Accadde un anno fa eppure sembra trascorso per certi aspetti un giorno, per altri versi un secolo.
di Elisabetta Lo Iacono
Un anno fa veniva eletto come 266° pontefice della Chiesa cattolica il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio. Da arcivescovo di Buenos Aires a vescovo di Roma, dalla fine del mondo al centro dell'Europa e di un mondo sempre più secolarizzato ma bisognoso di quella misericordia e tenerezza che solo Dio può dare, anche attraverso il successore di Pietro. Papa Francesco lo abbiamo subito apprezzato per la semplicità, la spontaneità e l'attenzione per gli altri, ultimi in primis, ispirandosi a quell'amore di cui è stato straordinario testimone san Francesco di Assisi. Proprio quel Francesco cui il cardinale Bergoglio ha guardato per la scelta del nome, per un omaggio ma soprattutto un impegno nella ricerca della pace, nell'attenzione verso il creato e i poveri, come spiegò nella sua prima udienza, appena tre giorni dopo l'elezione, riservata ai giornalisti che erano giunti a Roma da ogni parte del mondo per raccontare quelle intense pagine di storia.
La storia sino a quel momento era stata scritta da Benedetto XVI, cadenzata da momenti molto difficili per la Chiesa ma che il papa tedesco aveva saputo oltrepassare con grande coerenza, forza e fede, sino al colpo di scena della sua rinuncia al pontificato per lasciare spazio a un successore più energico. Un atto di coraggio più che di debolezza, di amore più che di timore, di lungimiranza più che di limitatezza. Quello che sembrava un momento di incertezza e di sbandamento per la Chiesa stava invece divenendo un nuovo slancio per voltare la pagina della vergogna di Vatileaks, dei tradimenti orditi alle spalle dell'anziano pontefice, di intrighi di corte.
Lo stile nuovo del papa argentino e la sua visione della Curia, la "ribellione" agli spazi troppo ampi del Palazzo Apostolico o troppo angusti come le strette maglie della sicurezza, il suo parlare attraverso aneddoti e con i detti della nonna, sembra aver ridestato tanti fedeli e non da una sorta di torpore di attenzione e, c'è da augurarsi, anche spirituale. Sin qui tutto appare positivo, compreso lo straordinario rapporto con il suo predecessore e l'affetto chiaramente dimostrato per quel "nonno saggio" che abita a pochi metri dalla residenza del papa regnante.
Un anno durante il quale la Chiesa si è dimostrata sempre capace di sorprendere, di rinnovarsi, di evangelizzare e di testimoniare. Un anno segnato dalla marcia impressa da un pontefice che ha uno stile diverso dal predecessore ma, in fin dei conti, tutti siamo diversi l'uno dall'altro e un pontefice non risponde a regole naturali differenti dalla gente comune. Se viviamo la grazia della compresenza di un vescovo emerito saggio e discreto, di un pontefice capace di richiamare grandi folle entusiaste, di una Chiesa che si presenta rinnovata, il bilancio sembrerebbe straordinariamente positivo.
Al di là delle considerazioni sulle scelte di governo che potranno essere valutate nel tempo, c'è da chiedersi dove porterà questo forte impatto mediatico attorno alla figura di papa Bergoglio, se non sia il caso di rallentare questa corsa al gesto e all'immagine per puntare dritto e in via prioritaria alla sostanza. È evidente la forte responsabilità dei media in termini di immagine e forse, partendo proprio da qui, è possibile comprendere come la figura di Francesco corra il serio rischio di finire in pasto a “commercializzazioni”, giochi di parte e banalizzazioni, presentando il suo messaggio profondo con una eccessiva semplificazione o letture interessate, spesso recalcitranti ad avventurarsi in una esegesi.
Viene allora da chiedersi se noi operatori dei media stiamo facendo il nostro lavoro nel massimo rispetto etico, se non adottiamo invece, talvolta, precise chiavi di lettura ai fini del consenso popolare, se garantiamo ai fruitori delle notizie un lavoro che non trasmetta solo l'immagine enfatizzata ma che aiuti anche nella decodifica e contestualizzazione del messaggio. Ponendoci una domanda fondamentale: siamo capaci di raccontare veramente papa Francesco per quello che è lui e la "sua" Chiesa? Oppure siamo disposti a forzare il messaggio per assecondare una lettura che sia funzionale alle leggi del mercato dell'informazione? Le risposte possono essere tante, in positivo e in negativo.
