Rosarno, 4 anni dopo la rivolta
Liberainformazione - L’acaro della scabbia è un parassita invisibile che si inocula sottopelle. Prima causa forti pruriti, poi rossori. È una malattia infettiva che nasce da scadenti condizioni igieniche. Tre lavoratori africani hanno preso la scabbia nella tendopoli del Ministero dell’Interno. Molti anni fa «Medici Senza Frontiere» scrisse: «arrivano sani, si ammalano in Italia». Nessuno poteva immaginare che un giorno le infezioni sarebbero state contratte sotto gli stemmi della Repubblica. La tendopoli è stata installata lo scorso anno, a raccolta abbondantemente finita. Per mesi è rimasta in completo stato di abbandono. Alla vigilia della nuova stagione, sono nate intorno numerose baracche autocostruite e i consueti servizi autogestiti di tutte le bidonville africane. Infezioni contratte sotto gli stemmi della Repubblica. Piccoli negozi, grate per arrostire polli, persino una tettoia dove si vende l’acqua calda a pochi centesimi per secchio. Una doccia è un’operazione lunga e laboriosa. Nell’umidità invernale non è facile. Bruciare la legna, evitare il fumo che invade i polmoni, mettere sopra il fuoco grossi barili di latta nera, dividere l`acqua calda nei secchi.
Il paradosso casertano
«Mi aspettano a Montpellier, perché devo lasciare le impronte a Caserta?». M. viene da Mali e sta lavando la sua macchina con targa francese. Non lucida una berlina scassata, sta accarezzando un sogno che corrisponde al nome di una città francese. Lavoro, servizi, dignità e tanti amici. Gli brillano gli occhi quando parla della Francia. È bloccato in Italia da una catena di carta, cioè il foglio della Questura di Caserta dove dovrà lasciare le impronte utili alla richiesta d’asilo. Fingerprints, spiega. Una sola parola che può diventare la sua prigione invisibile, chiudendo per sempre le porte della Francia. Rischierà l`espulsione come richiedente asilo in Italia. Ma il problema è che dell’Italia ne ha abbastanza. L`arrivo a Lampedusa, poi il centro di Pian del Lago a Caltanissetta. Quindi Brescia, Bergamo, Ravenna. «Ho sempre fatto tanti lavori», dice. E ora deve aspettare che la legna riscaldi l`acqua. Dimenticando di essere in Europa. «Mi aspettano a Montpellier, perché devo lasciare le impronte a Caserta?». Prince è ghanese, abitava a Ballarò, un pezzo d’Africa nel cuore di Palermo. «Il sindaco è mio papà», spiega. «Abbiamo fatto la raccolta dei sacchi a pelo. Ci sono circa 72 tende (ognuna con 7 abitanti) più le baracche intorno», dice Modafferi, che oggettivamente sembra l`unico a cui importi qualcosa della tendopoli. Dietro di lui gli africani anglofoni. Quando ci fu la rivolta, scrissero su muri ‘noi saremo ricordati`. Non stavano vivendo la cronaca di una ribellione, ma la prosecuzione della secolare storia contro lo schiavismo. Un gruppo di liberiani è scandalizzato dal degrado prodotto dal governo italiano. Il loro paese nacque come terra promessa degli schiavi statunitensi. Un loro connazionale è da poco morto in Europa dopo essere sfuggito alla guerra civile africana.
