"La pace non è un dato scontato, ma una conquista, dovuta alla unità europea che oggi troppo superficialmente si cerca di screditare e attaccare".
Radio Vaticana - Così il presidente della Repubblica Napolitano oggi durante la commemorazione del 70.mo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. 335 civili e militari vennero uccisi il 24 marzo 1944 per mano dei nazisti. L’esecuzione fu decisa in seguito alla morte, il giorno prima, di 33 soldati tedeschi nell’attentato partigiano di Via Rasella. Alle Fosse Ardeatine, Giulia Spizzichino perse 7 familiari; nel rastrellamento furono coinvolti altri 11 suoi parenti, tra donne e bambini, gasati ad Auschwitz. Paolo Ondarza l’ha intervistata: ascolta
R. – Purtroppo, ricordo tutto perché ero già grande, avevo 17 anni: quella sera era l’ora del coprifuoco e Via Madonna dei Monti era completamente al buio, come tutta Roma, come tutta l’Italia, per via dell’oscurità obbligatoria. Noi sentimmo passare un camion tedesco sotto le nostre finestre, a Via Madonna dei Monti, dove io ero ospite, perché ero sfuggita per l’ennesima volta, insieme alla mia famiglia, ai nazisti, nella casa di fronte c’era mio nonno con la sua famiglia. Mamma spense le luci e ci mettemmo sotto le persiane, per vedere cosa stesse succedendo. Era realmente un camion tedesco con i fari illuminati, che procedeva molto lentamente e che si fermò proprio davanti al negozio e all’abitazione di mio nonno, dove era ospite in quel momento il figlio, con la moglie e nove nipoti. La cosa durò forse un quarto d’ora: si vedevano solo delle ombre e si sentiva un grande silenzio. Quando il camion ripartì, non c’era più nessuno: avevano caricato tutti, persino il pupetto, nato da 18 giorni.
D. – Di questo eccidio c’è ancora qualcosa di cui non è stato detto abbastanza?
R. – C’è stato quel tedesco, quel nazista, di cui non voglio neanche dire il nome, che è morto adesso a 100 anni, che ha dichiarato fino all’ultimo che le camere a gas non erano vere, che il gas c’era, ma serviva per cucinare… Tornando a quel giorno: gli uomini furono immediatamente divisi dalle donne e dai bambini e sette della mia famiglia, della famiglia di mia madre, la famiglia Di Consiglio, furono portati alle Fosse Ardeatine. Pensavano di andare a lavorare, con le mani legate dietro la schiena. Furono chiamati cinque per volta, fatti inginocchiare e inchinare immediatamente il capo sulla mano del nazista, che sparava dietro il capo di ognuno un solo colpo, per non sprecare le munizioni. Alcuni, infatti, sono stati trovati in condizioni disperate, perché non sono morti sul colpo. Le donne, poi, furono mandate a Fossoli per un mese, e dopo un viaggio allucinante, con parecchi bambini quella sera, non furono nemmeno “timbrati”, se mi si vuol passare questa brutta parola, e furono immediatamente inviati alle camere a gas e bruciati tutti. Non tornò più nessuno.
D. – Lei faceva riferimento ad uno dei principali responsabili del massacro delle Fosse Ardeatine, Erich Priebke, che fuggì in Argentina, e la cui estradizione fu resa possibile negli anni ’90 proprio grazie al suo impegno ...
R. – Sì, fui chiamata dalla televisione americana, che mi aveva visto sul Combat Film, e mi chiese se volevo andare a chiedere l’estradizione, visto che il ministro Biondi non c’era riuscito. Io risposi: “Scusi, non c’è riuscito un ministro, ci riesco io?”. Poi, non so come, dissi immediatamente sì e mi trovai catapultata in Argentina.
D. – E ha ottenuto questa estradizione: Priebke è stato portato in Italia, dove è stato processato...
R. – Ringrazio gli argentini che mi hanno accolto come una regina.
D. – Questo è solo uno degli esempi del suo grande impegno nel mantenere vivo il ricordo di quell’eccidio...
R. – Mi sono trovata coinvolta, da 20 anni, in questa cosa. Sono 20 anni, infatti, che saltello come una farfalla impazzita...
