Le sedi di alcune organizzazioni non governative straniere attive per l’assistenza della minoranza musulmana Rohingya nello stato occidentale di Rakhine sono sotto attacco da ieri da parte di centinaia di buddhisti.
Misna - In particolare, nel mirino sono finiti gli uffici di Malteser International, organizzazione umanitaria dell’Ordine di Malta, e case affittate a ong straniere. Secondo fonti locali e anche della politica nazionale, vi sono danni agli edifici e alle cose ma nessuno è finora rimasto ferito negli incidenti che secondo le fonti buddhiste locali sono stati provocati da una funzionaria dell’organizzazione che avrebbe rimosso una bandiera buddhista dall’ingresso della sede di Malteser e l’avrebbe piegata e infilata in tasca. Azioni considerate irriguardose verso la religione nazionale.
In realtà, le proteste in atto dimostrano ancora una volta l’ostilità verso istituzioni caritative straniere che cercano di portare un qualche soccorso al crescente numero di Rohingya, senza cittadinanza birmana e senza diritti, costretti a lasciare le proprie abitazioni e le proprie attività dagli attacchi di elementi radicali sobillati da interessi locali e nel sostanziale disinteresse delle autorità. I vessilli buddhisti esposti nella città di Sittwe, capoluogo dello stato Rakhine, sono infatti parte della campagna per non includere i Rohingya nel censimento che inizia sabato.
La notte scorsa le forze di sicurezza hanno sparato in aria per disperdere una folla che aveva assaltato tre edifici prendendoli di mira con il lancio di pietre e questa mattina la situazione si è ripetuta. Minacciati i proprietari delle case affittate a organizzazioni straniere, mentre la polizia ha bloccato l’accesso alla strada dove sono concentrate le iniziative delle Ong ma non ha impedito un ulteriore lancio di pietre.
La tensione resta alta e scarseggiano le notizie dei dipendenti e funzionari delle organizzazioni attive a Sittwe. Da tempo, contemporaneamente all’aumento delle pressioni sui Rohingya, anche le iniziative internazionali sono sotto maggiore pressione. Non solo da parte dei buddhisti estremisti, ma anche dello stesso governo che a fatica concede di aiutare i Rohingya ma solo su un piede di parità con i birmani e vieta la diffusione di ogni informazione sulle tensioni e sulle vittime. Per questo, il 27 febbraio a Medici senza Frontiere era stato ritirato il permesso di operare nel Rakhine, poi in parte ripristinato anche per la pressione internazionale, con l’eccezione delle aree maggiormente interessate dalle violenze.
In realtà, le proteste in atto dimostrano ancora una volta l’ostilità verso istituzioni caritative straniere che cercano di portare un qualche soccorso al crescente numero di Rohingya, senza cittadinanza birmana e senza diritti, costretti a lasciare le proprie abitazioni e le proprie attività dagli attacchi di elementi radicali sobillati da interessi locali e nel sostanziale disinteresse delle autorità. I vessilli buddhisti esposti nella città di Sittwe, capoluogo dello stato Rakhine, sono infatti parte della campagna per non includere i Rohingya nel censimento che inizia sabato.
La notte scorsa le forze di sicurezza hanno sparato in aria per disperdere una folla che aveva assaltato tre edifici prendendoli di mira con il lancio di pietre e questa mattina la situazione si è ripetuta. Minacciati i proprietari delle case affittate a organizzazioni straniere, mentre la polizia ha bloccato l’accesso alla strada dove sono concentrate le iniziative delle Ong ma non ha impedito un ulteriore lancio di pietre.
La tensione resta alta e scarseggiano le notizie dei dipendenti e funzionari delle organizzazioni attive a Sittwe. Da tempo, contemporaneamente all’aumento delle pressioni sui Rohingya, anche le iniziative internazionali sono sotto maggiore pressione. Non solo da parte dei buddhisti estremisti, ma anche dello stesso governo che a fatica concede di aiutare i Rohingya ma solo su un piede di parità con i birmani e vieta la diffusione di ogni informazione sulle tensioni e sulle vittime. Per questo, il 27 febbraio a Medici senza Frontiere era stato ritirato il permesso di operare nel Rakhine, poi in parte ripristinato anche per la pressione internazionale, con l’eccezione delle aree maggiormente interessate dalle violenze.
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