In libreria l'uomo, il
mistico, il Papa “san” Giovanni Paolo II visto da amici e
collaboratori
Nelle intenzioni dei goliardici compagni di seminario a Cracovia, nel lontano 1946, magari era solo un'innocente burla, scrivere sulla porta della stanza di “Karol Wojtyla futuro santo”, riportò poi l'amico card. Andrzej Deskur: ma che quel giovane fosse fatto di “pasta” speciale a dir poco, evidentemente si era già intuito.
Non solo brillante e capace nello studio, ma pure buono e comprensivo, come ebbe modo poi di saggiare anche il suo successore sul soglio di Pietro. Il “sodalizio” Wojtyla-Ratzinger, Papa e Prefetto dell'importante Congregazione per la dottrina della fede, pareva funzionare a meraviglia da fuori. E invece, rivela oggi a sorpresa l'emerito Benedetto XVI, “spesso avrebbe avuto sufficienti motivi per biasimarmi o porre fine al mio incarico”, eppure “mi sostenne con una fedeltà e una bontà assolutamente incomprensibili”.
Si tratta, per la cronaca, della prima e finora unica intervista da quando ha rinunciato al ministero petrino, data al vaticanista polacco Wlodzimierz Redzioch e pubblicata in un volume che vede la luce a poche settimane dalla canonizzazione di Giovanni Paolo II, 27 aprile. Ma questo pur sensazionale “colpo” è solo uno dei ricchi motivi di interesse per i quali “Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano” (ed. Ares 2014, pp. 256, 15,90 euro) si legge tutto di un fiato, come “mosaico” di 22 voci non privo neppure di aneddoti curiosi e divertenti.
Vedi ad esempio le oltre 100 famose “gite” organizzate in gran segreto perché Wojtyla potesse prendersi un po' di relax al mare o sui monti d'Abruzzo, dove è risaputo anche che amava tantissimo sciare. L'ultima sciata di Giovanni Paolo II, già assai affaticato nel camminare, risale addirittura al '98, a 78 anni di età, ricorda l'ex gendarme vaticano Egildo Biocca. Altra passione “coltivata” nell'occasione era cantare tutti in coro, compresi gendarmi e poliziotti “diretti” dal medico personale di sua Santità Renato Buzzonetti, racconta ora lui ridendo.
Oppure la solenne messa di Pasqua iniziata tardi in fretta e furia perché nessuno aveva ricordato a Wojtyla la sera prima di spostare l'orologio un'ora avanti, per il passaggio all'ora legale. Lui dopo colazione si ritirò come al solito in preghiera in cappella, dove tutti sapevano che di norma non andava disturbato né interrotto. E nel dubbio su che fare, racconta l'ex “secondo” segretario Mieczyslaw Mokrzycki, passò svariato tempo: “quando lui pregava era così immerso nel profondo della comunione con Dio che pareva scordarsi del mondo esterno”.
La preghiera, ovvero l'intensità con cui Giovanni Paolo II lo faceva, è proprio quel che ispira le pagine più toccanti. Per l'allora cardinale Ratzinger “da qui veniva la sua letizia, in mezzo alle grandi fatiche che doveva sostenere, e il coraggio con cui assolse il suo compito in un tempo veramente difficile”. La preghiera era “il centro della sua vita, solo apparentemente frenetica”, riferisce lo “storico” segretario ora card. Stanislaw Dziwisz, ricordando che già a Cracovia, da arcivescovo, fece mettere in cappella uno scrittoio, per scrivere là, a contatto con Gesù eucaristico, discorsi, articoli e libri. E pure tutti i quattro “vice” di Dziwisz furono debitamente istruiti da lui: “Non c'è nessuna urgenza per disturbare il Santo Padre quando prega!”, ricorda mons. Emery Kabongo, che fu secondo dei quattro. Il vaticanista Gianfranco Svidercoschi parla di intensità e coinvolgimento “impressionanti”, addirittura, della preghiera del Papa allorché seppe dell'assassinio di padre Popieluzko per opera dei servizi segreti polacchi.
