martedì, marzo 11, 2014
Al quarto anno di scontri non si intravede alcuna soluzione al conflitto civile siriano. Preoccupanti i recenti rapporti di agenzie dell’Onu e di Amnesty International, che sottolineano come le violenze stiano coinvolgendo drammaticamente sempre di più civili, in particolare i minori. Ce ne parla Marina Calculli

Radio Vaticana - L’assedio di Yarmuk, il campo profughi palestinesi alle porte di Damasco, continua. Il campo aveva già fatto parlare di sé qualche settimana fa quando una foto che racchiudeva una fila interminabile di persone in coda per avere una razione di cibo aveva fatto il giro del web. Ora Amnesty International afferma: “Asad usa la fame come strumento di assedio, impedendo l’ingresso di cibo e aiuti umanitari nel campo”. Oltre 200 civili sono morti per mancanza di cibo. Nel frattempo anche ‘Save the Children’ dipinge un quadro fosco della situazione sanitaria. Vestiti vecchi usati come garze, gente che preferisce farsi stordire a colpi di botte in testa prima di un’operazione, perché non esistono più prodotti anestetici. In molti, inoltre, sono morti per trasfusioni di sangue non compatibile e le stesse trasfusioni vengono fatte da persona a paziente per l’assenza di elettricità. Secondo la Syrian American Medical Association, 200.000 persone sono già morte di malattie croniche e per mancanza di accesso ai trattamenti. Su questo sfondo drammatico, Assad ha introdotto ieri una clausola sulla legge che regola le elezioni del presidente della Repubblica prossima: ogni candidato deve aver risieduto in Siria almeno negli ultimi dieci anni per potersi candidare: un modo, neanche troppo sottile, per estromettere molti dissidenti.

Dopo essere rientrate a Damasco le tredici suore ortodosse liberate alcuni giorni fa alla frontiera siro-libanese, hanno ribadito di essere state trattate bene dai loro rapitori. Sollievo per il felice esito della vicenda esprime il nunzio apostolico in Siria, mons. Mario Zenari, intervistato da Francesca Sabatinelli:

R. - È stato un sollievo e una soddisfazione generale, una schiarita in questo periodo così nuvoloso che non lascia ancora intravedere la luce dell’uscita da questo tunnel. È stata una notizia che ci aspettavamo, pregavamo per la liberazione di queste religiose che erano tenute in ostaggio dall’inizio di dicembre. Attualmente, le religiose si trovano a Damasco. Questa sera ci sarà un incontro di preghiera (nella chiesa greco-ortodossa della Santa Croce, Damasco - ndr) per rendere grazie al Signore per questo esito felice.

D. - Al sollievo per la liberazione delle suore si alterna ovviamente il pensiero che va a tutte le altre persone ancora nelle mani dei sequestratori?

R. - Speriamo che questa bella notizia, che ha portato una soddisfazione generale, possa aprire la porta anche per la liberazione dei due vescovi ortodossi - dei quali fra poche settimane ricorrerà un anno da quando sono stati presi in ostaggio - e che possa aprire anche la porta alla liberazione dei tre preti, tra cui Paolo Dall’Oglio, gesuita, e anche dei tanti altri sequestrati, sia siriani che stranieri.

D. - Fanno sperare le dichiarazioni delle suore che hanno sottolineato di essere state sempre trattate con attenzione da parte dei rapitori?

R. - Sì, questo si sapeva. Il caso di queste religiose ortodosse è un po’ diverso dagli altri: già dall’inizio era possibile avere comunicazioni, si sapeva dov’erano, in una casa messa a disposizione da un cristiano: c’era quindi questo collegamento. Naturalmente, c’era sempre un po’ di ansia, aumentata in queste ultime settimane perché quella zona, la cittadina di Yabroud, ultimamente era diventata teatro di aspri combattimenti tra l’esercito siriano e questi gruppi di ribelli. Si temeva per la loro incolumità, ma grazie a Dio ieri è arrivata questa bella notizia e così sono state liberate.


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