I biocarburanti da rifiuti e sottoprodotti potrebbero consentire di tagliare l'import di petrolio europeo di 37 milioni di tonnellate l'anno, iniettando 15 miliardi nell'economia rurale e creando fino a 300mila nuovi posti di lavoro, mostra un nuovo report. Ma serve un indirizzo a livello comunitario che al momento sembra mancare.
Qualenergia - I carburanti ottenuti da rifiuti e sottoprodotti potrebbero soddisfare fino al 16% del fabbisogno europeo di energia per i trasporti su strada, tagliando l'import di petrolio, iniettando 15 miliardi nell'economia rurale e creando fino a 300mila nuovi posti di lavoro. Ad affermarlo un nuovo report realizzato da associazioni ambientaliste e industria (vedi allegato in basso). Lo studio, che ha tra i committenti, accanto al WWF, compagnie aree come British Airways e Virgin Airways e aziende dei biocarburanti di seconda generazione come Novozymes, fa i conti sul potenziale energetico dell'enorme quantità di rifiuti e scarti che produciamo in Europa tra settore agricolo, industriale e residenziale. Si parla di 900 milioni di tonnellate all'anno di materiale organico, dei quali circa 220 milioni potrebbero essere usati a fini energetici: ad esempio ci sono 139 milioni di tonnellate di residui agricoli, 44 milioni di tonnellate di organico da rifiuti urbani, 40 milioni di di tonnellate di scarti forestali e 1 milione di tonnellate all'anno di olio di frittura usato.
La stima è che ottenendo carburanti da questa enorme quantità di materia organica sprecata si possano rimpiazzare fino a 37 milioni di tonnellate di petrolio soddisfacendo, come detto, il 16% del fabbisogno di carburanti per il trasporto su strada. Volendo puntare ad un obiettivo più modesto, ottenendo dai rifiuti il 2% del fabbisogno, si creerebbero comunque 40mila posti di lavoro e 2,4 miliardi di entrate per il settore agricolo e forestale.
E' chiaro che sia più sostenibile ottenere biocarburanti dai rifiuti rispetto alla produzione dei biofuel di prima generazione. Parte dei biocarburanti di prima generazione ha bilanci in termini di CO2 addirittura peggiori dei combustibili fossili che dovrebbero rimpiazzare, se si considera l'intero ciclo di vita e il famigerato ILUC, il cambio d'uso indiretto del suolo: semplificando, si può dire che far posto a coltivazioni a scopo energetico finisca per essere causa di deforestazione.
I biofuel ottenuti da scarti e rifiuti hanno invece un bilancio in termini di CO2 almeno del 60% inferiore rispetto a benzina e gasolio, e in alcuni casi, come nel trattamento della frazione organica dei rifiuti urbani per ottenerne biogas, si ha addirittura un bilancio negativo in termini di gas climalteranti (dovuto alle emissioni evitate di metano da decomposizione in discarica). Oltre a questo, i biocombustibili da rifiuti non entrano in conflitto con la produzione agricola a scopo alimentare, portando all'innalzamento dei prezzi dei cereali, altra grave controindicazione dei biocarburanti tradizionali.
Le risorse per passare ai biocarburanti da rifiuti ci sono, le tecnologie anche. Oltre al potenziale del biometano (del quale abbiamo abbiamo parlato spesso per l'Italia) stanno partendo nuove produzioni per fare biocarburanti da materia prima ligno-cellulosica (uno dei primi impianti è quello avviato in Italia l'anno scorso). I costi, salvo che per alcuni processi che trattano la frazione umida dei rifiuti urbani, già economicamente vantaggiosi, sono ancora alti, “ma sono al livello della fase di start-up di molti biocarburanti di prima generazione che poi si sono affermati”, si osserva.
Quel che sembra mancare è la volontà politica, specie a livello europeo. Non è certo una buona notizia per questo settore che la Commissione europea nella sua proposta sugli obiettivi 2030 per clima ed energia non preveda di rinnovare l'obiettivo di riduzione delle emissioni nei trasporti ma sembri piuttosto voler lasciar decadere la Direttiva sulla Qualità dei Carburanti. Questa punta a ridurre del 6% dal 2010 al 2020 l'intensità di CO2 dei carburanti e si applica sia ai biofuel che ai derivati del petrolio. Una tale incertezza, sottolinea il report, frena l'affermarsi dei biofuel di seconda generazione.
