Si è svolto ad Assisi, il 29 e 30 novembre, il convegno internazionale “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”, occasione di dialogo e confronto che ha richiamato circa un migliaio di partecipanti provenienti da undici regioni italiane, e l’accreditamento di più di cinquanta giornalisti provenienti da tutt’Italia.
I lavori del convegno sono stati trasmessi in diretta streaming sul quotidiano online www.umbria24.it (Sezione Assisi) mentre l’iniziativa del “Salotto delle interviste”, a cura di alcuni direttori di testate giornalistiche in dialogo con i relatori, ha offerto un ulteriore momento di confronto. Grande interesse anche da parte delle Scuole superiori dell’Umbria che hanno visto la partecipazione di circa 200 studenti di una decina di Istituti e dalle Facoltà di Lettere e Filosofia e di Scienze Politiche dell’Università di Perugia. Nelle fitte giornate del convegno organizzato dalla Conferenza episcopale umbra si sono susseguiti numerosi interventi distribuiti in varie sessioni che hanno proposto riflessioni storico-filosofiche, socio-economiche, internazionalista, artistica e storico-politica. I relatori e i moderatori, sia laici che cattolici, si sono confrontati sul senso della custodia e su come il “custodire” possa essere apertura e cammino verso le periferie. Da tutti gli interventi si può cogliere un filo conduttore e un comune denominatore: la relazione e la fraternità in una chiesa missionaria, in cammino verso tutti i fratelli.
“Nel Concilio c’è il ripensamento di quello che vuol dire missione per un cristianesimo in un mondo globale e diverso: estroversione oltre le frontiere tradizionali, il contrario di un arroccamento. La Chiesa è una globalizzazione fondata sulla comunione di fede. E’ connaturato al cristianesimo la prossimità umana fondata sulla gratuità, prossimità ai poveri, comunione tra le persone sono valori irrinunciabili.” Ha sottolineato Andrea Riccardi, concludendo il suo intervento, ricordando la lettera pastorale del Cardinal Emmanuel Suhard che per la Quaresima della Francia del 1947 si chiedeva “Essor ou déclin de l’Eglise?”, lasciando così anche ai partecipanti la domanda per uno sviluppo o un declino della chiesa.
Salvatore Natoli, dopo aver evidenziato come il cristiano oggi sia caratterizzato dalla dimensione della caritas e non dalla trascendenza, anche se quest’ultima non è negata ma marginale, ha auspicato che vengano valorizzate le differenze e che i “tutti” vengano visti attraverso gli “ognuno”. Soffermandosi poi sulla povertà, ha ricordato come questa vada combattuta e sia negativa laddove limita la libertà della persona umana ma come sia strumento per vivere con distacco la ricchezza, senza per questo negarne la produzione: la povertà intesa da Francesco e Chiara, non considerare nulla come proprio e utilizzarla per distribuirla a chi ne ha bisogno, compiendo così un atto di giustizia.
Di giustizia e bene comune ha parlato Luigino Bruni, specificando che quest’ultimo è un bene di relazione e che i beni comuni sono occasione di incontro con l’altro: “le peculiarità della custodia dei beni comuni, dove il rapporto più cruciale non è tanto né soprattutto quello tra le persone e i beni, ma i rapporti interpersonali per i quali è richiesta una razionalità più sociale e meno strumentale rispetto a quella oggi nelle scienze economiche”. Ha poi ricordato come il primo articolo sul bene comune, sull’acqua che è un bene comune insostituibile, sia stato scritto da Katharine Coman nel 1911. Bruni ha così auspicato che ci sia uno sguardo femminile sui beni comuni perché la donna per sua natura è custode e promotrice di relazioni, di accoglienza dell’altro, crea legami anche generazionali.
