mercoledì, dicembre 18, 2013
Dovrebbe cominciare, come previsto, il 22 gennaio prossimo la più volte rinviata Conferenza internazionale di pace sulla Siria, la cosiddetta "Ginevra 2", che però, a dispetto del nome con cui è ormai indicata, si terrà in un'altra città elvetica, Montreux.

Radio Vaticana - A confermarlo il portavoce di Lakhdar Brahimi, inviato speciale congiunto di Nazioni Unite e Lega Araba per la crisi nel Paese mediorientale. Un appuntamento di primo piano su cui l’intera comunità internazionale punta per poter porre fine alle violenze quotidiane in Siria. Anche oggi bombardamenti hanno interessato diverse aree del Paese. E' di 18 scolari e due maestre uccise il bilancio di un raid aereo su una scuola primaria in un sobborgo di Aleppo, compiuto ieri dalle forze governative siriane. Lo denuncia la Coalizione nazionale siriana. Il conflitto, intanto, continua a produrre un’ondata di profughi senza precedenti. Tra i Paesi coinvolti sicuramente la Giordania; qui è stato creato il campo profughi di Zaatari, gestito dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. E proprio a Zaatari si trova il collega Matteo Marcelli, che al microfono di Salvatore Sabatino, racconta la situazione d’emergenza che vivono gli sfollati: ascolta

R. – La situazione rimane emergenziale. Certo, però, bisogna dire che l’impressione che ho io, guardandomi attorno, è certamente migliore qui, rispetto a qualche mese fa. Ovviamente, rispetto all’inverno scorso ci sono almeno la metà dei rifugiati. Questo, quindi, rende le cose più gestibili. Diciamo che Zaatari è pronto per l’inverno e diciamo che, dove c’erano tende, l’inverno scorso, ora ci sono per lo più caravan. Ma vedo anche negozi e una certa attività che, insomma, lascia sperare per il futuro.

D. – E’ questo momento, però, particolarmente delicato per questo campo profughi – che sorge, lo ricordiamo, nel deserto – a causa delle cattive condizioni meteo. E' nevicato moltissimo: questo quanto ha influito sulla qualità dia vita dei profughi?

R. – Certamente, le ultime manifestazioni da parte dei profughi sono legate proprio a questo. Il problema principale rimane il freddo. Hanno appena portato delle bombole per alimentare termosifoni a gas e questo ha, in qualche maniera, creato qualche agitazione. In sostanza, però, la situazione è abbastanza tranquilla. Certo, le condizioni non sono delle migliori, soprattutto per le famiglie che abitano nelle tende – e ce ne sono ancora molte – che sono ancora in attesa di un proprio container, che qui chiamano caravan.

D. – Si è fatto un gran parlare negli scorsi mesi anche di problemi legati alla sicurezza nel campo profughi di Zaatari...

R. – Quelli probabilmente rimarranno sempre. Si è parlato molto, quindi, di stupri, si è parlato molto di furti, ma certamente quelle sono dinamiche della popolazione interna che, ovviamente, l’Alto Commissariato non riesce a gestire e neanche le forze armate giordane sono in grado di tenere a freno. Sicuramente, dunque, è una situazione che purtroppo non può essere limitata o comunque può essere frenata ma non in maniera decisiva, proprio perché esistono delle dinamiche delle comunità, delle divisioni, delle gerarchie, che ovviamente sono molto più cogenti di quanto non siano le decisioni dell’Alto Commissariato e dei “camp manager” che sono qui.

D. – Nel contempo, però, c’è anche un grande senso di solidarietà tra la gente...

R. – Certo, sicuramente questo è alimentato molto dalle associazioni. Ma, ripeto, la situazione è migliorata e questo si può misurare dal fatto che Medici senza Frontiere non c’è più, la Caritas non c’è più. C’è, comunque, un clima, quindi, per quanto possibile, certamente migliore. Questo sì, è evidente.

D. – Questo campo profughi sorge in Giordania, un Paese che sta pagando delle conseguenze enormi della guerra in Siria. Tra l’altro, non sono stati stanziati fondi dal governo per gestire questa emergenza...

R. – No, i fondi sono, totalmente, quelli che vengono dall’Alto Commissariato Onu e dalle varie associazioni. Tra l’altro, parrebbe conclusa la costruzione di un altro campo, in un’altra zona, che è quella di Azraq. Un campo, costato 35 milioni, che sono tutti dell’Acnur. Certamente, la Giordania non è un Paese in grado di fornire aiuti da un punto di vista economico, però li ha già accolti, e qui dicono che sia già molto. Questa ovviamente è l’opinione. La maggior parte dei container vengono dall’Arabia Saudita e dal Kuwait e la maggior parte degli aiuti vengono da associazioni europee e nordamericane.

D. – Stando in Giordania, hai potuto evidentemente comprendere anche quelli che sono gli umori della popolazione locale, rispetto a questa ondata di profughi, che era imprevedibile...

R. – Questa è una situazione un po’ particolare, perché non ad Amman, ma andando verso il Sud, c’è gente che fa soldi sui rifugiati. Sapendo degli aiuti, molti locali affittano case – e per case intendiamo bilocali con il bagno fuori o senza bagno – per cifre che qui appaiono esorbitanti. Molte associazioni, infatti, danno soldi per pagare l’affitto a queste famiglie. C’è anche questo problema. Diciamo però che la popolazione giordana è molto favorevole e molto accogliente. Il problema è che, come dappertutto, c’è anche chi specula su questa gente.


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