Frequenza
e spazio delle fuggevoli menzioni nelle sacre scritture sono
notoriamente scarsi.
Persino un prolifico saggista, il cardinale Gianfranco Ravasi, per mettere insieme un centoventi pagine di libro attorno allo sposo di Maria e padre legale di Gesù, ha forse faticato non poco, se la veste editoriale del suo “Giuseppe - Il padre di Gesù”, fresco di stampa per le edizioni san Paolo, sembra pensata apposta, col suo largo interlinea, per far sembrare la materia più corposa di quel che è.
Competenza ed acume del Ravasi dotto biblista, sia chiaro, sono comunque fuori discussione, e anche la sua ultima fatica ne offre ampia e pregevole prova. Ma non è colpa sua, evidentemente, se le “fonti” bibliche, storiche e via discorrendo (quelle attendibili, beninteso) son piuttosto avare di notizie sul santo del calendario di oggi. Chi scrive, se gli è concesso un piccolo ricordo personale, ricorda pure qualche semiseria “lamentela” del suo, di padre (auguri, a proposito!), a motivo del “presunto” ingrato silenzio in cui i babbi in genere, non solo Giuseppe (da cui però la lamentela prendeva spunto), si sorbiscono nell'operoso nascondimento gli ingrati compiti e le fatiche che loro competono.
Né basta certo un giorno di festa, questo 19 marzo, a compensarne 364 di indifferenza. Anche se il Papa (che significa per la cronaca proprio “padre”, anche con accento sulla prima “a”) Francesco oggi non ha certo lesinato sugli inviti a festeggiare come si conviene tutti i padri, presenti oppure no a piazza san Pietro per l'udienza generale del mercoledì; tema, naturalmente (interrompendo per una volta il ciclo di catechesi sui sacramenti), “San Giuseppe educatore”.
Pure un anno fa, ricorderete certo, Jorge Bergoglio Pontefice eletto da appena sei giorni scelse la stessa ricorrenza per celebrare la messa di inizio del ministero petrino. E anche allora, nella più solenne (ricorrendo per definizione solo una volta a pontificato) delle occasioni possibili scelse di concentrare la sua omelia attorno all'oscuro falegname di Nazareth, scelto dagli insondabili disegni celesti per divenire il “custode” di Maria, del piccolo Gesù e della Chiesa intera. E manco a dirlo, “come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende...”.
Altra annotazione importante ed ispirata fu quella relativa alla necessaria “tenerezza” del custodire, vale a dire che “nei Vangeli”, disse Francesco, “san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore”. Perciò, aggiunse con particolare enfasi, “non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!”, e tanti saluti ai vecchi cliché del padre virilmente burbero e scostante con la figliolanza.
Custodire, il Papa ha spiegato ancora oggi, ad un anno di distanza, significa per un padre anzitutto educare e accompagnare la crescita dei figli in “sapienza, età e grazia”, come il Vangelo sinteticamente riferisce di Gesù che diventava bambino, ragazzo e uomo sotto lo sguardo tenero appunto del padre. Giuseppe anzitutto si preoccupò “che non gli mancasse il necessario per un sano sviluppo”. Per sottrarlo poi alla furia di Erode, che aveva ordinato la strage degli innocenti, gli toccò persino fuggire in Egitto, fare cioè la vita del “rifugiato”, proprio così ha detto Francesco, con riferimento alla moderna “categoria” così denominata cui appartengono oggi tanti sventurati extracomunitari (col sottinteso neanche troppo “sottinteso” che spesso non prestiamo loro l'attenzione e la benevolenza dovute).
E ancora, Giuseppe da bravo padre di famiglia si preoccupò di insegnare un mestiere al figlio, il suo, quello di falegname. Il saggio del cardinal Ravasi da cui siamo partiti si preoccupa pure di documentare a questo proposito che con la sua attività di carpentiere (meglio, forse, che falegname) non poteva certo essere annoverato tra i ceti della piccola e media borghesia dell'epoca, bensì conduceva un tenore di vita decoroso sì, ma comunque modesto.