Interessante il riferimento al termine custodia che si ritrova nel libro della Genesi sia a proposito della custodia del giardino affidata all’uomo sia quando Caino risponde di non essere lui il custode di suo fratello. Non solo quindi la custodia a cui è chiamato l’uomo è la stessa sia riferita al creato che ai fratelli, ma ancora, ogni omicidio è un fratricidio. “Non c’è vera custodia senza fraternità”, ha quindi precisato Luigino Bruni ricordando così come la fraternità sia anch’essa come la custodia questione di incontro, di contatto, di un abbraccio, come l’abbraccio di Francesco al lebbroso.
Relazioni dunque che hanno guidato anche l’intervento di Franco Vaccari, che ha testimoniato anche grazie alla presenza in sala di un folto gruppo di ragazzi di Rondine Cittadella della Pace, che è possibile rompere la catena dell’odio e uscire da stereotipi e luoghi comuni attraverso una relazione. Solo attraverso un incontro e una relazione le persone che erano “qualificate” come nemiche sono diventate amiche; custodire significa entrare in una relazione nuova uscendo dall’inganno che esiste un nemico e che non si possa rovesciare l’inimicizia in amicizia.
Alla famiglia e alla donna era dedicata la sessione della mattina del 30 novembre: un interessante intervento sulla rivoluzione sessuale proposta da Lucetta Scaraffia e un’analisi della situazione della famiglia è stata presentata da Roberto Volpi che ha sottolineato come nel periodo dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta “tutti si sposavano in giovane età e in chiesa. La famiglia era lo strumento per farsi strada, era fatta di grandi progetti, per aspirare a un futuro migliore. Era biglietto d'ingresso nella società adulta, uno strumento con cui aggredire la realtà. Non si aspettavano traguardi per costruire la famiglia, ma semplicemente si andava”.
Oggi invece, la famiglia è diventata un punto di arrivo, non si rischia più nella famiglia e si arriva con delle premesse già date che possono così essere disattese con molta facilità. In breve, da famiglia aggressiva si è giunti alla famiglia difensiva. “Si è scavato un fossato nella concezione della famiglia sulla quale pesano quattro elementi: il divorzio sulle trasformazioni della famiglia, l’università di massa, la forte terziarizzazione dell'economia e il bassissimo grado di mobilità sociale specie in Italia. Sono cresciute le famiglie uni personali al 30 per cento e calano le coppie con figli il cui modello è quello prevalente del figlio unico”.
A Ernesto Galli della Loggia e Agostino Giovagnoli sono stati affidati gli interventi sul bilancio del cattolicesimo politico in Italia. Dopo aver ripercorso in un excursus storico i momenti più salienti dell’impegno politico dei cattolici italiani dal Risorgimento ad oggi, Ernesto Galli della Loggia ha ribadito l’impegno di questi ultimi e della Chiesa italiana nella Resistenza al nazifascismo, definendo la Chiesa “socio fondatore della Repubblica”. Ha concluso sostenendo che per uscire da questo periodo di crisi sarebbe auspicabile “mettere insieme uomini di buona volontà, piuttosto che riorganizzare un partito cattolico”.
Agostino Giovagnoli ha citato un documento del cardinal Bergoglio in cui viene sottolineato come la politica sia una vocazione molto alta, soffermandosi poi particolarmente sui beni comuni. “Nell’ottica del bene comune il contributo dei cattolici si è sviluppato in forme diverse nelle varie fasi della storia italiana, contribuendo alla formazione di una comune coscienza nazionale nel periodo risorgimentale. Nel secondo dopoguerra, i cattolici hanno assunto in modo prioritario l’impegno per il bene comune con una politica inclusiva sotto il profilo economico, sociale e culturale. Negli ultimi decenni tale azione si è progressivamente indebolita all’interno di una più generale crisi della politica nel contesto della crescente conflittualità”.
A conclusione del suo intervento, Giovagnoli ha notato come “oggi i cattolici sono chiamati ad impegnarsi non nell’ottica di una crescente esasperazione dei conflitti, ma al servizio di una vasta visione strategica per un’azione condivisa nel perseguimento del bene comune nazionale ed internazionale”.
