Le parole e le azioni di Papa Francesco sono chiare: legalità e trasparenza in Vaticano e lotta contro armi, droga e povertà, terreno dove le mafie proliferano
Aleteia - Le organizzazioni criminali che si sviluppano insieme alle "forme di corruzione, oggi così capillarmente diffuse", "offendono gravemente Dio, nuocciono ai fratelli e danneggiano il creato, tanto più quando hanno connotazioni religiose". A dirlo è papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace. La politica, sostiene, deve agire "in modo trasparente e responsabile" per favorire una "fraternità" che generi "pace sociale" (TgCom 24, 12 dicembre).
Secondo il pm Nicola Gratteri qualche boss si sta innervosendo, la lotta contro il riciclaggio del denaro sporco all’interno delle strutture finanziarie della Santa Sede, il contrasto al narcotraffico, alla prostituzione, alla tratta delle persone, all’adorazione «della dea tangente», sono stati toccati più volte da Bergoglio in questi nove mesi di pontificato, ma anche prima, durante il suo ministero a Buenos Aires, starebbe suscitando malumori tra i boss, sebbene secondo un sacerdote come don Giacomo Panizza, da molti anni attivo in Calabria nel contrasto alla ‘ndrangheta, un pericolo diretto per il Papa in questo momento «non si sente, io almeno non lo vedo» (Linkiesta, 12 dicembre).
Infine per monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e postulatore della causa di don Puglisi, il Papa con la sua azione risanatrice nella Chiesa è un esempio concreto di lotta alle mafie, e spiega come sia cambiato l'atteggiamento della Chiesa verso i clan: «La Chiesa non ha mai ignorato del tutto il fenomeno mafioso sin dall’immediato secondo dopoguerra. Tuttavia, la comprensione e valutazione di esso sono maturate solo gradualmente. La pubblicazione, nel 1991, del bellissimo e significativo documento Cei “Educare alla legalità”, la visita in Sicilia di Papa Giovanni Paolo II e la morte di Puglisi nel 1993 segnano il cambio di rotta: da allora, la denuncia civile è regola ed è sempre più accompagnata da una incisiva azione pastorale volta alla riaffermazione dei principi evangelici nella loro dimensione umana e sociale. Molto s’è fatto, molto resta da fare nella coscientizzazione del fenomeno mafioso, non solo in Sicilia, ma questo, oggi, è patrimonio della Chiesa tutta intera. Senza eccezioni né dubbi. Esprimendo un auspicio, potrei dire, parafrasando Yves Congar, che è necessario che la Chiesa non si ripieghi su se stessa, ma si protenda verso gli uomini. Ciò, grazie anche a Papa Francesco, è un orizzonte verso il quale tendere». (Vatican Insider, 12 dicembre)
Abbiamo scelto di chiedere a Don Maurizio Patriciello, parroco della chiesa di San Paolo Apostolo a Caivano in provinia di Napoli, da tempo attivo nella denuncia della devastazione del territorio nella ormai tristemente famosa “Terra dei fuochi”, un comento.
Don Maurizio, l'ultimo messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale della Pace parla apertamente del fenomeno mafioso condannandolo, prima ancora l'anatema di Francesco contro la "dea tangente". Tutto questo fa dire a magistrati in prima linea come il pm di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, che il Papa ha fatto innervosire i boss. Secondo lei è una cosa plausibile?
Patriciello: Il Papa infastidisce sempre chi ha la coscienza sporca, e i clan ce l'hanno sporchissima, per cui non mi meraviglia affatto che ci possa essere qualche boss risentito per l'azione di Papa Francesco.
Purtroppo non sempre la separazione tra la Chiesa e la Mafia è stata netta e frontale, ma si può dire che dal messaggio di Giovanni Paolo II nel maggio del '93, abbia segnato uno spartiacque definitivo e posizionato la Chiesa accanto alle vittime, cosa ne pensa?
Patriciello: Se ci siano state zone di ombra io non lo so, consideri che per lungo tempo non si ha avuto una percezione chiara del fenomeno. Anche chi abita qui in piena terra dei fuochi non ha la percezione esatta di quello che succede. L'uccisione di don Puglisi nel '93 e don Peppino Diana nel '94 hanno risvegliato le coscienze di molti nella Chiesa e permesso di capire molte cose. Consideri che perfino i magistrati hanno avuto una percepizione esatta di come era la Mafia, di cosa significasse la cupola, e delle sue attività, solo dopo l'inizio della stagione dei pentiti. I preti sono per costituzione il contrario della mafia, perché il Vangelo è il contrario della mafia. Non esiste il “prete antimafia”: o sei prete o non lo sei.
Come si combatte l'omertà?
Patriciello: Io dico sempre – qui nella mia piccola “Scampia” – ma ci si rende conto di cosa vuol dire “omertà”? E' omertà o paura? Lo Stato qui è “fiacco” e invece i camorristi sono molto presenti nella vita delle persone. Purtroppo qui succede la cosa strana che il desiderio di normalità deve diventare eroismo. Qui il desiderio di normalità passa per gli atti di eroismo e per il sangue purtroppo. A questo si aggiunga una crisi economica durissima: quando non si può mettere insieme il pranzo con la cena, come si pretende di non cedere a certe lusinghe? La camorra diventa forte laddove lo Stato diventa debole, bisogna schiacciare la testa di questo serpente, ma serve un impegno forte da parte di tutti, istituzioni in testa.