Di certo si finisce per tradire papa Francesco perlomeno in due occasioni: quando si compiono i parallelismi con il predecessore e quando si eleva la sua figura al livello di una star. Il primo vizio è, in un certo qual modo, figlio del secondo. Presentare sempre questo papa come la novità - oscurando completamente quello che è avvenuto prima di questo momento - e non nel cammino di una Chiesa forte dove ogni pontificato è sempre debitore al precedente, enfatizzare ogni gesto della quotidianità conduce a una fidelizzazione che rischia di rimanere alla superficie della fede. Il papa stesso, nel corso di una udienza in piazza San Pietro, invitò i fedeli a gridare non "viva il papa" ma “viva Gesù”, defilandosi da quell'entusiasmo di massa che deve stare ben alla larga da qualsiasi ombra di culto alla persona.
Volere bene anche a questo papa, commuoversi ed entusiasmarsi per il suo modo di essere significa anche – per ciascuno di noi - custodire con serietà e premura la sua "immagine", evitando ogni paragone e contrapposizione con il predecessore, non esaltare la sua figura e la sua ombra con atteggiamenti che talvolta somigliano a un pericoloso feticismo. Amare questo papa significa fare tesoro non della sua immagine ma delle sue parole che sono le parole di Cristo e della Chiesa, di ieri come di oggi. Festeggiare, oggi, questo papa significa ricordare le emozioni di un anno fa, pregare per il predecessore e per lui come ci ha chiesto, camminare insieme, vescovo e popolo, contribuire a costruire quella fratellanza di amore e di fiducia per una vera maturazione della nostra fede, appassionandoci sì dinanzi a questo papa ma sapendo anche dare a quei messaggi un seguito concreto nella vita quotidiana.
Auguri papa Francesco!
Un anno fa veniva eletto come 266° pontefice della Chiesa cattolica il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio. Da arcivescovo di Buenos Aires a vescovo di Roma, dalla fine del mondo al centro dell'Europa e di un mondo sempre più secolarizzato ma bisognoso di quella misericordia e tenerezza che solo Dio può dare, anche attraverso il successore di Pietro. Papa Francesco lo abbiamo subito apprezzato per la semplicità, la spontaneità e l'attenzione per gli altri, ultimi in primis, ispirandosi a quell'amore di cui è stato straordinario testimone san Francesco di Assisi. Proprio quel Francesco cui il cardinale Bergoglio ha guardato per la scelta del nome, per un omaggio ma soprattutto un impegno nella ricerca della pace, nell'attenzione verso il creato e i poveri, come spiegò nella sua prima udienza, appena tre giorni dopo l'elezione, riservata ai giornalisti che erano giunti a Roma da ogni parte del mondo per raccontare quelle intense pagine di storia.
La storia sino a quel momento era stata scritta da Benedetto XVI, cadenzata da momenti molto difficili per la Chiesa ma che il papa tedesco aveva saputo oltrepassare con grande coerenza, forza e fede, sino al colpo di scena della sua rinuncia al pontificato per lasciare spazio a un successore più energico. Un atto di coraggio più che di debolezza, di amore più che di timore, di lungimiranza più che di limitatezza. Quello che sembrava un momento di incertezza e di sbandamento per la Chiesa stava invece divenendo un nuovo slancio per voltare la pagina della vergogna di Vatileaks, dei tradimenti orditi alle spalle dell'anziano pontefice, di intrighi di corte.
Lo stile nuovo del papa argentino e la sua visione della Curia, la "ribellione" agli spazi troppo ampi del Palazzo Apostolico o troppo angusti come le strette maglie della sicurezza, il suo parlare attraverso aneddoti e con i detti della nonna, sembra aver ridestato tanti fedeli e non da una sorta di torpore di attenzione e, c'è da augurarsi, anche spirituale. Sin qui tutto appare positivo, compreso lo straordinario rapporto con il suo predecessore e l'affetto chiaramente dimostrato per quel "nonno saggio" che abita a pochi metri dalla residenza del papa regnante.