Il report (pdf)
Qualenergia - I carburanti ottenuti da rifiuti e sottoprodotti potrebbero soddisfare fino al 16% del fabbisogno europeo di energia per i trasporti su strada, tagliando l'import di petrolio, iniettando 15 miliardi nell'economia rurale e creando fino a 300mila nuovi posti di lavoro. Ad affermarlo un nuovo report realizzato da associazioni ambientaliste e industria (vedi allegato in basso). Lo studio, che ha tra i committenti, accanto al WWF, compagnie aree come British Airways e Virgin Airways e aziende dei biocarburanti di seconda generazione come Novozymes, fa i conti sul potenziale energetico dell'enorme quantità di rifiuti e scarti che produciamo in Europa tra settore agricolo, industriale e residenziale. Si parla di 900 milioni di tonnellate all'anno di materiale organico, dei quali circa 220 milioni potrebbero essere usati a fini energetici: ad esempio ci sono 139 milioni di tonnellate di residui agricoli, 44 milioni di tonnellate di organico da rifiuti urbani, 40 milioni di di tonnellate di scarti forestali e 1 milione di tonnellate all'anno di olio di frittura usato.
La stima è che ottenendo carburanti da questa enorme quantità di materia organica sprecata si possano rimpiazzare fino a 37 milioni di tonnellate di petrolio soddisfacendo, come detto, il 16% del fabbisogno di carburanti per il trasporto su strada. Volendo puntare ad un obiettivo più modesto, ottenendo dai rifiuti il 2% del fabbisogno, si creerebbero comunque 40mila posti di lavoro e 2,4 miliardi di entrate per il settore agricolo e forestale.
E' chiaro che sia più sostenibile ottenere biocarburanti dai rifiuti rispetto alla produzione dei biofuel di prima generazione. Parte dei biocarburanti di prima generazione ha bilanci in termini di CO2 addirittura peggiori dei combustibili fossili che dovrebbero rimpiazzare, se si considera l'intero ciclo di vita e il famigerato ILUC, il cambio d'uso indiretto del suolo: semplificando, si può dire che far posto a coltivazioni a scopo energetico finisca per essere causa di deforestazione.
I biofuel ottenuti da scarti e rifiuti hanno invece un bilancio in termini di CO2 almeno del 60% inferiore rispetto a benzina e gasolio, e in alcuni casi, come nel trattamento della frazione organica dei rifiuti urbani per ottenerne biogas, si ha addirittura un bilancio negativo in termini di gas climalteranti (dovuto alle emissioni evitate di metano da decomposizione in discarica). Oltre a questo, i biocombustibili da rifiuti non entrano in conflitto con la produzione agricola a scopo alimentare, portando all'innalzamento dei prezzi dei cereali, altra grave controindicazione dei biocarburanti tradizionali.
Le risorse per passare ai biocarburanti da rifiuti ci sono, le tecnologie anche. Oltre al potenziale del biometano (del quale abbiamo abbiamo parlato spesso per l'Italia) stanno partendo nuove produzioni per fare biocarburanti da materia prima ligno-cellulosica (uno dei primi impianti è quello avviato in Italia l'anno scorso). I costi, salvo che per alcuni processi che trattano la frazione umida dei rifiuti urbani, già economicamente vantaggiosi, sono ancora alti, “ma sono al livello della fase di start-up di molti biocarburanti di prima generazione che poi si sono affermati”, si osserva.
Quel che sembra mancare è la volontà politica, specie a livello europeo. Non è certo una buona notizia per questo settore che la Commissione europea nella sua proposta sugli obiettivi 2030 per clima ed energia non preveda di rinnovare l'obiettivo di riduzione delle emissioni nei trasporti ma sembri piuttosto voler lasciar decadere la Direttiva sulla Qualità dei Carburanti. Questa punta a ridurre del 6% dal 2010 al 2020 l'intensità di CO2 dei carburanti e si applica sia ai biofuel che ai derivati del petrolio. Una tale incertezza, sottolinea il report, frena l'affermarsi dei biofuel di seconda generazione.
Il report (pdf)
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