La sessione conclusiva dedicata al tema “L’Occidente e il mondo contemporaneo. Analisi e prospettive”, ha visto l’intervento dello scrittore e filosofo francese Fabrice Hadjadj, che ha proposto un sondaggio molto particolare analizzando in maniera ironica e acuta le modalità di evangelizzazione nella Chiesa, come conciliare potere tecnologico e povertà evangelica. In sintesi Hadjadj si è soffermato sulla evangelizzazione come incontro di persone, come relazione più che propagazione d’idee.
Riprendendo le parole dell’evangelista Luca in cui narra che Gesù mandò 72 apostoli a due a due per evangelizzare (Lc. 10), Hadjadj ha ricordato come Gesù ci disarmi, ci privi di attrezzature per evangelizzare e il solo messaggio da portare è “Pace a questa casa!”.
Potrebbe sembrare una piccola cosa se non si riflette sulla beatitudine “beati i poveri in spirito”; solo così possiamo capire che la povertà è necessaria alla purezza dell’annuncio perché deriva da una legge metafisica e che ciò che è importante nell’evangelizzazione non è il modo ma il messaggio portato concretamente attraverso l’incontro con l’altro. I discepoli si recavano fisicamente con il loro corpo laddove Cristo non poteva arrivare, portandolo così a tanti altri fratelli. In questo senso attraverso un computer si possono sì inviare messaggi a tantissime persone contemporaneamente e distanti, ma manca l’incontro vero: una volta inviato, ci si può disconnettere mentre nella vita, nelle relazioni non è così, quello che conta non è fare o dire, ma esserci. A volte si sta a fianco a una persona anche senza parlare: quella è relazione.
Dopo aver ricordato che anche Gesù ha scelto di incarnarsi e non di scaricarsi nel programma del computer, ha concluso che la Salvezza - che non ha niente a che vedere con il “Salva” del computer -, è rivolta a dei nomi propri, non a dei nomi comuni ed è la salvezza di ogni volto nella sua singolarità.
Nelle conclusioni l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale umbra e vice presidente della Cei, ha tracciato una sintesi di tutto il convegno. “Questo incontro è il frutto di un'assunzione di responsabilità da parte di quanti hanno la piena consapevolezza di vivere all'interno di un eccezionale e delicatissimo periodo di transizione storica. Oggi, stiamo vivendo un momento di passaggio epocale, caratterizzato da profondi mutamenti culturali, geopolitici ed economici che, velocemente e bruscamente, stanno ridisegnando la geografia morale e culturale del mondo in cui viviamo. (…) Nessuno di noi è immune da responsabilità. Ognuno di noi ha il dovere di domandarsi il perché di questa situazione”. Ha poi sottolineato come questo tempo di crisi possa essere “un tempo favorevole, è un kairòs, un tempo nel quale accogliere la grazia di Dio e i segni dei tempi di cui ci ha parlato il Concilio. Un tempo che va compreso e che non va demonizzato. Sia per i credenti che per i non credenti”.
Mons. Bassetti ha concluso ricordando che questo per la Chiesa è il tempo dell'annuncio. “Un annuncio autentico e vigoroso della bellezza del Vangelo. Un Vangelo annunciato ad ogni persona, ai malati e ai bambini, ai poveri e alle famiglie. Un Vangelo annunciato, prima di tutto, agli ultimi. Una Chiesa che non annuncia il Vangelo è, infatti, una Chiesa ritirata nelle stanze vuote di una mondanità spirituale che non produce frutto. Una Chiesa che evangelizza è, invece, prima di tutto una chiesa di popolo. E in questi due giorni, forse, abbiamo visto e toccato con mano questo popolo”. Ha auspicato dunque una chiesa evangelizzatrice, missionaria, con "le porte aperte" per "uscire verso gli altri" e "giungere alle periferie umane" e “al servizio della promozione di tutto l’uomo e di ogni uomo”.