D. – ... infatti, ha scritto anche un libro (intitolato “La farfalla impazzita”) che ha regalato al Papa...
R. – Esattamente. E’ stato molto carino. Ho una foto stupenda, che mio figlio ha voluto sviluppassi in tela e incorniciassi, perché è bellissima, dove tiene le mie mani strette a libretto. E’ bellissima, è una foto stupenda.
D. – Cosa vorrebbe dire alle giovani generazioni oggi, a 70 anni dall’eccidio delle Fosse Ardeatine?
R. – Quando vado nelle scuole è qualcosa di incredibile. Anche i bambini delle elementari, dai quali sono sempre un po’ restia ad andare, non può immaginare che accoglienza mi facciano. Sono veramente meravigliata di quello che fa la gioventù. Non è vero che non gliene importa niente, non è vero che sono superficiali. Ci saranno pure quelli che fanno cosacce, ma io amo molto i giovani. Mi vogliono, mi cercano tanto e sto facendo veramente la spola. Qualche giorno fa sono stata al Senato e alle due già ero in treno per Firenze; sono andata ad Agrigento, sono andata da tutte le parti.
D. – Un impegno che richiede sicuramente uno sforzo fisico...
R. – Uno sforzo, perché io non sono più una ragazzina, sono abbastanza vecchia. Può fare il conto: se avevo 17 anni nel ’44...
D. – E dove trova tanta energia?
R. – Non lo so. Una conoscente ebrea mi ha detto: “Ma tanto non sei tu che parli, è l’Angelo di Dio”. Può darsi, può darsi, perché io non so dove la trovo, ma sento che non posso rifiutare.
Altrettanto grande l’impegno nel tenere viva la memoria dell’eccidio delle Fosse Ardeatine è quello profuso da un’altra testimone Vera Michelin Salomon, oppositrice politica al nazismo, deportata in Germania. Ascoltiamola al microfono di Paolo Ondarza: ascolta
R. – Ero prigioniera a Regina Coeli, quando è stata fatta la scelta delle persone che dovevano andare, si pensava, a lavoro, e invece poi abbiamo saputo, la sera stessa, che erano state uccise. Tra queste persone c’era un caro amico, che era stato arrestato con noi, perché si era trovato in casa nel momento in cui erano venute le SS a cercarmi: ero accusata di aver diffuso dei volantini davanti ad una scuola. Questa persona si chiama Paolo Petrucci ed è un numero abbastanza alto nel memoriale, nelle tombe raccolte. Questo ci ha fatto pensare che sia stato tra i primi uccisi. Questo è il mio ricordo, personale, che mi segue tutti gli anni. Il peggior ricordo del mio anno, più di un anno, prima in Italia e poi deportata in un carcere in Germania.
D. – Sui libri di storia è stata fatta piena luce, verità, sull’eccidio delle Fosse Ardeatine?
R. – Ma quali libri di storia? Ci sono dei libri di storia che sì, l’hanno fatta con gli elementi che hanno trovato. Quella degli occupanti tedeschi, dei nazisti, delle SS, non è stata una rappresaglia dovuta alla mancata presentazione dei cosiddetti colpevoli: è stata una vendetta contro un gesto, un’azione militare, approvata dal Cnl, dal Comando di liberazione nazionale, e non un’iniziativa di quattro terroristi sparsi. E’ stato, quindi, un vero atto di guerra e con un atto di vendetta di guerra si è risposto.
D. – Lei s’impegna, continua ad impegnarsi ogni anno, per la memoria di questo periodo storico...
R. – Faccio parte dell’Associazione nazionale dei deportati. Spero che la popolazione capisca, anno dopo anno, come sono andate le cose e faccia di questo luogo romano un posto dove si va, così come si va al Colosseo. E’ un posto dove riflettere, dove commuoversi e dove pensare alla storia che abbiamo attraversato.
