comunicazione sono state interrotte, non c’è corrente elettrica e non siamo riusciti a conoscere la situazione esatta. Nemmeno le grandi organizzazioni umanitarie hanno saputo dire con precisione quale sia la situazione in quelle zone.
Sull’entità della catastrofe, Giada Aquilino ha intervistato Paolo Beccegato, vicedirettore e responsabile area internazionale di Caritas italiana: ascolta
R. - Per esperienza, vedendo le immagini e sentendo anche i contatti in loco, l’entità del disastro, la cosiddetta magnitudo, sia in termini di popolazione colpita che di vastità del terreno e di vulnerabilità - per esempio la qualità delle abitazioni è molto bassa - fa presumere che l’impatto sulla popolazione e i danni saranno molto elevati: nella categoria più alta verosimilmente.
D. - Che zone sono quelle colpite, tra l’altro già interessate da altri disastri?
R. - Le isole più colpite sono Leyte e Samar che fanno parte del gruppo centrale delle Visayas, che tradizionalmente è quello colpito sempre da tempeste tropicali, che spesso evolvono in veri e propri tifoni. E Haiyan, che pare essere stato il più grande della storia che abbia mai colpito le Filippine, preoccupa proprio perché le zone interessate sono sostanzialmente rurali e molto popolose: nelle Filippine vivono più di 80 milioni di persone, su una superficie pari a quella dell’Italia, tutta densamente abitata. Le case sono fatte soprattutto di legno e di un cemento molto povero. Quindi il tifone e le frane che ne sono conseguite possono veramente aver provocato una catastrofe umanitaria.
D. - Qual è la prima emergenza da affrontare ora?
R. - C’è l’emergenza acqua potabile, che è certamente quella più grave. C’è il rischio epidemie, perché il fatto che ci siano state varie esondazioni, varie alluvioni e varie frane fa sì che si mischino le acque bianche con le acque nere e questo in un tessuto già fortemente debole da questo punto di vista: soprattutto riguardo ai minori, che magari non hanno l’accortezza di distinguere la qualità delle acque. Tutto ciò può davvero causare forti rischi di epidemie e quindi far alzare ulteriormente il numero dei feriti, dei malati e delle vittime.
D. - Caritas Italiana ha già stanziato 100 mila euro per questa emergenza. Dunque, qual è l’appello?
R. - E’ un appello che riprendo dalle parole del nostro direttore, don Francesco Soddu, che ha chiesto un intervento concreto e immediato. Quindi un appello a tutti perché, nonostante questa crisi che colpisce l’Italia, l’Europa e anche molti Paesi occidentali, di fronte a disastri del genere ci possa veramente essere una globalizzazione della solidarietà. Sul nostro sito caritas.it aggiorniamo costantemente quello che facciamo e sono indicati anche tutti i riferimenti bancari, postali, per effettuare donazioni online, attraverso cui si possono sostenere le nostre azioni. Ringrazio anticipatamente tutti quelli che lo faranno.
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