giovedì, gennaio 23, 2014
Messaggio per la 48° Giornata mondiale delle comunicazioni sociali

di Paolo Fucili 

“Potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravivaci”, recitava tempo fa un fortunato spot pubblicitario. E quasi per tranquillizzare i telespettatori proseguiva: “ma noi siamo scienza, non fantascienza!”, passando a decantare le lodi di un televisore della mitica Telefunken. L’associazione di idee non sembri troppo bizzarra, ma il concetto assomiglia curiosamente ad una, forse però la più importante, delle pressanti esortazioni messe oggi nero su bianco da Francesco. Tanto più che la televisione c’entra pure, trattandosi del messaggio che ogni anno il Papa indirizza a professionisti ed operatori dei mass media nella ricorrenza (domani) del patrono dei giornalisti san Francesco di Sales, in vista della prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 1 giugno
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“La nostra luminosità”, per dirla dunque con le sue stesse parole, “non provenga da trucchi o effetti speciali”, appunto, “ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino”. E non è affatto questione di snobbare con stolida superiorità tutti i ritrovati che la tecnologia del comunicare ora ci offre. Roba che, per capirci, i televisori di quella reclame son pezzi di antiquariato al confronto.

Ma qualunque sia lo strumento, il medium appunto, vero comunicare rimane per Francesco una conquista “umana” più che “tecnologica”. Prendiamo internet, per esempio, per apprendere dal messaggio che anch’esso, se qualcuno dubitasse ancora del pensiero della Chiesa al riguardo, è nientemeno che “un dono di Dio”, al pari di tutto ciò che fa incontrare e solidarizzare tra loro persone e popoli. Lo diceva già il predecessore Giovanni Paolo II, cui peraltro non sfuggivano neppure pericoli che nel frattempo lo sviluppo e la diffusione dell’utilizzo della rete delle reti hanno amplificato a dismisura.

“La velocità dell’informazione”, osserva oggi il Papa argentino, “può superare la nostra capacità di espressione e di giudizio e non permette un’espressione di sé misurata e corretta”. La potenza straordinaria del mezzo vale a dire quasi sopravanza la nostra povera capacità di elaborare i contenuti da attingervi oppure da immettervi. Pensiamo, tanto per esemplificare, all’effetto di strampalato scialbore navigando su certi social network, oppure alla sterminata mole di commenti, “post”, “condivisioni”, discussioni con cui un fatto di attualità o una notizia rimbalzano all’infinito nel web. Il quale per alcuni è lo spazio più “democratico” che ci sia, tanto da rasentare a volte una disorientata e disorientante anarchia, vien da commentare.

La domanda a questo punto è, come intelligentemente la pone Francesco, “che cosa ci aiuta nell’ambiente digitale a crescere in umanità e comprensione reciproca?”. Risposte suggerite di seguito, “recuperare un certo senso di lentezza e di calma”, che a loro volta richiedono tempo e pure silenzio. Poi la pazienza di ascoltare e capire il diverso da noi, che esprimerà pienamente se stesso non certo quando sarà semplicemente “tollerato”, ma solo se si sentirà “accolto”. “Allora impareremo a guardare il mondo con occhi diversi e ad apprezzare l’esperienza umana come si manifesta nelle varie culture e tradizioni”.

E anche se qualcuno non fosse d’accordo, difficilmente negherà comunque che l’odierna civiltà della comunicazione globale ha disperato bisogno di “cultura dell’incontro”, come ama chiamarla Bergoglio, che pure in questo messaggio è tornato ad invocarla nei passaggi che non a caso suonano come più “personali” e “appassionati”. E’ il bisogno di mettere in comunicazione tra loro (superando una “scandalosa distanza”) le luci sfavillanti dei negozi e i poveri che vivono su quello stesso marciapiede, per dirla con la stessa schietta immagine che il Papa ha usato. Oppure le parti divise da conflitti economici, politici, ideologici o persino religiosi.

Un “comunicatore” d’eccezione, forte soprattutto con le parabole (non satellitari), lo spiegò già 2000 anni fa, alla domanda di uno scriba su “chi è il mio prossimo?”. Chi “comunica”, nell’esegesi che il messaggio sviluppa di quell’istruttiva pagina evangelica, fa né più né meno quel che il buon samaritano fece allo sventurato incappato in un agguato di briganti: si fa “prossimo”, cioè, all’altro, superando pure pregiudizi e incomprensioni.

Tutta la questione, in fondo, è di disarmante semplicità. “Non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi. Abbiamo bisogno di amare ed essere amati”. Ecco perché comunicare non è solo il mero essere “connessi”. Ci vuole un “incontro vero”, fatto di bellezza, bontà e verità che nessuna strategia comunicativa può darsi da sola. E ancora, prosegue il messaggio con toni sempre più ispirati, anche nell’“ambiente digitale” esistono “periferie esistenziali”; anche per quelle strade “affollate di umanità spesso ferita” il Vangelo può viaggiare “fino ai confini della terra”. La comunicazione così intesa si capisce quindi perché è parte integrante della vocazione missionaria della Chiesa; “e le reti sociali sono oggi uno dei luoghi in cui vivere questa vocazione a riscoprire la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con Cristo”.

Però bisogna saper scaldare i cuori, come Chiesa. Non si tratta in concreto solo di “bombardare” ogni medium di messaggi religiosi. “Pensiamo all’episodio dei discepoli di Emmaus”, suggerisce e conclude Francesco. Come quell’episodio mostra ancora oggi, “occorre sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze, e offrire loro il Vangelo, cioè Gesù Cristo. E questa sfida chiede al comunicatore “profondità, attenzione alla vita, sensibilità spirituale”, più che qualsiasi effetto speciale. Con la significativa postilla che il dialogo si fa solo nella convinzione che pure l’interlocutore abbia qualcosa di buono da dare: e questo non è “rinunciare alle proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute”.


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