martedì, febbraio 11, 2014
Fare l’attore è il sogno di molti e i sogni non sfumano finché le persone non li abbandonano. 

di Simona Santullo 

Michele D’Anca non ha abbandonato il suo sogno e dalla sua voce traspare tutta la moralità e l’onestà di un uomo che ha trovato la propria strada e l’ha seguita coraggiosamente. Una strada che ha richiesto sacrifici, tanto studio tanta preparazione e la determinazione a non mollare mai. Oggi ha risposto alle nostre domande e lo ha fatto con molta semplicità e simpatia.

D - Salve Michele, dopo averti rincorso tanto finalmente ho la mia intervista, grazie davvero per la tua disponibilità.

R - Prego. Finalmente ci siamo riusciti, eccomi qua.

D - Ho tante cose da chiederti quindi inizio subito con la prima domanda. Attore e doppiatore italiano, il tuo primo film arriva nel 1999 con “Lo chiamarono briganti” film per il cinema con la regia di Pasquale Squitieri. Prima ovviamente c’è stata tanta scuola e tana gavetta. Quanto è stata dura arrivare fin qui?


R – E’ stata durissima perché la mia è una vera formazione classica. Ho iniziato a diciotto anni e a diciannove sono entrato in accademia. Dopo la laurea ci sono stati quattordici anni di teatro continuo con tante compagnie, dove i ruoli si conquistano a fatica e si respira polvere di palcoscenico. Si fa davvero tanta gavetta e la mia fortuna è stata quella di aver lavorato con artisti importanti quindi di esperienza ne ho fatta davvero tanta. D'altronde non puoi arrivare a ottenere certi risultati se non hai una formazione di questo tipo.

D – Nel 2004 interpreti Enzo Parisi in Caterina e le sue figlie insieme a Virna Lisi, Alessandra Martines, Valeria Milillo, Martina Pinto, ce ne parli un po’?
 
R – Quella è stata una scintilla molto importante per la mia carriera artistica, perché da quel ruolo molto piccolo ma molto importante è nato un bellissimo rapporto di stima e di collaborazione professionale con Fabio Jephcott che da lì mi ha introdotto in un altro bellissimo ruolo dove recitai con Gigi Proietti nella serie tv “Il Maresciallo Rocca” con la regia di Giorgio Capitani. Giorgio Capitani poi mi scelse per interpretare un altro ruolo molto bello nella miniserie televisiva del 2007 “ Il generale Dalla Chiesa”, dove interpretavo Carlo e dove recitai con Giancarlo Giannini. Quella fu una produzione Endemol, lì mi notò Massimo del Frate che per l’appunto è il Direttore Dipartimento Fiction presso Endemol Italia, e fui scelto per Centovetrine che poi mi ha dato il successo. Insomma da cosa nasce cosa, l’importante è lavorare bene e fare i propri passi con umiltà. Non devo ringraziare nessuno, nel senso che avendo io percorso un corridoio pulito, si va avanti solo a fatica, lavorando, sudando e col talento, se c’è.

D – Nel 2007 sei nel cast de “Il generale Dalla Chiesa”, un cast importante, una miniserie in due puntate con un record di ascolti in entrambe le serate. Come mai questo successo secondo te?


R - Tutte le fiction dove ho partecipato in prima serata hanno sempre avuto ascolti da record, ovviamente non per merito mio, ma è una bella soddisfazione. Comunque sia lavorare in prodotti di successo è una bella soddisfazione ed è importantissimo. È importante per farsi notare, per farsi le ossa, è importante perché lavori a fianco a grandi attori com’è successo per me che ho lavorato con Terence Hill, Giancarlo Giannini, Gigi Proietti… devo dire che ho sempre fatto la prima serata con ottimi ascolti.

D – Nel 2009 arriva Centovetrine, dove interpreti Sebastian Castelli, un bell’uomo d’affari cinico che agisce sempre o di solito ai limiti dell’illegalità. Ovviamente questo nella fiction, ma nella vita reale come sei? 

R – Questo è il mistero dell’attore, non si sa mai dov’è il limite. Quello che c’è di mio in Sebastian Castelli? C’è la mia voce, le mie emozioni, la mia anima la mia passione per questo lavoro che amo, direi che siamo ai limiti della vocazione. Poi c’è di mio la passionalità con cui amo interpretare i personaggi dal grande cuore, sia capaci di odiare, sia capaci di amare, ma intensamente. Non so poi perché, ma ultimamente ho sempre interpretato personaggi cattivi e allora sono diventato “ il cattivo”, ma non è così.

D – Tu fai e hai fatto anche molto teatro. Come vivi queste due differenti realtà che fanno parte della tua vita professionale?
 
R – Per me sono due cose completamente diverse. Il teatro ti mette veramente a dura prova. È uno spazio estremo, sei a contatto con il pubblico quindi ti da un piacere immenso, un’emozione immensa, a volte anche troppo. A me invece piace lavorare sul dettaglio delle cose, avere la possibilità di lavorare su dettagli anche piccoli, quindi tecnicamente mi sento più affine alla telecamera o alla macchina da presa. Nel teatro c’è questo eccesso di riempire tutta la sala che a volte per me è un po’ troppo, a parte l’impatto emotivo che è bellissimo, io mi rilasso di più lavorando sul set. Amo comunque il teatro, il palcoscenico perché è lì che mi sono formato ed è quello che prepara un attore a livello totale. Sicuramente ci tornerò. Vediamo come e vediamo quando.

D – Michele sei uno dei personaggi storici di Centovetrine, quanto è cambiata la tua vita privata grazie a questa continuità lavorativa e quanto invece è cambiato Sebastian Castelli all’interno della soap? 

