La Chiesa ha da oggi un nuovo santo. Papa Francesco ha infatti esteso alla Chiesa Universale il culto liturgico in onore di Pietro Favre, sacerdote professo della Compagnia di Gesù.
Radio Vaticana - Ricevendo il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il Pontefice ha anche autorizzato la promulgazione dei decreti riguardanti il miracolo attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria Teresa Demjanovich, Suora professa della Congregazione delle Suore della Carità di Sant'Elisabetta, morta a Elizabeth negli Stati Uniti nel 1927, le virtù eroiche del Servo di Dio Emanuele Herranz Establés, sacerdote diocesano e Fondatore delle Religiose Esclavas de la Virgen Dolorosa, morto a Madrid nel 1968, e le virtù eroiche del Servo di Dio Giorgio Ciesielski, Laico e Padre di famiglia morto in Egitto il 9 ottobre 1970. Sulla figura del nuovo Santo, il servizio di Alessandro De Carolis: ascolta
Un uomo pio, al tempo in cui questo appellativo non suscitava come oggi sorrisi di sufficienza ma racchiudeva l’ammirazione per una persona di superiore fibra umana e spirituale. Questo fu ai suoi tempi – 500 anni fa – Pietro Favre, di professione “apostolo”. Apostolo del Vangelo, apostolo del Papa, apostolo del nascente carisma dei Gesuiti, che propagherà dappertutto durante i suoi molti viaggi. Favre studia a Parigi e insegna per due anni alla “Sapienza” di Roma, ma la sua dottrina è per gli istruiti come per gli analfabeti e per lui non fa differenza lasciare il prestigio della cattedra quando il Papa lo invia a insegnare catechismo nelle campagne parmensi. E nessuna differenza ancora farà, più tardi, obbedire al Papa che lo invia in Germania come ponte di dialogo tra Chiesa e il montante protestantesimo di Lutero. Del resto, Favre è un gesuita innamorato della via aperta da Sant’Ignazio, nella quale diventa il primo sacerdote nel maggio del 1534 e il 15 agosto seguente, con il fondatore della Compagnia e altri cinque compagni emette il celebre voto di Montmartre, cioè di vivere in povertà e di andare a Gerusalemme, promettendo di mettersi a disposizione del Papa.
La guerra tra turchi e veneziani si mette di mezzo a impedire il pellegrinaggio, e allora quel primo nucleo del futuro Ordine si reca da Paolo III. Gli incarichi che il Papa affida sono diversi. Pietro Favre si mette in viaggio attraverso Europa. Predica, tiene esercizi, visita monasteri, con una dedizione e una sopportazione della fatica che finisce per minare la sua tenuta fisica. Ed è con la salute malmessa che Pietro Favre si mette in viaggio per Roma, che raggiunge il 17 luglio 1546, per quello che sarà il suo ultimo, grande incarico: offrire un contributo di dialogo alla discussione del Concilio di Trento, col quale la Chiesa intende rispondere alla Riforma di Lutero. Favre però si ammala e a Roma muore il primo agosto 1547.
La bellezza spirituale di Pietro Favre è condensata nello spagnolo e nel latino che usa per redigere il suo “Memoriale”, sorta di diario spirituale che, assieme al suo epistolario, fa brillare la gemma della sua fede e del suo stile di vita genuinamente cristiano.
Sul legame speciale di Pietro Favre con Sant’Ignazio di Loyola, e sulla devozione che che tutta la Compagnia del Gesù nei suoi confronti a partire da Papa Francesco, Gudrun Sailer ha intervistato padre Anton Witwer, postulatore generale dei Gesuiti: ascolta
R. – Questo incontro è stato decisivo per tutta la sua vita, perché da Sant’Ignazio ha ricevuto la sua formazione spirituale. Poi, però, per Sant’Ignazio stesso era diventato uno che lo sfidava, particolarmente per gli scrupoli che aveva avuto a lungo nel tempo. Questo ha portato Sant’Ignazio a mettere poi nel libro degli esercizi le regole degli scrupoli. Nella Compagnia, Pietro Favre ha sempre vissuto nell’obbedienza ed è sempre stato in missione per altri: per il Papa, per il Padre Generale, per l’Imperatore, per il Re del Portogallo, di Spagna. E così, proprio per questo sforzo immenso durante questi viaggi, lui è morto a 40 anni.