Drammi infiniti e soluzioni tampone
San Ferdinando è il piccolissimo comune nel cui territorio sorge la tendopoli. Cinquemila abitanti da un lato, mille africani dall’altro. Più un numero indefinito di bulgari e rumeni che abitano in paese. Secondo Domenico Modafferi, il sindaco, basterebbero tra 7 e 10mila euro al mese per l`allaccio elettrico. Le situazioni più gravi sarebbero contenute. E invece le autorità sanitarie hanno certificato i casi di malattia, ispezionato la tendopoli e deciso che non è idonea. Nessuno può sgomberarla senza trovare un`alternativa. Sono arrivati 40mila euro per una disinfestazione straordinaria, ma non risolveranno nulla. Come ogni anno, drammi infiniti e soluzioni tampone. Gli africani non votano. Nessuno si impegnerà più di tanto. Non c`è un ente gestore, un elenco dei presenti, un intervento strutturato. Secondo il sindaco, le voci sulle malattie infettive hanno allontanato qualche volontario. Nessun pericolo, in realtà, perché Emergency sta monitorando la situazione. Ma gli africani sono sempre più soli e arrabbiati.
Il bene confiscato e l’interdittiva antimafia
L`ennesima storia paradossale rosarnese inizia già prima della rivolta. C`erano i commissari al Comune sciolto per mafia e i fondi europei. L’idea è un centro di accoglienza per migranti da costruire su un bene confiscato ai boss del paese. Da ottobre i lavori sono fermi dopo l`interdittiva antimafia della Prefettura di Roma. Una delle ditte del consorzio che stava costruendo il centro è considerata vicina agli uomini di Riina. Contratti rescissi in tutta Italia, da Milano a Rosarno. Elisabetta Tripodi scende all`utilitaria con due uomini della scorta. Racconta questa storia con amarezza. Niente è facile qui. Sindaco, donna, mamma. La mattina difende 25 milioni di fondi europei dagli appetiti dei clan, la sera si occupa dei figli. Impegnata nell`antimafia dei fatti. Cioè appalti puliti e segnali che non lasciano dubbi. «Sento l`isolamento, dopo la costituzione di parte civile al processo contro ‘ndrangheta molte persone non mi salutano più. E i miei figli sono stati insultati a scuola».
No foto
«Se mi vedo in televisione ti denuncio». Da un lato l`operatore della Rai, telecamera spianata. Dall’altro un lavoratore africano. Scende da un furgone carico di arance, si accorge di essere ripreso, urla di spegnere, infine prende la targa degli uomini della televisione nazionale. «La gente ride quando vede come vivono gli africani. Non voglio essere più fotografato», ci spiega un lavoratore del Madagascar. Non ne può più di video e immagini. «Alcuni giornalisti hanno detto che avrebbero inquadrato solo i piedi e poi hanno ripreso tutto». Chi viveva in appartamento, chi aveva un normalissimo lavoro a Brescia o Vicenza ha subito un peggioramento inaspettato. E qui subisce la prima offesa, essere immortalato in condizioni di degrado. E la seconda, sentirsi dire ‘al tuo paese vivevi così. Pulizie post-atomiche. Gli unici soldi sono per disinfestare
Pulizie dell’apocalisse
Due uomini con tute bianche e mascherina stanno facendo la pulizia straordinaria, unico intervento finanziato. Sullo sfondo dei nuvoloni neri sembrano usciti dall`apocalisse. In realtà sono due vittime della crisi che prosciuga il territorio: «Ex valturini», spiegano, dal nome del villaggio turistico di Nicotera marina ora chiuso. Non dialogano le due crisi, migranti e italiani rimangono mondi separati. I sequestri ai Pesce, veri padroni di Rosarno fino all`altro ieri, sono diventati confische. Supermercati, aziende, immobili. Ma anche negozi di vestiti e pompe di benzina. Mezzo paese coi sigilli. Lo Stato ora si gioca tutto. Creando disoccupazione avrà rafforzato l`idea che ‘coi mafiosi si lavorava. Un amico di Prince sta veramente male. Ha la febbre alta, non si muove. Inizia a piovere. E’ grave domenica, la situazione può degenerare. Il sindaco chiama il 118, quattro telefonate servono a spiegare la gravità della situazione. La sciatteria della sanità calabrese ha già ucciso. Mentre attendiamo sotto la pioggia l`ambulanza impiega 40 minuti ma arriva. Per questa volta nessuna tragedia.
