Nuovo allarmante rapporto della Confederazione Internazionale dei Sindacati: 4 mila migranti moriranno nei cantieri dell’emirato entro il 2022. Ma Doha insiste: “Aiutiamo le economie in via di sviluppo”. E paga 5 euro ai lavoratori stranieri per riempire gli spalti durante le partite.
NenaNews - Quattromila lavoratori immigrati moriranno per realizzare il Mondiale del 2022. A dare l’allarme, è stata la Confederazione Internazionale dei Sindacati, che in un rapporto diffuso qualche giorno fa ha stilato un resoconto sulle condizioni di vita e di lavoro di un milione e 400 mila immigrati in Qatar, perlopiù impiegati nei cantieri della futura Coppa del Mondo. Basandosi sui dati diffusi nei mesi scorsi da alcune ambasciate presenti nell’emirato, la Confederazione è riuscita a elaborare un tasso di mortalità.
Al di là delle previsioni, le cifre attuali sono preoccupanti: da quando il Qatar si è visto assegnare il Mondiale 2022 nel 2010, 400 cittadini nepalesi sono morti nei cantieri dei nuovi stadi. Le cifre si alzano parecchio tra i lavoratori indiani, con una media di decessi di circa 220 persone l’anno a partire dal 2011. Secondo i dati diffusi da Kathmandu, la prima causa di morte è l’arresto cardiaco, seguito da incidenti stradali e incidenti sul lavoro. Condizioni disumane come la privazione del cibo e dell’acqua – una condanna a morte nelle torride estati del Golfo – sarebbero all’origine dei decessi “innaturali” di giovani uomini tra i 20 e i 30 anni.
Nel rapporto diffuso dalla Confederazione si scorrono via via le testimonianze non solo dei lavoratori, ma anche di alcuni datori di lavoro: “Sono andato al cantiere questa mattina alle 5 – racconta un manager – e c’era sangue dappertutto. Non so cosa sia successo, ma nessun rapporto era stato stilato sull’accaduto. Quando l’ho segnalato, mi è stato detto che se non avessi smesso di lamentarmi sarei stato licenziato”.
Il Qatar, pressato ormai da mesi dalle organizzazioni umanitarie e dalle unioni sindacali, sembra fare orecchie da mercante. Dopo le prime denunce e le minacce sul fatto che se non avesse migliorato gli standard lavorativi avrebbe perso il suo diritto a ospitare il Mondiale, Doha aveva adottato due carte, che avrebbero dovuto garantire ai migranti un miglioramento delle condizioni di lavoro e la concessione di diritti umani fondamentali. Entrambe sono prive di valore, in quanto non c’è nessun organo indipendente che controlli l’implementazione delle decisioni – redatte dagli appaltatori – riguardo ai salari, orari e condizioni di lavoro.
Secondo la Confederazione, infatti, nulla potrà cambiare fino a quando resterà in piedi la Kafalah, il sistema di sponsorizzazione esistente nel Golfo che permette al lavoratore immigrato di ottenere un visto di lavoro solo a contratto firmato, e che lega la sua permanenza nel Paese al padrone di cui diventa un vero e proprio schiavo. Stipendi non versati, condizioni di lavoro irregolari e abusi non costituiscono, per le leggi dei paesi del Golfo, una valida ragione per sciogliere il contratto di lavoro da parte del migrante. Solo il padrone può farlo: e spesso, a questo punto, il lavoratore immigrato viene rimpatriato.
Eppure Doha insiste nel voler dribblare le accuse di violazioni dei diritti umani e punta costantemente all’efficienza del suo sistema di costruzioni. “C’è un concetto sbagliato sulla questione dell’occupazione in Qatar – ha dichiarato il ministro degli Esteri Khalid bin Mohammad al-Attiyah in una conferenza stampa con il suo omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier – e il legame tra la questione dell’occupazione e la Coppa del Mondo 2022 è evidente. Stiamo seguendo una strategia nazionale (Qatar National Vision 2030) e le infrastrutture per gli impianti sportivi in Qatar per la Coppa del Mondo 2022 sono quasi complete”. Immancabile, come da copione, la promessa di impegnarsi del miglioramento degli standard lavorativi nel Paese messi in luce dai media internazionali: “Il Qatar sta davvero optando per lo sviluppo e per il miglioramento del tenore di vita della forza lavoro, e questo è richiesto dalla nostra Costituzione”, senza dimenticare la benevolenza di un Paese che “aiuta molto anche le economie dei Paesi che partecipano al suo sviluppo e gli forniscono manodopera”.
I migranti e il loro paesi di provenienza, quindi, dovrebbero ringraziare il Qatar per gli stipendi e le rimesse che garantisce loro. E non solo: l’emirato è talmente generoso da pagare i migranti per andare allo stadio a vedere le partite di calcio. La notizia è stata diffusa due settimane fa da France 24: alcuni uomini andrebbero regolarmente negli alloggi dei migranti per reclutarli, consegnando loro il corrispettivo di 5 euro e un biglietto per una delle partite del campionato locale. Il motivo? Gli stadi sarebbero vuoti. Secondo un sondaggio effettuato lo scorso novembre, i qatarioti sono riluttanti ad andare alle partite per via del caldo, del traffico e per la mancanza di tempo libero. Ma, soprattutto, perché gli spalti sono pieni di immigrati pagati.