Probabilmente, sono riflessioni di nuovo del Papa, possiamo pure immaginarlo mentre di sabato accompagnava Gesù in sinagoga, ad ascoltar la lettura delle sacre scritture. Questo per “sapienza” ed “età” sopra citate. Quanto invece alla “grazia”, questa non sembra magari proprio competenza dei genitori, che però non sono nemmeno del tutto inutili al riguardo: “sarebbe un grave errore”, ha ammonito anzi il Pontefice, “pensare che una madre e un padre non posson far nulla per educare i figli a crescere nella grazia di Dio”.
Insomma, è l'esortazione costituente il “focus” della catechesi papale di oggi sull'esempio appunto di Giuseppe, “chiedo per voi (i papà, ndr) la grazia di esser sempre molto vicini ai vostri figli, lasciandoli crescere, ma vicini, vicini! Loro hanno bisogno di voi, della vostra presenza, della vostra vicinanza, del vostro amore”. In conlusione non è mancato neppure un cordiale augurio di “buona festa del papà”, accompagnato dalla recita collettiva di un “padre nostro” tutto per loro.
Tutto bello e buono, sì, ma un po' poco, penserà forse ancora qualche padre nel sentirsi oggi servito e riverito, ma già domani tutto tornerà come prima. Rimostranze pure legittime, forse, in qualche misura, anche se ogni categoria in fondo ha le sue. Detto questo, si consolino semmai pensando che Bergoglio nutre per il papà santo per eccellenza una venerazione davvero profonda e non comune. Per accennare appena a due piccoli ma non insignificanti segni, e chiudiamo, il nardo del suo stemma papale simboleggia l'araldica proprio san Giuseppe, il quale da giugno scorso, per volontà del regnante Pontefice, è pure devotamente menzionato nella preghiera eucaristica (dopo la consacrazione) seconda, terza e quarta, non solo nella prima, dopo la “beata Maria, Vergine e Madre di Dio”.
Persino un prolifico saggista, il cardinale Gianfranco Ravasi, per mettere insieme un centoventi pagine di libro attorno allo sposo di Maria e padre legale di Gesù, ha forse faticato non poco, se la veste editoriale del suo “Giuseppe - Il padre di Gesù”, fresco di stampa per le edizioni san Paolo, sembra pensata apposta, col suo largo interlinea, per far sembrare la materia più corposa di quel che è.
Competenza ed acume del Ravasi dotto biblista, sia chiaro, sono comunque fuori discussione, e anche la sua ultima fatica ne offre ampia e pregevole prova. Ma non è colpa sua, evidentemente, se le “fonti” bibliche, storiche e via discorrendo (quelle attendibili, beninteso) son piuttosto avare di notizie sul santo del calendario di oggi. Chi scrive, se gli è concesso un piccolo ricordo personale, ricorda pure qualche semiseria “lamentela” del suo, di padre (auguri, a proposito!), a motivo del “presunto” ingrato silenzio in cui i babbi in genere, non solo Giuseppe (da cui però la lamentela prendeva spunto), si sorbiscono nell'operoso nascondimento gli ingrati compiti e le fatiche che loro competono.
Né basta certo un giorno di festa, questo 19 marzo, a compensarne 364 di indifferenza. Anche se il Papa (che significa per la cronaca proprio “padre”, anche con accento sulla prima “a”) Francesco oggi non ha certo lesinato sugli inviti a festeggiare come si conviene tutti i padri, presenti oppure no a piazza san Pietro per l'udienza generale del mercoledì; tema, naturalmente (interrompendo per una volta il ciclo di catechesi sui sacramenti), “San Giuseppe educatore”.