Liberainformazione - L’acaro della scabbia è un parassita invisibile che si inocula sottopelle. Prima causa forti pruriti, poi rossori. È una malattia infettiva che nasce da scadenti condizioni igieniche. Tre lavoratori africani hanno preso la scabbia nella tendopoli del Ministero dell’Interno. Molti anni fa «Medici Senza Frontiere» scrisse: «arrivano sani, si ammalano in Italia». Nessuno poteva immaginare che un giorno le infezioni sarebbero state contratte sotto gli stemmi della Repubblica. La tendopoli è stata installata lo scorso anno, a raccolta abbondantemente finita. Per mesi è rimasta in completo stato di abbandono. Alla vigilia della nuova stagione, sono nate intorno numerose baracche autocostruite e i consueti servizi autogestiti di tutte le bidonville africane. Infezioni contratte sotto gli stemmi della Repubblica. Piccoli negozi, grate per arrostire polli, persino una tettoia dove si vende l’acqua calda a pochi centesimi per secchio. Una doccia è un’operazione lunga e laboriosa. Nell’umidità invernale non è facile. Bruciare la legna, evitare il fumo che invade i polmoni, mettere sopra il fuoco grossi barili di latta nera, dividere l`acqua calda nei secchi.
Il paradosso casertano
«Mi aspettano a Montpellier, perché devo lasciare le impronte a Caserta?». M. viene da Mali e sta lavando la sua macchina con targa francese. Non lucida una berlina scassata, sta accarezzando un sogno che corrisponde al nome di una città francese. Lavoro, servizi, dignità e tanti amici. Gli brillano gli occhi quando parla della Francia. È bloccato in Italia da una catena di carta, cioè il foglio della Questura di Caserta dove dovrà lasciare le impronte utili alla richiesta d’asilo. Fingerprints, spiega. Una sola parola che può diventare la sua prigione invisibile, chiudendo per sempre le porte della Francia. Rischierà l`espulsione come richiedente asilo in Italia. Ma il problema è che dell’Italia ne ha abbastanza. L`arrivo a Lampedusa, poi il centro di Pian del Lago a Caltanissetta. Quindi Brescia, Bergamo, Ravenna. «Ho sempre fatto tanti lavori», dice. E ora deve aspettare che la legna riscaldi l`acqua. Dimenticando di essere in Europa. «Mi aspettano a Montpellier, perché devo lasciare le impronte a Caserta?». Prince è ghanese, abitava a Ballarò, un pezzo d’Africa nel cuore di Palermo. «Il sindaco è mio papà», spiega. «Abbiamo fatto la raccolta dei sacchi a pelo. Ci sono circa 72 tende (ognuna con 7 abitanti) più le baracche intorno», dice Modafferi, che oggettivamente sembra l`unico a cui importi qualcosa della tendopoli. Dietro di lui gli africani anglofoni. Quando ci fu la rivolta, scrissero su muri ‘noi saremo ricordati`. Non stavano vivendo la cronaca di una ribellione, ma la prosecuzione della secolare storia contro lo schiavismo. Un gruppo di liberiani è scandalizzato dal degrado prodotto dal governo italiano. Il loro paese nacque come terra promessa degli schiavi statunitensi. Un loro connazionale è da poco morto in Europa dopo essere sfuggito alla guerra civile africana.
Drammi infiniti e soluzioni tampone
San Ferdinando è il piccolissimo comune nel cui territorio sorge la tendopoli. Cinquemila abitanti da un lato, mille africani dall’altro. Più un numero indefinito di bulgari e rumeni che abitano in paese. Secondo Domenico Modafferi, il sindaco, basterebbero tra 7 e 10mila euro al mese per l`allaccio elettrico. Le situazioni più gravi sarebbero contenute. E invece le autorità sanitarie hanno certificato i casi di malattia, ispezionato la tendopoli e deciso che non è idonea. Nessuno può sgomberarla senza trovare un`alternativa. Sono arrivati 40mila euro per una disinfestazione straordinaria, ma non risolveranno nulla. Come ogni anno, drammi infiniti e soluzioni tampone. Gli africani non votano. Nessuno si impegnerà più di tanto. Non c`è un ente gestore, un elenco dei presenti, un intervento strutturato. Secondo il sindaco, le voci sulle malattie infettive hanno allontanato qualche volontario. Nessun pericolo, in realtà, perché Emergency sta monitorando la situazione. Ma gli africani sono sempre più soli e arrabbiati.