Un anno durante il quale la Chiesa si è dimostrata sempre capace di sorprendere, di rinnovarsi, di evangelizzare e di testimoniare. Un anno segnato dalla marcia impressa da un pontefice che ha uno stile diverso dal predecessore ma, in fin dei conti, tutti siamo diversi l'uno dall'altro e un pontefice non risponde a regole naturali differenti dalla gente comune. Se viviamo la grazia della compresenza di un vescovo emerito saggio e discreto, di un pontefice capace di richiamare grandi folle entusiaste, di una Chiesa che si presenta rinnovata, il bilancio sembrerebbe straordinariamente positivo.
Al di là delle considerazioni sulle scelte di governo che potranno essere valutate nel tempo, c'è da chiedersi dove porterà questo forte impatto mediatico attorno alla figura di papa Bergoglio, se non sia il caso di rallentare questa corsa al gesto e all'immagine per puntare dritto e in via prioritaria alla sostanza. È evidente la forte responsabilità dei media in termini di immagine e forse, partendo proprio da qui, è possibile comprendere come la figura di Francesco corra il serio rischio di finire in pasto a “commercializzazioni”, giochi di parte e banalizzazioni, presentando il suo messaggio profondo con una eccessiva semplificazione o letture interessate, spesso recalcitranti ad avventurarsi in una esegesi.
Viene allora da chiedersi se noi operatori dei media stiamo facendo il nostro lavoro nel massimo rispetto etico, se non adottiamo invece, talvolta, precise chiavi di lettura ai fini del consenso popolare, se garantiamo ai fruitori delle notizie un lavoro che non trasmetta solo l'immagine enfatizzata ma che aiuti anche nella decodifica e contestualizzazione del messaggio. Ponendoci una domanda fondamentale: siamo capaci di raccontare veramente papa Francesco per quello che è lui e la "sua" Chiesa? Oppure siamo disposti a forzare il messaggio per assecondare una lettura che sia funzionale alle leggi del mercato dell'informazione? Le risposte possono essere tante, in positivo e in negativo.
Di certo si finisce per tradire papa Francesco perlomeno in due occasioni: quando si compiono i parallelismi con il predecessore e quando si eleva la sua figura al livello di una star. Il primo vizio è, in un certo qual modo, figlio del secondo. Presentare sempre questo papa come la novità - oscurando completamente quello che è avvenuto prima di questo momento - e non nel cammino di una Chiesa forte dove ogni pontificato è sempre debitore al precedente, enfatizzare ogni gesto della quotidianità conduce a una fidelizzazione che rischia di rimanere alla superficie della fede. Il papa stesso, nel corso di una udienza in piazza San Pietro, invitò i fedeli a gridare non "viva il papa" ma “viva Gesù”, defilandosi da quell'entusiasmo di massa che deve stare ben alla larga da qualsiasi ombra di culto alla persona.
Volere bene anche a questo papa, commuoversi ed entusiasmarsi per il suo modo di essere significa anche – per ciascuno di noi - custodire con serietà e premura la sua "immagine", evitando ogni paragone e contrapposizione con il predecessore, non esaltare la sua figura e la sua ombra con atteggiamenti che talvolta somigliano a un pericoloso feticismo. Amare questo papa significa fare tesoro non della sua immagine ma delle sue parole che sono le parole di Cristo e della Chiesa, di ieri come di oggi. Festeggiare, oggi, questo papa significa ricordare le emozioni di un anno fa, pregare per il predecessore e per lui come ci ha chiesto, camminare insieme, vescovo e popolo, contribuire a costruire quella fratellanza di amore e di fiducia per una vera maturazione della nostra fede, appassionandoci sì dinanzi a questo papa ma sapendo anche dare a quei messaggi un seguito concreto nella vita quotidiana.
Auguri papa Francesco!
il blog di Elisabetta Lo Iacono "Torre dei Venti"
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