di Monica Cardarelli
I lavori del convegno sono stati trasmessi in diretta streaming sul quotidiano online www.umbria24.it (Sezione Assisi) mentre l’iniziativa del “Salotto delle interviste”, a cura di alcuni direttori di testate giornalistiche in dialogo con i relatori, ha offerto un ulteriore momento di confronto. Grande interesse anche da parte delle Scuole superiori dell’Umbria che hanno visto la partecipazione di circa 200 studenti di una decina di Istituti e dalle Facoltà di Lettere e Filosofia e di Scienze Politiche dell’Università di Perugia. Nelle fitte giornate del convegno organizzato dalla Conferenza episcopale umbra si sono susseguiti numerosi interventi distribuiti in varie sessioni che hanno proposto riflessioni storico-filosofiche, socio-economiche, internazionalista, artistica e storico-politica. I relatori e i moderatori, sia laici che cattolici, si sono confrontati sul senso della custodia e su come il “custodire” possa essere apertura e cammino verso le periferie. Da tutti gli interventi si può cogliere un filo conduttore e un comune denominatore: la relazione e la fraternità in una chiesa missionaria, in cammino verso tutti i fratelli.
“Nel Concilio c’è il ripensamento di quello che vuol dire missione per un cristianesimo in un mondo globale e diverso: estroversione oltre le frontiere tradizionali, il contrario di un arroccamento. La Chiesa è una globalizzazione fondata sulla comunione di fede. E’ connaturato al cristianesimo la prossimità umana fondata sulla gratuità, prossimità ai poveri, comunione tra le persone sono valori irrinunciabili.” Ha sottolineato Andrea Riccardi, concludendo il suo intervento, ricordando la lettera pastorale del Cardinal Emmanuel Suhard che per la Quaresima della Francia del 1947 si chiedeva “Essor ou déclin de l’Eglise?”, lasciando così anche ai partecipanti la domanda per uno sviluppo o un declino della chiesa.
Salvatore Natoli, dopo aver evidenziato come il cristiano oggi sia caratterizzato dalla dimensione della caritas e non dalla trascendenza, anche se quest’ultima non è negata ma marginale, ha auspicato che vengano valorizzate le differenze e che i “tutti” vengano visti attraverso gli “ognuno”. Soffermandosi poi sulla povertà, ha ricordato come questa vada combattuta e sia negativa laddove limita la libertà della persona umana ma come sia strumento per vivere con distacco la ricchezza, senza per questo negarne la produzione: la povertà intesa da Francesco e Chiara, non considerare nulla come proprio e utilizzarla per distribuirla a chi ne ha bisogno, compiendo così un atto di giustizia.
Di giustizia e bene comune ha parlato Luigino Bruni, specificando che quest’ultimo è un bene di relazione e che i beni comuni sono occasione di incontro con l’altro: “le peculiarità della custodia dei beni comuni, dove il rapporto più cruciale non è tanto né soprattutto quello tra le persone e i beni, ma i rapporti interpersonali per i quali è richiesta una razionalità più sociale e meno strumentale rispetto a quella oggi nelle scienze economiche”. Ha poi ricordato come il primo articolo sul bene comune, sull’acqua che è un bene comune insostituibile, sia stato scritto da Katharine Coman nel 1911. Bruni ha così auspicato che ci sia uno sguardo femminile sui beni comuni perché la donna per sua natura è custode e promotrice di relazioni, di accoglienza dell’altro, crea legami anche generazionali.