Pure un anno fa, ricorderete certo, Jorge Bergoglio Pontefice eletto da appena sei giorni scelse la stessa ricorrenza per celebrare la messa di inizio del ministero petrino. E anche allora, nella più solenne (ricorrendo per definizione solo una volta a pontificato) delle occasioni possibili scelse di concentrare la sua omelia attorno all'oscuro falegname di Nazareth, scelto dagli insondabili disegni celesti per divenire il “custode” di Maria, del piccolo Gesù e della Chiesa intera. E manco a dirlo, “come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende...”.
Altra annotazione importante ed ispirata fu quella relativa alla necessaria “tenerezza” del custodire, vale a dire che “nei Vangeli”, disse Francesco, “san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore”. Perciò, aggiunse con particolare enfasi, “non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!”, e tanti saluti ai vecchi cliché del padre virilmente burbero e scostante con la figliolanza.
Custodire, il Papa ha spiegato ancora oggi, ad un anno di distanza, significa per un padre anzitutto educare e accompagnare la crescita dei figli in “sapienza, età e grazia”, come il Vangelo sinteticamente riferisce di Gesù che diventava bambino, ragazzo e uomo sotto lo sguardo tenero appunto del padre. Giuseppe anzitutto si preoccupò “che non gli mancasse il necessario per un sano sviluppo”. Per sottrarlo poi alla furia di Erode, che aveva ordinato la strage degli innocenti, gli toccò persino fuggire in Egitto, fare cioè la vita del “rifugiato”, proprio così ha detto Francesco, con riferimento alla moderna “categoria” così denominata cui appartengono oggi tanti sventurati extracomunitari (col sottinteso neanche troppo “sottinteso” che spesso non prestiamo loro l'attenzione e la benevolenza dovute).
E ancora, Giuseppe da bravo padre di famiglia si preoccupò di insegnare un mestiere al figlio, il suo, quello di falegname. Il saggio del cardinal Ravasi da cui siamo partiti si preoccupa pure di documentare a questo proposito che con la sua attività di carpentiere (meglio, forse, che falegname) non poteva certo essere annoverato tra i ceti della piccola e media borghesia dell'epoca, bensì conduceva un tenore di vita decoroso sì, ma comunque modesto.
Probabilmente, sono riflessioni di nuovo del Papa, possiamo pure immaginarlo mentre di sabato accompagnava Gesù in sinagoga, ad ascoltar la lettura delle sacre scritture. Questo per “sapienza” ed “età” sopra citate. Quanto invece alla “grazia”, questa non sembra magari proprio competenza dei genitori, che però non sono nemmeno del tutto inutili al riguardo: “sarebbe un grave errore”, ha ammonito anzi il Pontefice, “pensare che una madre e un padre non posson far nulla per educare i figli a crescere nella grazia di Dio”.
Insomma, è l'esortazione costituente il “focus” della catechesi papale di oggi sull'esempio appunto di Giuseppe, “chiedo per voi (i papà, ndr) la grazia di esser sempre molto vicini ai vostri figli, lasciandoli crescere, ma vicini, vicini! Loro hanno bisogno di voi, della vostra presenza, della vostra vicinanza, del vostro amore”. In conlusione non è mancato neppure un cordiale augurio di “buona festa del papà”, accompagnato dalla recita collettiva di un “padre nostro” tutto per loro.
Tutto bello e buono, sì, ma un po' poco, penserà forse ancora qualche padre nel sentirsi oggi servito e riverito, ma già domani tutto tornerà come prima. Rimostranze pure legittime, forse, in qualche misura, anche se ogni categoria in fondo ha le sue. Detto questo, si consolino semmai pensando che Bergoglio nutre per il papà santo per eccellenza una venerazione davvero profonda e non comune. Per accennare appena a due piccoli ma non insignificanti segni, e chiudiamo, il nardo del suo stemma papale simboleggia l'araldica proprio san Giuseppe, il quale da giugno scorso, per volontà del regnante Pontefice, è pure devotamente menzionato nella preghiera eucaristica (dopo la consacrazione) seconda, terza e quarta, non solo nella prima, dopo la “beata Maria, Vergine e Madre di Dio”.
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