Secondo il pm Nicola Gratteri qualche boss si sta innervosendo, la lotta contro il riciclaggio del denaro sporco all’interno delle strutture finanziarie della Santa Sede, il contrasto al narcotraffico, alla prostituzione, alla tratta delle persone, all’adorazione «della dea tangente», sono stati toccati più volte da Bergoglio in questi nove mesi di pontificato, ma anche prima, durante il suo ministero a Buenos Aires, starebbe suscitando malumori tra i boss, sebbene secondo un sacerdote come don Giacomo Panizza, da molti anni attivo in Calabria nel contrasto alla ‘ndrangheta, un pericolo diretto per il Papa in questo momento «non si sente, io almeno non lo vedo» (Linkiesta, 12 dicembre).
Infine per monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro e postulatore della causa di don Puglisi, il Papa con la sua azione risanatrice nella Chiesa è un esempio concreto di lotta alle mafie, e spiega come sia cambiato l'atteggiamento della Chiesa verso i clan: «La Chiesa non ha mai ignorato del tutto il fenomeno mafioso sin dall’immediato secondo dopoguerra. Tuttavia, la comprensione e valutazione di esso sono maturate solo gradualmente. La pubblicazione, nel 1991, del bellissimo e significativo documento Cei “Educare alla legalità”, la visita in Sicilia di Papa Giovanni Paolo II e la morte di Puglisi nel 1993 segnano il cambio di rotta: da allora, la denuncia civile è regola ed è sempre più accompagnata da una incisiva azione pastorale volta alla riaffermazione dei principi evangelici nella loro dimensione umana e sociale. Molto s’è fatto, molto resta da fare nella coscientizzazione del fenomeno mafioso, non solo in Sicilia, ma questo, oggi, è patrimonio della Chiesa tutta intera. Senza eccezioni né dubbi. Esprimendo un auspicio, potrei dire, parafrasando Yves Congar, che è necessario che la Chiesa non si ripieghi su se stessa, ma si protenda verso gli uomini. Ciò, grazie anche a Papa Francesco, è un orizzonte verso il quale tendere». (Vatican Insider, 12 dicembre)
Abbiamo scelto di chiedere a Don Maurizio Patriciello, parroco della chiesa di San Paolo Apostolo a Caivano in provinia di Napoli, da tempo attivo nella denuncia della devastazione del territorio nella ormai tristemente famosa “Terra dei fuochi”, un comento.
Don Maurizio, l'ultimo messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale della Pace parla apertamente del fenomeno mafioso condannandolo, prima ancora l'anatema di Francesco contro la "dea tangente". Tutto questo fa dire a magistrati in prima linea come il pm di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, che il Papa ha fatto innervosire i boss. Secondo lei è una cosa plausibile?
Patriciello: Il Papa infastidisce sempre chi ha la coscienza sporca, e i clan ce l'hanno sporchissima, per cui non mi meraviglia affatto che ci possa essere qualche boss risentito per l'azione di Papa Francesco.
Purtroppo non sempre la separazione tra la Chiesa e la Mafia è stata netta e frontale, ma si può dire che dal messaggio di Giovanni Paolo II nel maggio del '93, abbia segnato uno spartiacque definitivo e posizionato la Chiesa accanto alle vittime, cosa ne pensa?
Patriciello: Se ci siano state zone di ombra io non lo so, consideri che per lungo tempo non si ha avuto una percezione chiara del fenomeno. Anche chi abita qui in piena terra dei fuochi non ha la percezione esatta di quello che succede. L'uccisione di don Puglisi nel '93 e don Peppino Diana nel '94 hanno risvegliato le coscienze di molti nella Chiesa e permesso di capire molte cose. Consideri che perfino i magistrati hanno avuto una percepizione esatta di come era la Mafia, di cosa significasse la cupola, e delle sue attività, solo dopo l'inizio della stagione dei pentiti. I preti sono per costituzione il contrario della mafia, perché il Vangelo è il contrario della mafia. Non esiste il “prete antimafia”: o sei prete o non lo sei.
Come si combatte l'omertà?
Patriciello: Io dico sempre – qui nella mia piccola “Scampia” – ma ci si rende conto di cosa vuol dire “omertà”? E' omertà o paura? Lo Stato qui è “fiacco” e invece i camorristi sono molto presenti nella vita delle persone. Purtroppo qui succede la cosa strana che il desiderio di normalità deve diventare eroismo. Qui il desiderio di normalità passa per gli atti di eroismo e per il sangue purtroppo. A questo si aggiunga una crisi economica durissima: quando non si può mettere insieme il pranzo con la cena, come si pretende di non cedere a certe lusinghe? La camorra diventa forte laddove lo Stato diventa debole, bisogna schiacciare la testa di questo serpente, ma serve un impegno forte da parte di tutti, istituzioni in testa.
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