Ecco un altro “filone” di notizie, il rapporto col regime comunista, così oppressivo che prima dell'elezione di un Papa polacco “si pensava che il comunismo sarebbe durato ancora per generazioni”, ha raccontato all'intervistatore il filosofo Stanislaw Grygiel, amico di gioventù di Wojtyla come Wanda Poltawska, miracolosamente guarita da un cancro grazie alle preghiere del futuro anche lui “san” Pio da Pietrelcina, cui Wojtyla si rivolse. In gioventù le toccò pure far da “cavia” umana per esperimenti medici nel campo tedesco di Ravensbruck, cui sopravvisse tra atroci sofferenze. “Vedevo i nazisti buttare i neonati nei forni crematori”, perciò “mi sono ripromessa allora che qualora fossi sopravvissuta avrei studiato e difeso la vita umana”. Divenne psichiatra, moglie e madre e soprattutto “consulente” informale ma preziosissima del Wojtyla vescovo e Papa su famiglia, matrimonio e difesa della vita, nonché una dei pochissimi presenti nell'appartamento papale all'agonia terminata la sera del 2 aprile 2005.
Molti ricordi degli intervistati si concentrano appunto sugli anni ultimi del pontificato, quelli della malattia e della progressiva inabilità a muoversi e parlare. Un disagio enorme, per un uomo di quella tempra, eppure “non l'h visto una sola volta innervosirsi a causa della sofferenza o lamentarsene”, ha raccontato a Redzioch prima della recente scomparsa il card. Stanislaw Nagy. “Era un uomo allegro”, per il “portavoce” Joaquin Navarro Valls, dinamico ma mai precipitoso: “non sapeva mai perdere un minuto, ma non aveva mai fretta”.
Tra tutte spiccano le testimonianze dei collaboratori più stretti nel governo della Chiesa, come il card. Camillo Ruini, che rievoca pure le diffidenze con cui l'Italia accolse il Papa “straniero”, pensando che “dal punto di vista ecclesiale, nell'est europeo, dietro la cortina di ferro, il Concilio avesse inciso meno...”. Ma erano più che altro idee circolanti sui giornali o in alcuni ambienti, poiché “ai più il Papa diede un'impressione di fiducia, di ottimismo, oltre che di una fede molto radicata e profonda”, sostanziata per l'ex presidente CEI dalla ferrea convinzione di fondo che “la secolarizzazione non è un dato fatale e irreversibile”.
Il già segretario di Stato card. Tarcisio Bertone evidenzia l'avere saggiato sulla propria pelle sia Wojtyla che Ratzinger la durezza dei peggiori totalitarismi del '900, “e questo non li ha scoraggiati: li ha resi anzi due uomini di Dio, appassionati della verità e della libertà, amanti dell'umanità, quindi amici di ogni uomo, paladini della libertà e della dignità della persona”.
Dello humour fa fede la battuta ad un vescovo che all'indomani dell'asportazione di un tumore al colon nel '92 osservò: “Santità, lei sta veramente bene, meglio che prima dell'operazione!”. Al che replicò il Papa: “Eccellenza, perché non si fa operare anche lei?”. Del clima gioioso nell'appartamento papale parla invece l'annuale “travestimento” di una religiosa addetta ai servizi domestici nei panni di san Nicola (com'è tradizione a Wadowice, paese natale di Wojtyla), per consegnare i doni che tutti si scambiavano.
Per il resto la sintesi è pressoché impossibile, tanto denso di informazioni e suggestioni è il libro e raccomandabile la lettura. Ma è bello finire col fotografo Arturo Mari. “Per me è come un figlio”, fu presentato nientemeno che a Bill Clinton da Giovanni Paolo II, cui in carriera ha scattato milioni e milioni di foto di ogni tipo e in ogni dove, per 27 lunghissimi anni. Ma quella che considera il più importante scatto è del venerdì santo 2005, il Papa intento a seguire in TV la Via crucis al Colosseo, cui non poteva presenziare, con un grande crocifisso stretto al cuore cui posava pure la testa. In quello scatto che molti sicuramente ricordano, conclude sapiente Mari e pure noi con lui, “c'e' tutta la vita di Giovanni Paolo II”.
