martedì, marzo 11, 2014
Grande entusiasmo nella Repubblica di Corea, all’indomani dell’annuncio della visita pastorale di Papa Francesco nel Paese asiatico a metà agosto.  

Radio Vaticana - "Quella di Francesco - scrivono in un messaggio i vescovi sudcoreani - è una visita all'intero continente asiatico". Soprattutto tra i poveri e i disagiati delle grandi città la gioia è diffusa e già fervono i preparativi in vista di agosto. A Song-nam, nella periferia di Seul, è presente uno centri Caritas più importanti del paese. Fondato da padre Vincenzo Bordo, missionario degli Oblati di Maria Immacolata, accoglie circa 500 senza fissa dimora al giorno. Davide Dionisi ha chiesto al sacerdote in che modo è stata accolta la notizia dai suoi ospiti. ascolta

R. – Con grande entusiasmo e grande gioia, soprattutto qui dove siamo noi, un centro per homeless, barboni e gente di strada. Al sentire la notizia sono stati tutti euforici. Quando il Papa, infatti, ha festeggiato il compleanno e ha invitato tre barboni, con un cane, ho divulgato la notizia a tutti i miei ospiti che, sapendo quindi che il Papa sarebbe venuto in Corea, hanno detto: “Ma allora verrà a trovare anche noi! Se invita i barboni a casa sua, verrà qui da noi, che siamo 500-600”. Quindi, c’è grande attesa e aspettativa da parte di tutti gli amici della strada per poterlo vedere, per il gesto che ha fatto di apprezzamento, di riconoscimento nei confronti della gente di strada.

D. - In che modo vi preparerete?

R. – Innanzitutto, far conoscere chi è il Papa. Qui, siamo in un ambiente non cattolico e non cristiano e del Papa, della Chiesa cattolica, conoscono pochissimo. La prima cosa è far conoscere chi sia questa persona, cosa faccia e cosa sia la Chiesa cattolica. Ci sarà, dunque, una preparazione di catechesi per queste persone, che è un primo annuncio, perché non conoscono né Gesù né la Chiesa e tantomeno il Papa. Sarà un’occasione, dunque, per evangelizzare.

D. - Non abituarsi alle situazioni di degrado e di miseria che incontriamo camminando per le strade delle nostre città: lei ha un rapporto quotidiano con gli ultimi e ha fatto suo questo messaggio di Papa Francesco fin dalla nascita del Centro Caritas. Quali sentimenti prova un missionario che si è fatto interprete di tale appello nella periferia di Seul?

R. – Grande gioia quando ho sentito queste parole del Papa, perché per 20 anni – sono 22 anni che sono in questa pastorale – alcune volte mi sono sentito deriso, abbandonato, anche oltraggiato. Il Papa che riconosce questo lavoro, che dice che questi sono fratelli che soffrono, mi dà tanto coraggio e dà tanto coraggio alla gente che è sulla strada. Dicono: “Ma il Papa, che è una persona così importante, si ricorda di noi?”. Queste sono situazioni di sofferenza che spesso la gente non vede, non conosce o non vuol vedere. Il fatto che il Papa se ne sia reso conto e l’abbia proposto all’attenzione di tutti dà consolazione, speranza, gioia a tutti i nostri amici, che vivono sulla strada.

D. – Com’è cambiata la Corea dal 1989, anno della seconda visita di Giovanni Paolo II, ad oggi? Quali sono le nuove sfide pastorali della Chiesa locale?

R. – La Chiesa è cambiata tantissimo in questi anni, è cambiata tanto la società e quindi è cambiata anche la Chiesa. Io sono arrivato nel ’90 in Corea e la frequenza dei cattolici coreani alla Messa domenicale era dell’80%: andando in Chiesa si vedeva non soltanto tanta gente, ma si vedevano tanti giovani. Sono passati 20 anni e la percentuale di coloro che frequentano la Messa domenicale è intorno al 25-30% e si tratta soprattutto di anziani. Il problema, quindi, della secolarizzazione è molto grande e c’è bisogno di una nuova evangelizzazione e di un’immagine nuova della Chiesa. Modi nuovi per una realtà che è cambiata, di questo sì, ce n’è tanto bisogno.


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