“Tendo la mano a tutti gli egiziani, non abbiamo conflitti con nessuno”.
Lo ha affermato Abdel Fattah al Sisi in un discorso alla tv, dove ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali in Egitto, dimettendosi dalla carica di ministro della Difesa e capo delle Forze armate. Intanto, nel Paese continua il pugno duro contro i Fratelli musulmani. il servizio di Massimiliano Menichetti: ascolta
“Tutti siamo uguali davanti alla legge e alla giustizia che hanno un ruolo fondamentale nell'avvenire del Paese”. Sono le parole del feldmaresciallo, Abdel Fattah Al Sisi, uomo forte dell’Egitto, che ieri si è dimesso dagli incarichi di ministro della Difesa e capo delle forze armate, dando avvio così alla campagna elettorale che lo vede adesso candidato per le prossime presidenziali. Le consultazioni si terranno entro l’estate. Al Sisi ha ribadito la volontà di dialogo tra le parti e di continuare a combattere il terrorismo. La candidatura, salutata con favore dalla maggioranza della popolazione, viene definita da Mohamed el Khatib, esponente dei Fratelli Musulmani, la "conferma che ciò che è avvenuto lo scorso luglio, ovvero un colpo di Stato". E nel Paese intanto è pugno duro con i sostenitori del deposto presidente Morsi, esponente della Fratellanza. Ieri, all’Università del Cairo uno studente è morto, colpito da un proiettile alla gola, mentre contestava insieme ad altri il governo e le 529 condanne a morte inflitte nei giorni scorsi ai Fratelli musulmani da un tribunale dell'Alto Egitto. Una sentenza definita da molti di “massa”, che preoccupa anche gli Stati Uniti. Il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha esortato “le appropriate autorità a porre rimedio alla situazione". Intanto, ieri altri 919 sostenitori di Morsi sono stati rinviati a giudizio per gli scontri Al Cairo avvenuti il 14 agosto scorso.
Per un'analisi della situazione in Egitto, il commento di Massimo Campanini docente di Storia dei paesi islamici all’Università di Trento: ascolta
R. – Credo si tratti della logica conclusione del ritorno dei militari in politica. Anche se al Sisi ha rinunciato alle sue cariche, sia civili che militari, comunque rimane l’uomo di punta dell’esercito e quindi governerà – perché sicuramente verrà eletto – in nome degli interessi dell’esercito. Questo vuol dire che la rivoluzione egiziana non è più rimasta tale. L’involuzione di questo processo ha visto ritornare al potere forze simili a quelle dell’epoca di Mubarak. Tra l’altro, è curioso che parlando di libertà e giustizia, il maresciallo al Sisi abbia sostanzialmente parafrasato il nome del partito dei Fratelli musulmani – Giustizia e Libertà… Quindi, le parole d’ordine sembrano quasi ripetute, in assenza però di una vera libertà e di un confronto democratico, in cui le posizioni della Fratellanza musulmana sono state duramente represse.
D. – Proprio nei confronti dei Fratelli musulmani si sta usando il pugno duro: oltre mille persone rinviate a giudizio, 529 condanne a morte. Questo non rischia di far esplodere di nuovo in Egitto una situazione di fortissima tensione, oltre quella che già c’è?
R. – E’ ormai dato scontato che le repressioni alimentino la radicalizzazione. Questo potrebbe evidentemente trascinare il Paese in una situazione di guerra civile potenziale, che potrebbe essere estremamente pericolosa non solo per l’Egitto in quanto tale, ma per tutta la geopolitica del Medio Oriente.
D. – Ma questa sentenza a morte nei confronti di 529 persone appartenenti ai Fratelli musulmani secondo lei è più un’affermazione di principio o esiste il rischio che venga eseguita?
R. – Io non credo che la sentenza venga applicata. Sarebbe uno schiaffo dato non solo alla democrazia, ma a tutti gli equilibri internazionali. Però, è chiaro che attraverso queste condanne a morte i militari hanno voluto sottolineare il loro ruolo centrale nell’amministrazione dell’Egitto e hanno voluto definitivamente emarginare quelli che avrebbero potuto essere i loro più pericolosi avversari.
D. – Secondo lei, la Fratellanza musulmana riuscirà a riorganizzarsi politicamente? In questo momento, lo ricordiamo, è fuorilegge…
R. – Secondo me, sì, comunque. Perché la Fratellanza musulmana ha una struttura di organizzazione interna molto solida, di tipo piramidale. E poi, non bisogna dimenticare che comunque i legami, le radici popolari che aveva la Fratellanza musulmana non possono essere recisi così, ex abrupto, da una condanna di massa. Quindi, prima di dare per morto il Movimento della Fratellanza musulmana, aspetterei di vedere il futuro. Certamente le difficoltà di riorganizzazione, di partecipazione politica, saranno molto gravi e, come dicevo prima, un rischio di radicalizzazione, di estremizzazione è sempre inerente in una situazione di questo genere.
D. – Ma secondo lei, la comunità internazionale in questo momento dovrebbe intervenire in qualche modo?
R. – Come abbiamo escluso la Russia dal G8, bisognerebbe cercare di imporre ai militari al potere in Egitto e ad al Sisi di garantire veramente una transizione democratica, cosa che a breve termine non sembra possibile.