Il bene confiscato e l’interdittiva antimafia
L`ennesima storia paradossale rosarnese inizia già prima della rivolta. C`erano i commissari al Comune sciolto per mafia e i fondi europei. L’idea è un centro di accoglienza per migranti da costruire su un bene confiscato ai boss del paese. Da ottobre i lavori sono fermi dopo l`interdittiva antimafia della Prefettura di Roma. Una delle ditte del consorzio che stava costruendo il centro è considerata vicina agli uomini di Riina. Contratti rescissi in tutta Italia, da Milano a Rosarno. Elisabetta Tripodi scende all`utilitaria con due uomini della scorta. Racconta questa storia con amarezza. Niente è facile qui. Sindaco, donna, mamma. La mattina difende 25 milioni di fondi europei dagli appetiti dei clan, la sera si occupa dei figli. Impegnata nell`antimafia dei fatti. Cioè appalti puliti e segnali che non lasciano dubbi. «Sento l`isolamento, dopo la costituzione di parte civile al processo contro ‘ndrangheta molte persone non mi salutano più. E i miei figli sono stati insultati a scuola».
No foto
«Se mi vedo in televisione ti denuncio». Da un lato l`operatore della Rai, telecamera spianata. Dall’altro un lavoratore africano. Scende da un furgone carico di arance, si accorge di essere ripreso, urla di spegnere, infine prende la targa degli uomini della televisione nazionale. «La gente ride quando vede come vivono gli africani. Non voglio essere più fotografato», ci spiega un lavoratore del Madagascar. Non ne può più di video e immagini. «Alcuni giornalisti hanno detto che avrebbero inquadrato solo i piedi e poi hanno ripreso tutto». Chi viveva in appartamento, chi aveva un normalissimo lavoro a Brescia o Vicenza ha subito un peggioramento inaspettato. E qui subisce la prima offesa, essere immortalato in condizioni di degrado. E la seconda, sentirsi dire ‘al tuo paese vivevi così. Pulizie post-atomiche. Gli unici soldi sono per disinfestare
Pulizie dell’apocalisse
Due uomini con tute bianche e mascherina stanno facendo la pulizia straordinaria, unico intervento finanziato. Sullo sfondo dei nuvoloni neri sembrano usciti dall`apocalisse. In realtà sono due vittime della crisi che prosciuga il territorio: «Ex valturini», spiegano, dal nome del villaggio turistico di Nicotera marina ora chiuso. Non dialogano le due crisi, migranti e italiani rimangono mondi separati. I sequestri ai Pesce, veri padroni di Rosarno fino all`altro ieri, sono diventati confische. Supermercati, aziende, immobili. Ma anche negozi di vestiti e pompe di benzina. Mezzo paese coi sigilli. Lo Stato ora si gioca tutto. Creando disoccupazione avrà rafforzato l`idea che ‘coi mafiosi si lavorava. Un amico di Prince sta veramente male. Ha la febbre alta, non si muove. Inizia a piovere. E’ grave domenica, la situazione può degenerare. Il sindaco chiama il 118, quattro telefonate servono a spiegare la gravità della situazione. La sciatteria della sanità calabrese ha già ucciso. Mentre attendiamo sotto la pioggia l`ambulanza impiega 40 minuti ma arriva. Per questa volta nessuna tragedia.
di Antonello Mangano il 16 gennaio 2014. Calabria
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