Interessante il riferimento al termine custodia che si ritrova nel libro della Genesi sia a proposito della custodia del giardino affidata all’uomo sia quando Caino risponde di non essere lui il custode di suo fratello. Non solo quindi la custodia a cui è chiamato l’uomo è la stessa sia riferita al creato che ai fratelli, ma ancora, ogni omicidio è un fratricidio. “Non c’è vera custodia senza fraternità”, ha quindi precisato Luigino Bruni ricordando così come la fraternità sia anch’essa come la custodia questione di incontro, di contatto, di un abbraccio, come l’abbraccio di Francesco al lebbroso.
Relazioni dunque che hanno guidato anche l’intervento di Franco Vaccari, che ha testimoniato anche grazie alla presenza in sala di un folto gruppo di ragazzi di Rondine Cittadella della Pace, che è possibile rompere la catena dell’odio e uscire da stereotipi e luoghi comuni attraverso una relazione. Solo attraverso un incontro e una relazione le persone che erano “qualificate” come nemiche sono diventate amiche; custodire significa entrare in una relazione nuova uscendo dall’inganno che esiste un nemico e che non si possa rovesciare l’inimicizia in amicizia.
Alla famiglia e alla donna era dedicata la sessione della mattina del 30 novembre: un interessante intervento sulla rivoluzione sessuale proposta da Lucetta Scaraffia e un’analisi della situazione della famiglia è stata presentata da Roberto Volpi che ha sottolineato come nel periodo dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta “tutti si sposavano in giovane età e in chiesa. La famiglia era lo strumento per farsi strada, era fatta di grandi progetti, per aspirare a un futuro migliore. Era biglietto d'ingresso nella società adulta, uno strumento con cui aggredire la realtà. Non si aspettavano traguardi per costruire la famiglia, ma semplicemente si andava”.
Oggi invece, la famiglia è diventata un punto di arrivo, non si rischia più nella famiglia e si arriva con delle premesse già date che possono così essere disattese con molta facilità. In breve, da famiglia aggressiva si è giunti alla famiglia difensiva. “Si è scavato un fossato nella concezione della famiglia sulla quale pesano quattro elementi: il divorzio sulle trasformazioni della famiglia, l’università di massa, la forte terziarizzazione dell'economia e il bassissimo grado di mobilità sociale specie in Italia. Sono cresciute le famiglie uni personali al 30 per cento e calano le coppie con figli il cui modello è quello prevalente del figlio unico”.
A Ernesto Galli della Loggia e Agostino Giovagnoli sono stati affidati gli interventi sul bilancio del cattolicesimo politico in Italia. Dopo aver ripercorso in un excursus storico i momenti più salienti dell’impegno politico dei cattolici italiani dal Risorgimento ad oggi, Ernesto Galli della Loggia ha ribadito l’impegno di questi ultimi e della Chiesa italiana nella Resistenza al nazifascismo, definendo la Chiesa “socio fondatore della Repubblica”. Ha concluso sostenendo che per uscire da questo periodo di crisi sarebbe auspicabile “mettere insieme uomini di buona volontà, piuttosto che riorganizzare un partito cattolico”.
Agostino Giovagnoli ha citato un documento del cardinal Bergoglio in cui viene sottolineato come la politica sia una vocazione molto alta, soffermandosi poi particolarmente sui beni comuni. “Nell’ottica del bene comune il contributo dei cattolici si è sviluppato in forme diverse nelle varie fasi della storia italiana, contribuendo alla formazione di una comune coscienza nazionale nel periodo risorgimentale. Nel secondo dopoguerra, i cattolici hanno assunto in modo prioritario l’impegno per il bene comune con una politica inclusiva sotto il profilo economico, sociale e culturale. Negli ultimi decenni tale azione si è progressivamente indebolita all’interno di una più generale crisi della politica nel contesto della crescente conflittualità”.
A conclusione del suo intervento, Giovagnoli ha notato come “oggi i cattolici sono chiamati ad impegnarsi non nell’ottica di una crescente esasperazione dei conflitti, ma al servizio di una vasta visione strategica per un’azione condivisa nel perseguimento del bene comune nazionale ed internazionale”.