NenaNews - Quattromila lavoratori immigrati moriranno per realizzare il Mondiale del 2022. A dare l’allarme, è stata la Confederazione Internazionale dei Sindacati, che in un rapporto diffuso qualche giorno fa ha stilato un resoconto sulle condizioni di vita e di lavoro di un milione e 400 mila immigrati in Qatar, perlopiù impiegati nei cantieri della futura Coppa del Mondo. Basandosi sui dati diffusi nei mesi scorsi da alcune ambasciate presenti nell’emirato, la Confederazione è riuscita a elaborare un tasso di mortalità.
Al di là delle previsioni, le cifre attuali sono preoccupanti: da quando il Qatar si è visto assegnare il Mondiale 2022 nel 2010, 400 cittadini nepalesi sono morti nei cantieri dei nuovi stadi. Le cifre si alzano parecchio tra i lavoratori indiani, con una media di decessi di circa 220 persone l’anno a partire dal 2011. Secondo i dati diffusi da Kathmandu, la prima causa di morte è l’arresto cardiaco, seguito da incidenti stradali e incidenti sul lavoro. Condizioni disumane come la privazione del cibo e dell’acqua – una condanna a morte nelle torride estati del Golfo – sarebbero all’origine dei decessi “innaturali” di giovani uomini tra i 20 e i 30 anni.
Nel rapporto diffuso dalla Confederazione si scorrono via via le testimonianze non solo dei lavoratori, ma anche di alcuni datori di lavoro: “Sono andato al cantiere questa mattina alle 5 – racconta un manager – e c’era sangue dappertutto. Non so cosa sia successo, ma nessun rapporto era stato stilato sull’accaduto. Quando l’ho segnalato, mi è stato detto che se non avessi smesso di lamentarmi sarei stato licenziato”.
Il Qatar, pressato ormai da mesi dalle organizzazioni umanitarie e dalle unioni sindacali, sembra fare orecchie da mercante. Dopo le prime denunce e le minacce sul fatto che se non avesse migliorato gli standard lavorativi avrebbe perso il suo diritto a ospitare il Mondiale, Doha aveva adottato due carte, che avrebbero dovuto garantire ai migranti un miglioramento delle condizioni di lavoro e la concessione di diritti umani fondamentali. Entrambe sono prive di valore, in quanto non c’è nessun organo indipendente che controlli l’implementazione delle decisioni – redatte dagli appaltatori – riguardo ai salari, orari e condizioni di lavoro.
Secondo la Confederazione, infatti, nulla potrà cambiare fino a quando resterà in piedi la Kafalah, il sistema di sponsorizzazione esistente nel Golfo che permette al lavoratore immigrato di ottenere un visto di lavoro solo a contratto firmato, e che lega la sua permanenza nel Paese al padrone di cui diventa un vero e proprio schiavo. Stipendi non versati, condizioni di lavoro irregolari e abusi non costituiscono, per le leggi dei paesi del Golfo, una valida ragione per sciogliere il contratto di lavoro da parte del migrante. Solo il padrone può farlo: e spesso, a questo punto, il lavoratore immigrato viene rimpatriato.
Eppure Doha insiste nel voler dribblare le accuse di violazioni dei diritti umani e punta costantemente all’efficienza del suo sistema di costruzioni. “C’è un concetto sbagliato sulla questione dell’occupazione in Qatar – ha dichiarato il ministro degli Esteri Khalid bin Mohammad al-Attiyah in una conferenza stampa con il suo omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier – e il legame tra la questione dell’occupazione e la Coppa del Mondo 2022 è evidente. Stiamo seguendo una strategia nazionale (Qatar National Vision 2030) e le infrastrutture per gli impianti sportivi in Qatar per la Coppa del Mondo 2022 sono quasi complete”. Immancabile, come da copione, la promessa di impegnarsi del miglioramento degli standard lavorativi nel Paese messi in luce dai media internazionali: “Il Qatar sta davvero optando per lo sviluppo e per il miglioramento del tenore di vita della forza lavoro, e questo è richiesto dalla nostra Costituzione”, senza dimenticare la benevolenza di un Paese che “aiuta molto anche le economie dei Paesi che partecipano al suo sviluppo e gli forniscono manodopera”.
I migranti e il loro paesi di provenienza, quindi, dovrebbero ringraziare il Qatar per gli stipendi e le rimesse che garantisce loro. E non solo: l’emirato è talmente generoso da pagare i migranti per andare allo stadio a vedere le partite di calcio. La notizia è stata diffusa due settimane fa da France 24: alcuni uomini andrebbero regolarmente negli alloggi dei migranti per reclutarli, consegnando loro il corrispettivo di 5 euro e un biglietto per una delle partite del campionato locale. Il motivo? Gli stadi sarebbero vuoti. Secondo un sondaggio effettuato lo scorso novembre, i qatarioti sono riluttanti ad andare alle partite per via del caldo, del traffico e per la mancanza di tempo libero. Ma, soprattutto, perché gli spalti sono pieni di immigrati pagati.
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