Radio Vaticana - Così il presidente della Repubblica Napolitano oggi durante la commemorazione del 70.mo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. 335 civili e militari vennero uccisi il 24 marzo 1944 per mano dei nazisti. L’esecuzione fu decisa in seguito alla morte, il giorno prima, di 33 soldati tedeschi nell’attentato partigiano di Via Rasella. Alle Fosse Ardeatine, Giulia Spizzichino perse 7 familiari; nel rastrellamento furono coinvolti altri 11 suoi parenti, tra donne e bambini, gasati ad Auschwitz. Paolo Ondarza l’ha intervistata: ascolta
R. – Purtroppo, ricordo tutto perché ero già grande, avevo 17 anni: quella sera era l’ora del coprifuoco e Via Madonna dei Monti era completamente al buio, come tutta Roma, come tutta l’Italia, per via dell’oscurità obbligatoria. Noi sentimmo passare un camion tedesco sotto le nostre finestre, a Via Madonna dei Monti, dove io ero ospite, perché ero sfuggita per l’ennesima volta, insieme alla mia famiglia, ai nazisti, nella casa di fronte c’era mio nonno con la sua famiglia. Mamma spense le luci e ci mettemmo sotto le persiane, per vedere cosa stesse succedendo. Era realmente un camion tedesco con i fari illuminati, che procedeva molto lentamente e che si fermò proprio davanti al negozio e all’abitazione di mio nonno, dove era ospite in quel momento il figlio, con la moglie e nove nipoti. La cosa durò forse un quarto d’ora: si vedevano solo delle ombre e si sentiva un grande silenzio. Quando il camion ripartì, non c’era più nessuno: avevano caricato tutti, persino il pupetto, nato da 18 giorni.
D. – Di questo eccidio c’è ancora qualcosa di cui non è stato detto abbastanza?
R. – C’è stato quel tedesco, quel nazista, di cui non voglio neanche dire il nome, che è morto adesso a 100 anni, che ha dichiarato fino all’ultimo che le camere a gas non erano vere, che il gas c’era, ma serviva per cucinare… Tornando a quel giorno: gli uomini furono immediatamente divisi dalle donne e dai bambini e sette della mia famiglia, della famiglia di mia madre, la famiglia Di Consiglio, furono portati alle Fosse Ardeatine. Pensavano di andare a lavorare, con le mani legate dietro la schiena. Furono chiamati cinque per volta, fatti inginocchiare e inchinare immediatamente il capo sulla mano del nazista, che sparava dietro il capo di ognuno un solo colpo, per non sprecare le munizioni. Alcuni, infatti, sono stati trovati in condizioni disperate, perché non sono morti sul colpo. Le donne, poi, furono mandate a Fossoli per un mese, e dopo un viaggio allucinante, con parecchi bambini quella sera, non furono nemmeno “timbrati”, se mi si vuol passare questa brutta parola, e furono immediatamente inviati alle camere a gas e bruciati tutti. Non tornò più nessuno.
D. – Lei faceva riferimento ad uno dei principali responsabili del massacro delle Fosse Ardeatine, Erich Priebke, che fuggì in Argentina, e la cui estradizione fu resa possibile negli anni ’90 proprio grazie al suo impegno ...
R. – Sì, fui chiamata dalla televisione americana, che mi aveva visto sul Combat Film, e mi chiese se volevo andare a chiedere l’estradizione, visto che il ministro Biondi non c’era riuscito. Io risposi: “Scusi, non c’è riuscito un ministro, ci riesco io?”. Poi, non so come, dissi immediatamente sì e mi trovai catapultata in Argentina.
D. – E ha ottenuto questa estradizione: Priebke è stato portato in Italia, dove è stato processato...
R. – Ringrazio gli argentini che mi hanno accolto come una regina.
D. – Questo è solo uno degli esempi del suo grande impegno nel mantenere vivo il ricordo di quell’eccidio...
R. – Mi sono trovata coinvolta, da 20 anni, in questa cosa. Sono 20 anni, infatti, che saltello come una farfalla impazzita...