Lo ha affermato Abdel Fattah al Sisi in un discorso alla tv, dove ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali in Egitto, dimettendosi dalla carica di ministro della Difesa e capo delle Forze armate. Intanto, nel Paese continua il pugno duro contro i Fratelli musulmani. il servizio di Massimiliano Menichetti: ascolta
“Tutti siamo uguali davanti alla legge e alla giustizia che hanno un ruolo fondamentale nell'avvenire del Paese”. Sono le parole del feldmaresciallo, Abdel Fattah Al Sisi, uomo forte dell’Egitto, che ieri si è dimesso dagli incarichi di ministro della Difesa e capo delle forze armate, dando avvio così alla campagna elettorale che lo vede adesso candidato per le prossime presidenziali. Le consultazioni si terranno entro l’estate. Al Sisi ha ribadito la volontà di dialogo tra le parti e di continuare a combattere il terrorismo. La candidatura, salutata con favore dalla maggioranza della popolazione, viene definita da Mohamed el Khatib, esponente dei Fratelli Musulmani, la "conferma che ciò che è avvenuto lo scorso luglio, ovvero un colpo di Stato". E nel Paese intanto è pugno duro con i sostenitori del deposto presidente Morsi, esponente della Fratellanza. Ieri, all’Università del Cairo uno studente è morto, colpito da un proiettile alla gola, mentre contestava insieme ad altri il governo e le 529 condanne a morte inflitte nei giorni scorsi ai Fratelli musulmani da un tribunale dell'Alto Egitto. Una sentenza definita da molti di “massa”, che preoccupa anche gli Stati Uniti. Il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha esortato “le appropriate autorità a porre rimedio alla situazione". Intanto, ieri altri 919 sostenitori di Morsi sono stati rinviati a giudizio per gli scontri Al Cairo avvenuti il 14 agosto scorso.
Per un'analisi della situazione in Egitto, il commento di Massimo Campanini docente di Storia dei paesi islamici all’Università di Trento: ascolta
R. – Credo si tratti della logica conclusione del ritorno dei militari in politica. Anche se al Sisi ha rinunciato alle sue cariche, sia civili che militari, comunque rimane l’uomo di punta dell’esercito e quindi governerà – perché sicuramente verrà eletto – in nome degli interessi dell’esercito. Questo vuol dire che la rivoluzione egiziana non è più rimasta tale. L’involuzione di questo processo ha visto ritornare al potere forze simili a quelle dell’epoca di Mubarak. Tra l’altro, è curioso che parlando di libertà e giustizia, il maresciallo al Sisi abbia sostanzialmente parafrasato il nome del partito dei Fratelli musulmani – Giustizia e Libertà… Quindi, le parole d’ordine sembrano quasi ripetute, in assenza però di una vera libertà e di un confronto democratico, in cui le posizioni della Fratellanza musulmana sono state duramente represse.
D. – Proprio nei confronti dei Fratelli musulmani si sta usando il pugno duro: oltre mille persone rinviate a giudizio, 529 condanne a morte. Questo non rischia di far esplodere di nuovo in Egitto una situazione di fortissima tensione, oltre quella che già c’è?
R. – E’ ormai dato scontato che le repressioni alimentino la radicalizzazione. Questo potrebbe evidentemente trascinare il Paese in una situazione di guerra civile potenziale, che potrebbe essere estremamente pericolosa non solo per l’Egitto in quanto tale, ma per tutta la geopolitica del Medio Oriente.
D. – Ma questa sentenza a morte nei confronti di 529 persone appartenenti ai Fratelli musulmani secondo lei è più un’affermazione di principio o esiste il rischio che venga eseguita?
R. – Io non credo che la sentenza venga applicata. Sarebbe uno schiaffo dato non solo alla democrazia, ma a tutti gli equilibri internazionali. Però, è chiaro che attraverso queste condanne a morte i militari hanno voluto sottolineare il loro ruolo centrale nell’amministrazione dell’Egitto e hanno voluto definitivamente emarginare quelli che avrebbero potuto essere i loro più pericolosi avversari.
D. – Secondo lei, la Fratellanza musulmana riuscirà a riorganizzarsi politicamente? In questo momento, lo ricordiamo, è fuorilegge…
R. – Secondo me, sì, comunque. Perché la Fratellanza musulmana ha una struttura di organizzazione interna molto solida, di tipo piramidale. E poi, non bisogna dimenticare che comunque i legami, le radici popolari che aveva la Fratellanza musulmana non possono essere recisi così, ex abrupto, da una condanna di massa. Quindi, prima di dare per morto il Movimento della Fratellanza musulmana, aspetterei di vedere il futuro. Certamente le difficoltà di riorganizzazione, di partecipazione politica, saranno molto gravi e, come dicevo prima, un rischio di radicalizzazione, di estremizzazione è sempre inerente in una situazione di questo genere.
D. – Ma secondo lei, la comunità internazionale in questo momento dovrebbe intervenire in qualche modo?
R. – Come abbiamo escluso la Russia dal G8, bisognerebbe cercare di imporre ai militari al potere in Egitto e ad al Sisi di garantire veramente una transizione democratica, cosa che a breve termine non sembra possibile.
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