D. – Il Santo Padre, Francesco, apprezza tantissimo Pietro Favre e l’ha chiamato nella sua lunga intervista alla rivista gesuita “un prete riformato”, ma che cosa significa?
R. – All’inizio tutti i gesuiti sono stati considerati preti riformati e non solamente Pietro Favre, perché hanno vissuto il sacerdozio in povertà – aspetto decisivo – e si sono messi a disposizione di tutta la Chiesa, senza chiedere niente. Questa è stata la cosa nuova, ed è l’aspetto che è rimasto nella spiritualità della Compagnia. Perché la devozione particolare a Pietro Favre? Perché è stato il primo sacerdote della Compagnia. Lui ha celebrato la Messa, in cui tutti i primi compagni, incluso Sant’Ignazio, fecero voto a Montmartre, il 15 agosto 1534. E dopo la partenza di Ignazio dalla Spagna, Pietro Favre è stato il direttore spirituale di tutto questo gruppo. L’influenza, quindi, del suo modo di vivere il sacerdozio su tutti gli altri compagni è stata molto grande. E per questo, nella Compagnia, rispetto al sacerdozio, lui è la figura più importante.
D. – Pietro Favre viaggiava tanto ed è entrato in contatto anche con la Riforma, con le guerre tra le confessioni. Quale atteggiamento lo contraddistingue nelle situazioni difficili?
R. – Pietro Favre è sempre stato un uomo della riconciliazione, della pace. Ha visto i protestanti essere non tanto un attacco alla Chiesa, anche se soffriva, però, l’”ignoranza” della gente nei confronti della fede. Per questo ha detto “ciò che noi dobbiamo fare è annunciare il Vangelo”. Era convinto che l’annuncio autentico della fede in Gesù Cristo potesse eliminare tutte le divisioni - anche per noi oggi è molto importante – nella misura in cui tutti crescono come cristiani. Anche l’unità può diventare una realtà.
D. – San Pietro Favre che cosa ci dice oggi come cattolici?
R. – Noi da lui possiamo imparare a guardare la nostra realtà, la realtà quotidiana, con gli occhi di Gesù Cristo.
D. – San Pietro Favre come il santo della coscienza...
R. – E’ il patrono dell’esame di coscienza, cui siamo tutti invitati.
Radio Vaticana - Ricevendo il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il Pontefice ha anche autorizzato la promulgazione dei decreti riguardanti il miracolo attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria Teresa Demjanovich, Suora professa della Congregazione delle Suore della Carità di Sant'Elisabetta, morta a Elizabeth negli Stati Uniti nel 1927, le virtù eroiche del Servo di Dio Emanuele Herranz Establés, sacerdote diocesano e Fondatore delle Religiose Esclavas de la Virgen Dolorosa, morto a Madrid nel 1968, e le virtù eroiche del Servo di Dio Giorgio Ciesielski, Laico e Padre di famiglia morto in Egitto il 9 ottobre 1970. Sulla figura del nuovo Santo, il servizio di Alessandro De Carolis: ascolta
Un uomo pio, al tempo in cui questo appellativo non suscitava come oggi sorrisi di sufficienza ma racchiudeva l’ammirazione per una persona di superiore fibra umana e spirituale. Questo fu ai suoi tempi – 500 anni fa – Pietro Favre, di professione “apostolo”. Apostolo del Vangelo, apostolo del Papa, apostolo del nascente carisma dei Gesuiti, che propagherà dappertutto durante i suoi molti viaggi. Favre studia a Parigi e insegna per due anni alla “Sapienza” di Roma, ma la sua dottrina è per gli istruiti come per gli analfabeti e per lui non fa differenza lasciare il prestigio della cattedra quando il Papa lo invia a insegnare catechismo nelle campagne parmensi. E nessuna differenza ancora farà, più tardi, obbedire al Papa che lo invia in Germania come ponte di dialogo tra Chiesa e il montante protestantesimo di Lutero. Del resto, Favre è un gesuita innamorato della via aperta da Sant’Ignazio, nella quale diventa il primo sacerdote nel maggio del 1534 e il 15 agosto seguente, con il fondatore della Compagnia e altri cinque compagni emette il celebre voto di Montmartre, cioè di vivere in povertà e di andare a Gerusalemme, promettendo di mettersi a disposizione del Papa.