R – Vita privata poco, nel senso che si vive forse più tranquillamente perché se c’è un lavoro precario per eccellenza, quello è sicuramente il lavoro dell’attore; non si è mai sicuri di niente, oggi lavori domani no, e comunque devi sempre darti da fare per sbarcare il lunario. Mi ha dato sicuramente una certa sicurezza economica e vivo certamente più rilassato, questo è indubbio. La continuità lavorativa è poi importante per un attore perché è una palestra. Stare tutti i giorni sul set è importante perché sei sempre in allenamento, fai sempre scene diverse, sempre situazioni diverse, sei sempre pronto a metterti in gioco e questo è importantissimo. Poi è arrivata la fama e il successo grazie agli autori e al prodotto di successo che è Centovetrine quindi c’è, come in tutte le cose, a volte il piacere a volte il fastidio di essere assediato dai fan, ma fa parte del lavoro. Ho comunque un bellissimo rapporto con il mio pubblico, ma devo ammettere che a volte ci sono situazioni un po’ eccessive.

D – Tu sei un uomo molto bello e affascinante, questo non lo possiamo assolutamente negare. Quanto conta la bellezza per chi decide di voler lavorare in questo mondo?


R – Ma i belli sono altri… fascino e carisma sono probabili ma quelli non sono nemmeno una cosa mia, sono un dono degli Dei, come si dice, ci si nasce… preferisco essere ricordato per il talento, per la bravura. Sì, sicuramente piaccio e non posso dire di no. Quanto è importante? È importantissimo perché il lavoro dell’attore soprattutto sullo schermo si fa con la faccia, con gli occhi, con l’espressività dello sguardo che sono importanti, e se queste cose non ti dicono niente, non ti dice niente nemmeno il personaggio, quindi è importantissimo. Se poi c’è del talento, dell’espressività in un volto esteticamente piacevole beh allora abbiamo fatto bingo. È un’alchimia che permette di funzionare e di piacere come interprete a tutti i livelli.

D – Sei diventato ciò che volevi o hai qualche rimpianto?

R – No un artista non può mai considerarsi arrivato. Se si considera arrivato a mio avviso è morto. Quindi no, non sono arrivato dove volevo perché se penso a quelle che erano le mie ambizioni di diventare un grande attore di teatro oppure di vincere degli Oscar, allora no, non ci siamo anzi, siamo molto lontani, però siamo su una strada e l’importante è essere su una strada giusta poi si vedrà dove si arriva. Credo che l’importante sia lavorare sempre bene cercare di ottenere sempre ottimi risultati e di dare sempre il massimo. Sono fortunato. Vivo del mio lavoro e del lavoro che mi piace fare, e già questa è una grande cosa che auguro a tutti quanti. Vivo di ciò che è sempre stato il mio sogno cioè quello di essere e di diventare un bravo attore e quindi ci siamo. A me piacciono le sfide, i confronti quindi mi piacerebbero bei ruoli con colleghi importanti, quindi…vedremo quello che arriverà, sono discorsi che vanno introdotti in un certo modo e piano piano ci arriveremo.

D - Cos’è per te l’amore?

R – L’amore è un grande mistero; è il mistero dei misteri… non saprei proprio cosa dire. L’amore è…non lo so, mi ci interrogo spesso, a volte non mi ci interrogo per niente perché tanto non lo capiremo mai. L’importante adesso è incontrare la persona con cui si sta bene e con cui si è sereni.

D – Tu sei anche un doppiatore importante, come è iniziata la tua carriera da doppiatore?

R - Diciamo che mi sono sempre definito un attore prestato al doppiaggio. Quello del doppiaggio è un ambiente molto chiuso e prima di arrivare a doppiare grandi attori si deve fare una gavetta allucinante. Ho doppiato film importanti, questo sì. Il lavoro del doppiaggio l’ho iniziato tardi, ma lo faccio tuttora e anche ieri sono stato in sala doppiaggio. È un lavoro importante perché: 1) ti permette di vivere e di pagare le bollette, nella precarietà di questo lavoro, l’opportunità lavorativa che ti da il doppiaggio è importante; 2) è molto importante anche a livello tecnico perché il doppiaggio t’insegna a essere naturale, vero, a eliminare accenti, difetti, intonazioni e ti abitua al controllo totale dell’uso della voce.

D – Qual è la difficoltà più grande che puoi incontrare quando sei sul set?

R – In genere è il rapporto con i registi, perché raramente per non dire mai ho incontrato registi capaci di lavorare bene con gli attori. Con il tempo però ho imparato a rapportarmi con la regia e a collaborare.

D – La cosa più bella che ti sia stata detta in merito alla tua professione?

R – Ultimamente di cose belle ne dicono davvero tante che non saprei cosa scegliere. Serietà, professionalità, la classe, lo stile con cui faccio le cose, sono davvero tante e belle, cose che m’imbarazzano e mi emozionano, grazie davvero.

D – Ultima domanda poi ti lascio andare perché sei molto impegnato. Sei molto presente sul tuo profilo facebook, a intuito credo che tu sia anche molto disponibile con i tuoi fan, giusto?

R – Sì, è così, a volte più a volte meno, ma cerco di solito di occuparmene personalmente.

L’intervista è finita e le parole di Michele D’Anca ci fanno capire che la recitazione deve venire dal cuore, bisogna sentirla nell’anima, bisogna volerla profondamente, ma non basta. Fondamentale in questo lavoro è il talento che conta davvero e Michele D’Anca di talento ne ha da vendere.


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