“La Crimea torna alla Russia”, Stampa. “Putin si riprende la Crimea”, Repubblica.
Feste popolari e mortaretti per un referendum che sarebbe meglio chiamare plebiscito. 93 o 95 per cento di sì alla patria Russia. Mi chiedo se qualche Tataro, o semplicemente un Ucraino, a urne aperte non si sia dovuto dolere, come don Ciccio Tumeo nel Gattopardo, di vedere il suo no trasformarsi in sì. Resta che la popolazione della Crimea preferisce la Russia, che a Kiev la piazza ha vinto contando (troppo?) sull’ombrello economico dell’Europa e su quello militare della Nato, che nel nuovo Governo siede almeno un ministro nazista e nessuno s’è preoccupato di lanciare un messaggio di pace e fratellanza alle popolazioni filo russe e russofone dell’Ucraina.
Così Putin ha perso l’Ucraina e ha vinto la Crimea. Obama vorrebbe espellerlo dal G8 e ridurlo al ruolo di un paria della comunità internazionale. Ma forse con Mosca dovrà trattare. L’Europa minaccia sanzioni durissime, ma teme di doverne pagare, in parte, il prezzo. Dire che il caso della Crimea non c’entra con quello del Kosovo, terra serba per storia e simboli religiosi ma a maggioranza albanese, è vero ed è falso. Osserva Massimo Nava che il Kosovo “ottenne l’indipendenza grazie al «bombardamento umanitario» della Nato contro la Serbia di Milosevic, liquidato con la forza dall’Occidente e mollato dall’alleato russo. Si dirà - aggiunge l’editorialista del Corriere - che i russi di Crimea non sono oggi minacciati come lo era la maggioranza albanese del Kosovo, ma fino a quando, se venisse a mancare la protezione russa?”.
Lo ripeto, oggi Renzi troverà una Cancelliera meno incline a trattare l’Italia come “un somaro” perché preoccupata di quanto accade ai confini con la Russia. La crisi Ucraina è, infatti, la prima brusca sveglia per l’Europa a trazione tedesca. La Germania, di nuovo unita, ha saputo integrare nel suo sistema alcune economie post comuniste. In questo le ha fatto comodo l’aggressività geo politica che Nato e UE dispiegavano verso est. Ma al tempo stesso Berlino è rimasta partner economico privilegiato degli oligarchi russi e di Putin. Mentre dal sud mediterraneo indebitato continuavano ad arrivare capitali, dando l’illusione ai tedeschi che si fosse risolto il dilemma cornuto della loro storia, e cioè la scarsa capacità di finanziare il proprio primato industriale. Tanti vantaggi, pochi doveri. Ora Frau Merkel si trova davanti alle responsabilità tedesche: l’egemonia ha un prezzo. Non credo che le convenga sottovalutare il giovane primo ministro italiano.
Intanto la Corazziera Pinotti (scherzo, è alta e procede in modo marziale!) scopre che si può spender meno in F35 e persino ridurre il costo delle caserme. Politique d’abord! I soldi si devono trovare e si troveranno. Ragioneria dello stato, burocrazie ministeriali, lobby dei militari, e quel grumo di potenti e di poteri che da anni si addensa intorno al Quirinale, tutti dovranno farsene una ragione. Il ragazzo Renzi non ha da farsi perdonare un passato da comunista, al contrario arriva dopo il doppio fallimento della classe dirigente quirinalizia, prima con Monti, poi con Letta le larghe intese, avrà pure qualche altarino, Renzi, ma non lo mandano le lobbies e la P2 (o peggio) come fu con Berlusconi. E, da fiorentino, può darsi che riesca a non farsi sedurre dalle terrazze romane e dalle sale ovattate in cui tramarono generazioni di cardinali, e dove non è mai tempo di fare quello che si può rinviare.
Ospite di Fabio Fazio, Pierluigi Bersani, come sempre schietto e leale, ha promesso di sostenere Renzi e il suo governo. Ponendo un solo limite: il rispetto del Parlamento. In particolare il diritto dei gruppi parlamentari e del Pd di salvare l’essenziale dell’accordo Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale, ma senza concedere a Berlusconi per forza l’ultima parola, provando quel testo, a renderlo meno palesemente incostituzionale, con le maggioranze che in Senato si potranno sperimentare. L’unica vera frecciata che Bersani ha riservato al Renzi è quando ha detto: “ora la legge elettorale si può fare. Per merito della Consulta”.