Nelle intenzioni dei goliardici compagni di seminario a Cracovia, nel lontano 1946, magari era solo un'innocente burla, scrivere sulla porta della stanza di “Karol Wojtyla futuro santo”, riportò poi l'amico card. Andrzej Deskur: ma che quel giovane fosse fatto di “pasta” speciale a dir poco, evidentemente si era già intuito.
Non solo brillante e capace nello studio, ma pure buono e comprensivo, come ebbe modo poi di saggiare anche il suo successore sul soglio di Pietro. Il “sodalizio” Wojtyla-Ratzinger, Papa e Prefetto dell'importante Congregazione per la dottrina della fede, pareva funzionare a meraviglia da fuori. E invece, rivela oggi a sorpresa l'emerito Benedetto XVI, “spesso avrebbe avuto sufficienti motivi per biasimarmi o porre fine al mio incarico”, eppure “mi sostenne con una fedeltà e una bontà assolutamente incomprensibili”.
Si tratta, per la cronaca, della prima e finora unica intervista da quando ha rinunciato al ministero petrino, data al vaticanista polacco Wlodzimierz Redzioch e pubblicata in un volume che vede la luce a poche settimane dalla canonizzazione di Giovanni Paolo II, 27 aprile. Ma questo pur sensazionale “colpo” è solo uno dei ricchi motivi di interesse per i quali “Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano” (ed. Ares 2014, pp. 256, 15,90 euro) si legge tutto di un fiato, come “mosaico” di 22 voci non privo neppure di aneddoti curiosi e divertenti.
Vedi ad esempio le oltre 100 famose “gite” organizzate in gran segreto perché Wojtyla potesse prendersi un po' di relax al mare o sui monti d'Abruzzo, dove è risaputo anche che amava tantissimo sciare. L'ultima sciata di Giovanni Paolo II, già assai affaticato nel camminare, risale addirittura al '98, a 78 anni di età, ricorda l'ex gendarme vaticano Egildo Biocca. Altra passione “coltivata” nell'occasione era cantare tutti in coro, compresi gendarmi e poliziotti “diretti” dal medico personale di sua Santità Renato Buzzonetti, racconta ora lui ridendo.
Oppure la solenne messa di Pasqua iniziata tardi in fretta e furia perché nessuno aveva ricordato a Wojtyla la sera prima di spostare l'orologio un'ora avanti, per il passaggio all'ora legale. Lui dopo colazione si ritirò come al solito in preghiera in cappella, dove tutti sapevano che di norma non andava disturbato né interrotto. E nel dubbio su che fare, racconta l'ex “secondo” segretario Mieczyslaw Mokrzycki, passò svariato tempo: “quando lui pregava era così immerso nel profondo della comunione con Dio che pareva scordarsi del mondo esterno”.
La preghiera, ovvero l'intensità con cui Giovanni Paolo II lo faceva, è proprio quel che ispira le pagine più toccanti. Per l'allora cardinale Ratzinger “da qui veniva la sua letizia, in mezzo alle grandi fatiche che doveva sostenere, e il coraggio con cui assolse il suo compito in un tempo veramente difficile”. La preghiera era “il centro della sua vita, solo apparentemente frenetica”, riferisce lo “storico” segretario ora card. Stanislaw Dziwisz, ricordando che già a Cracovia, da arcivescovo, fece mettere in cappella uno scrittoio, per scrivere là, a contatto con Gesù eucaristico, discorsi, articoli e libri. E pure tutti i quattro “vice” di Dziwisz furono debitamente istruiti da lui: “Non c'è nessuna urgenza per disturbare il Santo Padre quando prega!”, ricorda mons. Emery Kabongo, che fu secondo dei quattro. Il vaticanista Gianfranco Svidercoschi parla di intensità e coinvolgimento “impressionanti”, addirittura, della preghiera del Papa allorché seppe dell'assassinio di padre Popieluzko per opera dei servizi segreti polacchi.
