È proseguito anche stamani il lancio di razzi da Gaza verso Israele.
Radio Vaticana - Ieri la Jihad islamica aveva rivendicato le azioni in risposta all'uccisione da parte dello Stato ebraico di tre suoi miliziani. In serata, dopo colpi d’artiglieria, erano scattati i raid aerei israeliani su campi d'addestramento delle Brigate al-Qods - braccio militare della Jihad islamica - e delle Brigate Ezzedine al-Qassam, di Hamas, nel nord e nel sud della Striscia. Al momento non si segnalano ulteriori vittime. Il Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha deplorato "l'escalation della violenza" e ha chiesto "a tutti i protagonisti di agire al massimo per prevenire altri incidenti" . Le immagini di queste ore mostrano da una parte la popolazione del sud di Israele che si affretta a prendere posto nei rifugi, dall’altra la gente di Gaza, già fortemente provata, che cerca di fare scorta di approvvigionamenti nel timore che ormai siano imminenti nuove violenze. Giada Aquilino ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze: ascolta
R. – Si rischia quello che sta accadendo, cioè sta salendo la temperatura in attesa di conoscere il piano proposto dal Segretario di Stato Usa, Kerry, il quale peraltro non è ottimista. Il quadro generale è che la settimana scorsa il Presidente statunitense Obama ha incontrato il primo ministro Netanyahu e tra pochi giorni incontrerà Abu Mazen. Tra l’altro, sappiamo che Abu Mazen rappresenta solo l’Autorità palestinese, non certo Hamas e men che mai la Jihad islamica. Nel frattempo, come vediamo, la temperatura sale sia sul terreno – razzi lanciati su Israele, risposte di Israele, palestinesi uccisi - sia in politica: il Parlamento, la Knesset, ha passato una legge che vuole un referendum su qualunque cambiamento di territorio. Inoltre, si sa che la crescita degli insediamenti nell’ultimo anno è più che raddoppiata. Quindi siamo di fronte a una serie di fattori che stanno acuendo man mano la crisi.
D. – Tali violenze di fatto pesano sugli sforzi diplomatici per un accordo israelo-palestinese: ed il cessate il fuoco del novembre 2012?
R. – Il cessate il fuoco vincola Hamas. La Jihad islamica, con la quale ovviamente c’è un gioco delle parti, non si sente vincolata da tale intesa. Tutto dipende dalle pressioni che la base palestinese - da Gaza alla West Bank - vuole porre sul Presidente Abu Mazen perché non accetti un piano di pace che - si sa da indiscrezioni - potrebbe essere molto più pesante di quanto i palestinesi pensassero. Quindi un acuirsi della tensione ci sarà, ma dipende soprattutto da queste tappe diplomatiche che sono a brevissima scadenza.
D. – Il prossimo passo dunque quale sarà?
R. – Il prossimo passo sarà sentire cosa succede a Washington tra Obama e Abu Mazen; dopodiché i palestinesi sapranno cosa li aspetta.
Radio Vaticana - Ieri la Jihad islamica aveva rivendicato le azioni in risposta all'uccisione da parte dello Stato ebraico di tre suoi miliziani. In serata, dopo colpi d’artiglieria, erano scattati i raid aerei israeliani su campi d'addestramento delle Brigate al-Qods - braccio militare della Jihad islamica - e delle Brigate Ezzedine al-Qassam, di Hamas, nel nord e nel sud della Striscia. Al momento non si segnalano ulteriori vittime. Il Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha deplorato "l'escalation della violenza" e ha chiesto "a tutti i protagonisti di agire al massimo per prevenire altri incidenti" . Le immagini di queste ore mostrano da una parte la popolazione del sud di Israele che si affretta a prendere posto nei rifugi, dall’altra la gente di Gaza, già fortemente provata, che cerca di fare scorta di approvvigionamenti nel timore che ormai siano imminenti nuove violenze. Giada Aquilino ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze: ascolta
R. – Si rischia quello che sta accadendo, cioè sta salendo la temperatura in attesa di conoscere il piano proposto dal Segretario di Stato Usa, Kerry, il quale peraltro non è ottimista. Il quadro generale è che la settimana scorsa il Presidente statunitense Obama ha incontrato il primo ministro Netanyahu e tra pochi giorni incontrerà Abu Mazen. Tra l’altro, sappiamo che Abu Mazen rappresenta solo l’Autorità palestinese, non certo Hamas e men che mai la Jihad islamica. Nel frattempo, come vediamo, la temperatura sale sia sul terreno – razzi lanciati su Israele, risposte di Israele, palestinesi uccisi - sia in politica: il Parlamento, la Knesset, ha passato una legge che vuole un referendum su qualunque cambiamento di territorio. Inoltre, si sa che la crescita degli insediamenti nell’ultimo anno è più che raddoppiata. Quindi siamo di fronte a una serie di fattori che stanno acuendo man mano la crisi.
D. – Tali violenze di fatto pesano sugli sforzi diplomatici per un accordo israelo-palestinese: ed il cessate il fuoco del novembre 2012?
R. – Il cessate il fuoco vincola Hamas. La Jihad islamica, con la quale ovviamente c’è un gioco delle parti, non si sente vincolata da tale intesa. Tutto dipende dalle pressioni che la base palestinese - da Gaza alla West Bank - vuole porre sul Presidente Abu Mazen perché non accetti un piano di pace che - si sa da indiscrezioni - potrebbe essere molto più pesante di quanto i palestinesi pensassero. Quindi un acuirsi della tensione ci sarà, ma dipende soprattutto da queste tappe diplomatiche che sono a brevissima scadenza.
D. – Il prossimo passo dunque quale sarà?
R. – Il prossimo passo sarà sentire cosa succede a Washington tra Obama e Abu Mazen; dopodiché i palestinesi sapranno cosa li aspetta.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.