Feste popolari e mortaretti per un referendum che sarebbe meglio chiamare plebiscito. 93 o 95 per cento di sì alla patria Russia. Mi chiedo se qualche Tataro, o semplicemente un Ucraino, a urne aperte non si sia dovuto dolere, come don Ciccio Tumeo nel Gattopardo, di vedere il suo no trasformarsi in sì. Resta che la popolazione della Crimea preferisce la Russia, che a Kiev la piazza ha vinto contando (troppo?) sull’ombrello economico dell’Europa e su quello militare della Nato, che nel nuovo Governo siede almeno un ministro nazista e nessuno s’è preoccupato di lanciare un messaggio di pace e fratellanza alle popolazioni filo russe e russofone dell’Ucraina.
Così Putin ha perso l’Ucraina e ha vinto la Crimea. Obama vorrebbe espellerlo dal G8 e ridurlo al ruolo di un paria della comunità internazionale. Ma forse con Mosca dovrà trattare. L’Europa minaccia sanzioni durissime, ma teme di doverne pagare, in parte, il prezzo. Dire che il caso della Crimea non c’entra con quello del Kosovo, terra serba per storia e simboli religiosi ma a maggioranza albanese, è vero ed è falso. Osserva Massimo Nava che il Kosovo “ottenne l’indipendenza grazie al «bombardamento umanitario» della Nato contro la Serbia di Milosevic, liquidato con la forza dall’Occidente e mollato dall’alleato russo. Si dirà - aggiunge l’editorialista del Corriere - che i russi di Crimea non sono oggi minacciati come lo era la maggioranza albanese del Kosovo, ma fino a quando, se venisse a mancare la protezione russa?”.
Lo ripeto, oggi Renzi troverà una Cancelliera meno incline a trattare l’Italia come “un somaro” perché preoccupata di quanto accade ai confini con la Russia. La crisi Ucraina è, infatti, la prima brusca sveglia per l’Europa a trazione tedesca. La Germania, di nuovo unita, ha saputo integrare nel suo sistema alcune economie post comuniste. In questo le ha fatto comodo l’aggressività geo politica che Nato e UE dispiegavano verso est. Ma al tempo stesso Berlino è rimasta partner economico privilegiato degli oligarchi russi e di Putin. Mentre dal sud mediterraneo indebitato continuavano ad arrivare capitali, dando l’illusione ai tedeschi che si fosse risolto il dilemma cornuto della loro storia, e cioè la scarsa capacità di finanziare il proprio primato industriale. Tanti vantaggi, pochi doveri. Ora Frau Merkel si trova davanti alle responsabilità tedesche: l’egemonia ha un prezzo. Non credo che le convenga sottovalutare il giovane primo ministro italiano.
Intanto la Corazziera Pinotti (scherzo, è alta e procede in modo marziale!) scopre che si può spender meno in F35 e persino ridurre il costo delle caserme. Politique d’abord! I soldi si devono trovare e si troveranno. Ragioneria dello stato, burocrazie ministeriali, lobby dei militari, e quel grumo di potenti e di poteri che da anni si addensa intorno al Quirinale, tutti dovranno farsene una ragione. Il ragazzo Renzi non ha da farsi perdonare un passato da comunista, al contrario arriva dopo il doppio fallimento della classe dirigente quirinalizia, prima con Monti, poi con Letta le larghe intese, avrà pure qualche altarino, Renzi, ma non lo mandano le lobbies e la P2 (o peggio) come fu con Berlusconi. E, da fiorentino, può darsi che riesca a non farsi sedurre dalle terrazze romane e dalle sale ovattate in cui tramarono generazioni di cardinali, e dove non è mai tempo di fare quello che si può rinviare.
Ospite di Fabio Fazio, Pierluigi Bersani, come sempre schietto e leale, ha promesso di sostenere Renzi e il suo governo. Ponendo un solo limite: il rispetto del Parlamento. In particolare il diritto dei gruppi parlamentari e del Pd di salvare l’essenziale dell’accordo Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale, ma senza concedere a Berlusconi per forza l’ultima parola, provando quel testo, a renderlo meno palesemente incostituzionale, con le maggioranze che in Senato si potranno sperimentare. L’unica vera frecciata che Bersani ha riservato al Renzi è quando ha detto: “ora la legge elettorale si può fare. Per merito della Consulta”.
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