“E’ nel nostro mandato fare tutto il possibile per evitare che l’incitamento all’odio sfoci in un genocidio. Speriamo che la nostra presenza e il fatto che indaghiamo sia un segnale forte affinché le persone che orchestrano la propaganda non agiscano”.
Misna - E' l’auspicio del giudice camerunense Bernard Acho Muna, a capo della Commissione Onu incaricata di fare piena luce sulle violazioni dei diritti umani in Centrafrica. Sul terreno è stata ufficialmente aperta l’inchiesta voluta dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, affidata a Acho Muna, già vice procuratore del Tribunale penale internazionale per il Rwanda (Tpir), affiancato da altri esperti di diritti umani e diplomatici. Della commissione, da ieri sera al completo a Bangui, fanno parte l’attivista e avvocatessa mauritana Fatimata M’Baye e l’ex segretario agli Esteri del Messico Jorge Castaneda. “Vogliamo porre fine all’impunità che vige nel paese” ha aggiunto il giudice della Corte suprema del Camerun al suo arrivo nella capitale centrafricana, sottolineando che “siamo di fronte a una situazione unica: l’ordine pubblico è inesistente, c’è un totale vuoto di potere e le autorità di polizia e giudiziarie sono assenti”. Acho Muna e i suoi colleghi si sono impegnati ad “andare ovunque sarà necessario per accertare i fatti”.
Ieri, il consigliere speciale del Segretario generale Onu per la prevenzione dei genocidi, il senegalese Adama Dieng, ha avvertito che “il paese si sta totalmente svuotando della sua popolazione musulmana”, precisando che “oggi la componente musulmana è soltanto del 2% contro il 15%” prima della crisi.
Lo scorso dicembre con un voto unanime il Consiglio di sicurezza ha istituito una commissione incaricata di indagare sui crimini commessi da dicembre 2012 nell’ex colonia francese. Con un mandato iniziale di un anno, il team di esperti dovrà raccogliere tutte le informazioni utili per identificare gli autori di violazioni dei diritti umani, penalmente perseguibili. Il primo rapporto dovrebbe essere Consegnato al consiglio di sicurezza entro giugno, sulla base di colloqui con autorità governative e provinciali, capi villaggi, ong, sfollati e comandanti delle truppe francesi di Sangaris e dei contingenti africani della Misca. Il mese scorso anche il procuratore generale della Corte penale internazionale (Cpi), il giudice gambiano Fatou Bensouda, ha aperto “un esame preliminare” per valutare se le violenze tra ex ribelli Seleka e milizie di autodifesa Anti-Balaka costituiscono crimini di guerra.
Sul versante politico-militare la comunità internazionale dovrebbe decidere, con un voto atteso all’Onu nelle prossime settimane, di dispiegare una missione di peacekeeping in Centrafrica che subentrerebbe alla Misca, sotto il comando dell’Unione Africana. Proprio per convincere i partner occidentali ad accelerare l’invio di caschi blu, i capi religiosi centrafricani sono in viaggio verso gli Stati Uniti. Il mese scorso l’arcivescovo di Bangui monsignor Dieudonné Nzapalainga, il presidente della Comunità islamica l’imam Omar Kobine Layama e il pastore Grékoyamé si sono recati in diverse capitali europee per lanciare l’allarme sulla crisi multiforme che attanaglia il loro paese e l’intera regione, ma anche portare un messaggio positivo sulla storica buona convivenza tra le varie comunità.
Misna - E' l’auspicio del giudice camerunense Bernard Acho Muna, a capo della Commissione Onu incaricata di fare piena luce sulle violazioni dei diritti umani in Centrafrica. Sul terreno è stata ufficialmente aperta l’inchiesta voluta dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, affidata a Acho Muna, già vice procuratore del Tribunale penale internazionale per il Rwanda (Tpir), affiancato da altri esperti di diritti umani e diplomatici. Della commissione, da ieri sera al completo a Bangui, fanno parte l’attivista e avvocatessa mauritana Fatimata M’Baye e l’ex segretario agli Esteri del Messico Jorge Castaneda. “Vogliamo porre fine all’impunità che vige nel paese” ha aggiunto il giudice della Corte suprema del Camerun al suo arrivo nella capitale centrafricana, sottolineando che “siamo di fronte a una situazione unica: l’ordine pubblico è inesistente, c’è un totale vuoto di potere e le autorità di polizia e giudiziarie sono assenti”. Acho Muna e i suoi colleghi si sono impegnati ad “andare ovunque sarà necessario per accertare i fatti”.
Ieri, il consigliere speciale del Segretario generale Onu per la prevenzione dei genocidi, il senegalese Adama Dieng, ha avvertito che “il paese si sta totalmente svuotando della sua popolazione musulmana”, precisando che “oggi la componente musulmana è soltanto del 2% contro il 15%” prima della crisi.
Lo scorso dicembre con un voto unanime il Consiglio di sicurezza ha istituito una commissione incaricata di indagare sui crimini commessi da dicembre 2012 nell’ex colonia francese. Con un mandato iniziale di un anno, il team di esperti dovrà raccogliere tutte le informazioni utili per identificare gli autori di violazioni dei diritti umani, penalmente perseguibili. Il primo rapporto dovrebbe essere Consegnato al consiglio di sicurezza entro giugno, sulla base di colloqui con autorità governative e provinciali, capi villaggi, ong, sfollati e comandanti delle truppe francesi di Sangaris e dei contingenti africani della Misca. Il mese scorso anche il procuratore generale della Corte penale internazionale (Cpi), il giudice gambiano Fatou Bensouda, ha aperto “un esame preliminare” per valutare se le violenze tra ex ribelli Seleka e milizie di autodifesa Anti-Balaka costituiscono crimini di guerra.
Sul versante politico-militare la comunità internazionale dovrebbe decidere, con un voto atteso all’Onu nelle prossime settimane, di dispiegare una missione di peacekeeping in Centrafrica che subentrerebbe alla Misca, sotto il comando dell’Unione Africana. Proprio per convincere i partner occidentali ad accelerare l’invio di caschi blu, i capi religiosi centrafricani sono in viaggio verso gli Stati Uniti. Il mese scorso l’arcivescovo di Bangui monsignor Dieudonné Nzapalainga, il presidente della Comunità islamica l’imam Omar Kobine Layama e il pastore Grékoyamé si sono recati in diverse capitali europee per lanciare l’allarme sulla crisi multiforme che attanaglia il loro paese e l’intera regione, ma anche portare un messaggio positivo sulla storica buona convivenza tra le varie comunità.
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