D. – ... infatti, ha scritto anche un libro (intitolato “La farfalla impazzita”) che ha regalato al Papa...
R. – Esattamente. E’ stato molto carino. Ho una foto stupenda, che mio figlio ha voluto sviluppassi in tela e incorniciassi, perché è bellissima, dove tiene le mie mani strette a libretto. E’ bellissima, è una foto stupenda.
D. – Cosa vorrebbe dire alle giovani generazioni oggi, a 70 anni dall’eccidio delle Fosse Ardeatine?
R. – Quando vado nelle scuole è qualcosa di incredibile. Anche i bambini delle elementari, dai quali sono sempre un po’ restia ad andare, non può immaginare che accoglienza mi facciano. Sono veramente meravigliata di quello che fa la gioventù. Non è vero che non gliene importa niente, non è vero che sono superficiali. Ci saranno pure quelli che fanno cosacce, ma io amo molto i giovani. Mi vogliono, mi cercano tanto e sto facendo veramente la spola. Qualche giorno fa sono stata al Senato e alle due già ero in treno per Firenze; sono andata ad Agrigento, sono andata da tutte le parti.
D. – Un impegno che richiede sicuramente uno sforzo fisico...
R. – Uno sforzo, perché io non sono più una ragazzina, sono abbastanza vecchia. Può fare il conto: se avevo 17 anni nel ’44...
D. – E dove trova tanta energia?
R. – Non lo so. Una conoscente ebrea mi ha detto: “Ma tanto non sei tu che parli, è l’Angelo di Dio”. Può darsi, può darsi, perché io non so dove la trovo, ma sento che non posso rifiutare.
Altrettanto grande l’impegno nel tenere viva la memoria dell’eccidio delle Fosse Ardeatine è quello profuso da un’altra testimone Vera Michelin Salomon, oppositrice politica al nazismo, deportata in Germania. Ascoltiamola al microfono di Paolo Ondarza: ascolta
R. – Ero prigioniera a Regina Coeli, quando è stata fatta la scelta delle persone che dovevano andare, si pensava, a lavoro, e invece poi abbiamo saputo, la sera stessa, che erano state uccise. Tra queste persone c’era un caro amico, che era stato arrestato con noi, perché si era trovato in casa nel momento in cui erano venute le SS a cercarmi: ero accusata di aver diffuso dei volantini davanti ad una scuola. Questa persona si chiama Paolo Petrucci ed è un numero abbastanza alto nel memoriale, nelle tombe raccolte. Questo ci ha fatto pensare che sia stato tra i primi uccisi. Questo è il mio ricordo, personale, che mi segue tutti gli anni. Il peggior ricordo del mio anno, più di un anno, prima in Italia e poi deportata in un carcere in Germania.
D. – Sui libri di storia è stata fatta piena luce, verità, sull’eccidio delle Fosse Ardeatine?
R. – Ma quali libri di storia? Ci sono dei libri di storia che sì, l’hanno fatta con gli elementi che hanno trovato. Quella degli occupanti tedeschi, dei nazisti, delle SS, non è stata una rappresaglia dovuta alla mancata presentazione dei cosiddetti colpevoli: è stata una vendetta contro un gesto, un’azione militare, approvata dal Cnl, dal Comando di liberazione nazionale, e non un’iniziativa di quattro terroristi sparsi. E’ stato, quindi, un vero atto di guerra e con un atto di vendetta di guerra si è risposto.
D. – Lei s’impegna, continua ad impegnarsi ogni anno, per la memoria di questo periodo storico...
R. – Faccio parte dell’Associazione nazionale dei deportati. Spero che la popolazione capisca, anno dopo anno, come sono andate le cose e faccia di questo luogo romano un posto dove si va, così come si va al Colosseo. E’ un posto dove riflettere, dove commuoversi e dove pensare alla storia che abbiamo attraversato.
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