domenica, febbraio 16, 2014
Il Papa ha lanciato oggi questo nuovo tweet con l'hastag #prayforpeace:

Radio Vaticana - "Preghiamo per la pace in Africa, specialmente nella Repubblica Centroafricana e nel Sud Sudan". Su questo appello, Alessandro Gisotti ha intervistato la dott.ssa Flaminia Giovanelli, sottosegretario del Pontificio consiglio "Giustizia e Pace": ascolta
R. - Il Papa risponde ad un preciso dovere: il Papa non può dimenticare quello che sta succedendo in questi posti che sono certamente lontani, ma la Chiesa si interessa all’uomo, per cui ha a cuore il bene di ogni uomo e di ogni donna, i quali hanno questa aspirazione connaturale alla pace. E’ importante anche il modo in cui il Papa richiama l’attenzione: richiama l’attenzione con la preghiera! E’ soltanto così, secondo me, che un appello non è sterile. La prima reazione infatti potrebbe essere: “Va bene, ma noi cosa possiamo fare? Succedono queste cose, ma che cosa possiamo fare?”. E il Papa dice di fare qualcosa: dice di pregare! Direi che solo così l’appello non è sterile, proprio perché è un appello alla preghiera, perché la pace è un dono di Dio, ma è affidato agli uomini.

D. - C’è un ruolo del Papa per la pace del mondo, ovviamente non solo di Papa Francesco, nella preghiera, così come nella diplomazia, così come negli interventi. Pensiamo, per esempio, al discorso di Papa Francesco al Corpo Diplomatico…

R. - Certo! Questo è stato un richiamo fortissimo! Ecco, lì rivolgendosi alla Comunità internazionale indica delle strade da percorrere: infatti chiede l’interessamento della Comunità internazionale, che ci siano negoziati… Direi che a seconda delle circostanze, il Papa si rivolge giustamente in modo adeguato. Soprattutto nel discorso al Corpo Diplomatico di quest’anno, molta attenzione il Papa l’ha dedicata proprio al conflitto nella Repubblica Centrafricana.

D. - Ci sono le guerre dimenticate, però c’è anche l’azione quotidiana, nascosta, nel nascondimento di tante persone, in particolare di missionari, di religiosi e religiose e anche di laici…

R. - Il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, un paio di anni fa, ha organizzato una riunione del Catholic Peacebuilding Network, una rete di collegamento fra i vari religiosi, ma anche organizzazioni cattoliche, che si dedicano - appunto - alla costruzione della pace. Lì sottolinearono anche il ruolo delle donne, che sono purtroppo le prime vittime - insieme con i bambini e con i vecchi - dei conflitti, ma sono anche portatrici di capacità di costruire la pace. Noi possiamo mettere un volto dietro a una situazione ed è già diverso e si può anche pregare per le persone in questo modo. Diciamo che questa presenza stessa in momenti di conflitti e di guerra, ha un significato enorme. Pensiamo anche al fatto che le nunziature apostoliche non chiudono: gli altri ambasciatori sono andati via da Damasco e mons. Zenari è ancora lì; oppure pensiamo al cardinale Filoni, quando era nunzio apostolico a Baghdad ed era l’unico che era rimasto … E non è soltanto poi quella della Chiesa una presenza nel momento del conflitto, ma anche della costruzione della pace. Parlando del Sud Sudan mi viene in mente, per esempio, la storia straordinaria di quel sacerdote medico, salesiano, coreano, padre John Lee: che cosa non ha fatto - poi è morto molto giovane - padre Lee per costruire la pace, perché la pace, lo sappiamo, non è soltanto assenza di guerra, ma è dare la possibilità ad ogni essere umano di diventare quello che è. C’è tutto questo aiuto, che c’è proprio anche nella costruzione della pace, che si fa attraverso l’educazione, la formazione e lo sviluppo.


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