mercoledì, gennaio 29, 2014
“Sono padre Francis Van der Lught e vi parlo dalla città vecchia di Homs. Qui il problema principale è la fame. La gente non ha più da mangiare”: comincia così l’appello di questo padre gesuita di origini olandesi, da decenni in Siria, diffuso ieri su You Tube da attivisti del quartiere di Bustan al Diwan. 

Misna - “Rappresento le comunità cristiane che si trovano qui” afferma il religioso, unico europeo rimasto nella città assediata da oltre un anno e mezzo, aggiungendo che “insieme ai musulmani viviamo in una situazione difficile e dolorosa”. Niente è più doloroso, dice il religioso, “che vedere le madri per strada in cerca di cibo per i loro figli”. Qualcuno, dietro la telecamera, gli chiede: “Pensa che la comunità internazionale farà qualcosa mentre moriamo di fame, oppure resterà in silenzio?” Padre Francis risponde: “In queste condizioni è impossibile che la comunità internazionale e noi tutti assieme non facciamo nulla. Non accetto che moriamo di fame. Non accetto che anneghiamo nel mare della fame, facendoci travolgere dalle onde della morte. Noi amiamo la vita, vogliamo vivere. E non vogliamo sprofondare in un mare di dolore e sofferenza”.

Intanto a Montreux, località della Svizzera nei pressi di Ginevra, sono ripresi oggi i colloqui tra opposizione siriana e rappresentanti del governo di Damasco dopo che questi ultimi li avevano interrotti ieri, accusando gli Stati Uniti di armare i ribelli. La notizia – circolata con fonti anonime su diverse testate americane – riferiva che il Congresso Usa ha “discretamente” approvato l’invio di armi “leggere” come razzi anticarro, ma non missili terra-aria tipo Stinger, ai gruppi armati moderati che combattono contro il regime di Damasco.

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