Ecco un altro “filone” di notizie, il rapporto col regime comunista, così oppressivo che prima dell'elezione di un Papa polacco “si pensava che il comunismo sarebbe durato ancora per generazioni”, ha raccontato all'intervistatore il filosofo Stanislaw Grygiel, amico di gioventù di Wojtyla come Wanda Poltawska, miracolosamente guarita da un cancro grazie alle preghiere del futuro anche lui “san” Pio da Pietrelcina, cui Wojtyla si rivolse. In gioventù le toccò pure far da “cavia” umana per esperimenti medici nel campo tedesco di Ravensbruck, cui sopravvisse tra atroci sofferenze. “Vedevo i nazisti buttare i neonati nei forni crematori”, perciò “mi sono ripromessa allora che qualora fossi sopravvissuta avrei studiato e difeso la vita umana”. Divenne psichiatra, moglie e madre e soprattutto “consulente” informale ma preziosissima del Wojtyla vescovo e Papa su famiglia, matrimonio e difesa della vita, nonché una dei pochissimi presenti nell'appartamento papale all'agonia terminata la sera del 2 aprile 2005.
Molti ricordi degli intervistati si concentrano appunto sugli anni ultimi del pontificato, quelli della malattia e della progressiva inabilità a muoversi e parlare. Un disagio enorme, per un uomo di quella tempra, eppure “non l'h visto una sola volta innervosirsi a causa della sofferenza o lamentarsene”, ha raccontato a Redzioch prima della recente scomparsa il card. Stanislaw Nagy. “Era un uomo allegro”, per il “portavoce” Joaquin Navarro Valls, dinamico ma mai precipitoso: “non sapeva mai perdere un minuto, ma non aveva mai fretta”.
Tra tutte spiccano le testimonianze dei collaboratori più stretti nel governo della Chiesa, come il card. Camillo Ruini, che rievoca pure le diffidenze con cui l'Italia accolse il Papa “straniero”, pensando che “dal punto di vista ecclesiale, nell'est europeo, dietro la cortina di ferro, il Concilio avesse inciso meno...”. Ma erano più che altro idee circolanti sui giornali o in alcuni ambienti, poiché “ai più il Papa diede un'impressione di fiducia, di ottimismo, oltre che di una fede molto radicata e profonda”, sostanziata per l'ex presidente CEI dalla ferrea convinzione di fondo che “la secolarizzazione non è un dato fatale e irreversibile”.
Il già segretario di Stato card. Tarcisio Bertone evidenzia l'avere saggiato sulla propria pelle sia Wojtyla che Ratzinger la durezza dei peggiori totalitarismi del '900, “e questo non li ha scoraggiati: li ha resi anzi due uomini di Dio, appassionati della verità e della libertà, amanti dell'umanità, quindi amici di ogni uomo, paladini della libertà e della dignità della persona”.
Dello humour fa fede la battuta ad un vescovo che all'indomani dell'asportazione di un tumore al colon nel '92 osservò: “Santità, lei sta veramente bene, meglio che prima dell'operazione!”. Al che replicò il Papa: “Eccellenza, perché non si fa operare anche lei?”. Del clima gioioso nell'appartamento papale parla invece l'annuale “travestimento” di una religiosa addetta ai servizi domestici nei panni di san Nicola (com'è tradizione a Wadowice, paese natale di Wojtyla), per consegnare i doni che tutti si scambiavano.
Per il resto la sintesi è pressoché impossibile, tanto denso di informazioni e suggestioni è il libro e raccomandabile la lettura. Ma è bello finire col fotografo Arturo Mari. “Per me è come un figlio”, fu presentato nientemeno che a Bill Clinton da Giovanni Paolo II, cui in carriera ha scattato milioni e milioni di foto di ogni tipo e in ogni dove, per 27 lunghissimi anni. Ma quella che considera il più importante scatto è del venerdì santo 2005, il Papa intento a seguire in TV la Via crucis al Colosseo, cui non poteva presenziare, con un grande crocifisso stretto al cuore cui posava pure la testa. In quello scatto che molti sicuramente ricordano, conclude sapiente Mari e pure noi con lui, “c'e' tutta la vita di Giovanni Paolo II”.
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È presente 1 commento
bellissimo pezzo
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