La sessione conclusiva dedicata al tema “L’Occidente e il mondo contemporaneo. Analisi e prospettive”, ha visto l’intervento dello scrittore e filosofo francese Fabrice Hadjadj, che ha proposto un sondaggio molto particolare analizzando in maniera ironica e acuta le modalità di evangelizzazione nella Chiesa, come conciliare potere tecnologico e povertà evangelica. In sintesi Hadjadj si è soffermato sulla evangelizzazione come incontro di persone, come relazione più che propagazione d’idee.
Riprendendo le parole dell’evangelista Luca in cui narra che Gesù mandò 72 apostoli a due a due per evangelizzare (Lc. 10), Hadjadj ha ricordato come Gesù ci disarmi, ci privi di attrezzature per evangelizzare e il solo messaggio da portare è “Pace a questa casa!”.
Potrebbe sembrare una piccola cosa se non si riflette sulla beatitudine “beati i poveri in spirito”; solo così possiamo capire che la povertà è necessaria alla purezza dell’annuncio perché deriva da una legge metafisica e che ciò che è importante nell’evangelizzazione non è il modo ma il messaggio portato concretamente attraverso l’incontro con l’altro. I discepoli si recavano fisicamente con il loro corpo laddove Cristo non poteva arrivare, portandolo così a tanti altri fratelli. In questo senso attraverso un computer si possono sì inviare messaggi a tantissime persone contemporaneamente e distanti, ma manca l’incontro vero: una volta inviato, ci si può disconnettere mentre nella vita, nelle relazioni non è così, quello che conta non è fare o dire, ma esserci. A volte si sta a fianco a una persona anche senza parlare: quella è relazione.
Dopo aver ricordato che anche Gesù ha scelto di incarnarsi e non di scaricarsi nel programma del computer, ha concluso che la Salvezza - che non ha niente a che vedere con il “Salva” del computer -, è rivolta a dei nomi propri, non a dei nomi comuni ed è la salvezza di ogni volto nella sua singolarità.
Nelle conclusioni l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale umbra e vice presidente della Cei, ha tracciato una sintesi di tutto il convegno. “Questo incontro è il frutto di un'assunzione di responsabilità da parte di quanti hanno la piena consapevolezza di vivere all'interno di un eccezionale e delicatissimo periodo di transizione storica. Oggi, stiamo vivendo un momento di passaggio epocale, caratterizzato da profondi mutamenti culturali, geopolitici ed economici che, velocemente e bruscamente, stanno ridisegnando la geografia morale e culturale del mondo in cui viviamo. (…) Nessuno di noi è immune da responsabilità. Ognuno di noi ha il dovere di domandarsi il perché di questa situazione”. Ha poi sottolineato come questo tempo di crisi possa essere “un tempo favorevole, è un kairòs, un tempo nel quale accogliere la grazia di Dio e i segni dei tempi di cui ci ha parlato il Concilio. Un tempo che va compreso e che non va demonizzato. Sia per i credenti che per i non credenti”.
Mons. Bassetti ha concluso ricordando che questo per la Chiesa è il tempo dell'annuncio. “Un annuncio autentico e vigoroso della bellezza del Vangelo. Un Vangelo annunciato ad ogni persona, ai malati e ai bambini, ai poveri e alle famiglie. Un Vangelo annunciato, prima di tutto, agli ultimi. Una Chiesa che non annuncia il Vangelo è, infatti, una Chiesa ritirata nelle stanze vuote di una mondanità spirituale che non produce frutto. Una Chiesa che evangelizza è, invece, prima di tutto una chiesa di popolo. E in questi due giorni, forse, abbiamo visto e toccato con mano questo popolo”. Ha auspicato dunque una chiesa evangelizzatrice, missionaria, con "le porte aperte" per "uscire verso gli altri" e "giungere alle periferie umane" e “al servizio della promozione di tutto l’uomo e di ogni uomo”.
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