La guerra tra turchi e veneziani si mette di mezzo a impedire il pellegrinaggio, e allora quel primo nucleo del futuro Ordine si reca da Paolo III. Gli incarichi che il Papa affida sono diversi. Pietro Favre si mette in viaggio attraverso Europa. Predica, tiene esercizi, visita monasteri, con una dedizione e una sopportazione della fatica che finisce per minare la sua tenuta fisica. Ed è con la salute malmessa che Pietro Favre si mette in viaggio per Roma, che raggiunge il 17 luglio 1546, per quello che sarà il suo ultimo, grande incarico: offrire un contributo di dialogo alla discussione del Concilio di Trento, col quale la Chiesa intende rispondere alla Riforma di Lutero. Favre però si ammala e a Roma muore il primo agosto 1547.
La bellezza spirituale di Pietro Favre è condensata nello spagnolo e nel latino che usa per redigere il suo “Memoriale”, sorta di diario spirituale che, assieme al suo epistolario, fa brillare la gemma della sua fede e del suo stile di vita genuinamente cristiano.
Sul legame speciale di Pietro Favre con Sant’Ignazio di Loyola, e sulla devozione che che tutta la Compagnia del Gesù nei suoi confronti a partire da Papa Francesco, Gudrun Sailer ha intervistato padre Anton Witwer, postulatore generale dei Gesuiti: ascolta
R. – Questo incontro è stato decisivo per tutta la sua vita, perché da Sant’Ignazio ha ricevuto la sua formazione spirituale. Poi, però, per Sant’Ignazio stesso era diventato uno che lo sfidava, particolarmente per gli scrupoli che aveva avuto a lungo nel tempo. Questo ha portato Sant’Ignazio a mettere poi nel libro degli esercizi le regole degli scrupoli. Nella Compagnia, Pietro Favre ha sempre vissuto nell’obbedienza ed è sempre stato in missione per altri: per il Papa, per il Padre Generale, per l’Imperatore, per il Re del Portogallo, di Spagna. E così, proprio per questo sforzo immenso durante questi viaggi, lui è morto a 40 anni.
D. – Il Santo Padre, Francesco, apprezza tantissimo Pietro Favre e l’ha chiamato nella sua lunga intervista alla rivista gesuita “un prete riformato”, ma che cosa significa?
R. – All’inizio tutti i gesuiti sono stati considerati preti riformati e non solamente Pietro Favre, perché hanno vissuto il sacerdozio in povertà – aspetto decisivo – e si sono messi a disposizione di tutta la Chiesa, senza chiedere niente. Questa è stata la cosa nuova, ed è l’aspetto che è rimasto nella spiritualità della Compagnia. Perché la devozione particolare a Pietro Favre? Perché è stato il primo sacerdote della Compagnia. Lui ha celebrato la Messa, in cui tutti i primi compagni, incluso Sant’Ignazio, fecero voto a Montmartre, il 15 agosto 1534. E dopo la partenza di Ignazio dalla Spagna, Pietro Favre è stato il direttore spirituale di tutto questo gruppo. L’influenza, quindi, del suo modo di vivere il sacerdozio su tutti gli altri compagni è stata molto grande. E per questo, nella Compagnia, rispetto al sacerdozio, lui è la figura più importante.
D. – Pietro Favre viaggiava tanto ed è entrato in contatto anche con la Riforma, con le guerre tra le confessioni. Quale atteggiamento lo contraddistingue nelle situazioni difficili?
R. – Pietro Favre è sempre stato un uomo della riconciliazione, della pace. Ha visto i protestanti essere non tanto un attacco alla Chiesa, anche se soffriva, però, l’”ignoranza” della gente nei confronti della fede. Per questo ha detto “ciò che noi dobbiamo fare è annunciare il Vangelo”. Era convinto che l’annuncio autentico della fede in Gesù Cristo potesse eliminare tutte le divisioni - anche per noi oggi è molto importante – nella misura in cui tutti crescono come cristiani. Anche l’unità può diventare una realtà.
D. – San Pietro Favre che cosa ci dice oggi come cattolici?
R. – Noi da lui possiamo imparare a guardare la nostra realtà, la realtà quotidiana, con gli occhi di Gesù Cristo.
D. – San Pietro Favre come il santo della coscienza...
R. – E’ il patrono dell’esame di coscienza, cui siamo tutti invitati.
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