martedì, marzo 11, 2014
Un gruppo congiunto di medici ricercatori della Georgetown University, University of Rochester e UC-Irvine hanno sviluppato un particolare test del sangue che riesce a prevedere con un ottimo grado di accuratezza se in futuro potremo soffrire di Alzheimer (video). 

HDblog - Si tratta di una tecnologia ancora in fase sperimentale, gli ideatori parlano infatti di un grado di certezza pari al 90% e riferito ai successivi tre anni, ciò significa che oltre questa soglia non c’è previsione che tenga, ancora. Circa 35 milioni di persone soffrono di questa malattia nel mondo, numero purtroppo destinato a salire verso i 115 milioni a metà del secolo in corso. Si tratta come noto di una demenza degenerativa fatale, con un’aspettativa di vita pari a circa 7 anni dalla comunicazione della diagnosi tramite la constatazione, spesso indiretta, di sintomi riconducibili proprio all’Alzheimer. Non esistono cure che possano curare questa malattia, un fattore dovuto anche al ritardo della diagnosi ed una impossibilità di fermarla quando già in stadio avanzato, per questo il rivoluzionario test elaborato alza le speranze per una predizione in tempi non sospetti e a costi non eccessivi.

Il procedimento prevede il riconoscimeno di un set di dieci composti lipidici derivati dal degrado delle membrane delle cellule nervose, con due di essi particolarmente indicativi di una possibile presenza dell’Alzheimer. Tutto viene fatto attraverso lo studio del solo plasma, nessun intervento invasivo come oggi previsto per qeusto genere di casistiche, attraverso uno spettrometro di massa e altri specifici strumenti, ma l’obiettivo è quello di renderlo possibile in qualsiasi clinica con i trazionali mezzi.

I primi test reali effettuati hanno preso in esame 525 ultrasettantenni senza alcun sintomo dell’Alzheimer, in questo caso la predizione dopo i test del caso si è avverata nel 90 percento dei casi. Servirà molta cautela e studi appropriati su larga scala prima che i risultati possano essere confermati universalmente, questi ricercatori sembrano tuttavia essere sulla buona strada, nonostante ci siano altri studi che indichino invece come i biomarcatori cambino di continuo a seconda dello stadio della malattia.


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