mercoledì, aprile 02, 2014
“Numeri sconvolgenti”, li ha definiti Matteo Renzi, da Londra dove è volato per incontrare Cameron. Ha ragione: “Tanti disoccupati come nel 1977”, scrive il Corriere della Sera. 

di Corradino Mineo 

3milioni e 300mila italiani, il 13 per cento, non trova lavoro. Tra i ragazzi, fra 15 e i 24 anni, la percentuale supera il 42 per cento. “Serve flessibilità”, sono le parole che la Stampa mette in bocca al premier. “Ora flessibilità” titola anche Il Sole24Ore. “Renzi blinda il piano del lavoro”, incalza Repubblica.

Bisogna riconoscere che una tragedia come quella che si addensa sul nostro paese ( i dati di cui parliamo non tengono conto della cassa integrazione in deroga, dei part-time per crisi, delle partite IVA che rinunciano finendo tra i disoccupati), una tale tragedia non si può risolvere sperando semplicemente che la ripresa consenta alle imprese e alla pubblica amministrazione di assumere a tempo indeterminato. Si possono usare tirocinio, apprendistato, contratto stagionale, ma conviene che il governo faccia propria la lezione del Governatore, Visco: “sul lavoro si è manifestata una flessibilità non utile, utilizzata da imprese che non hanno innovato”. Sarebbe sbagliato dare il segnale che si può usare il lavoro e gettarlo via. Aiuterebbe i peggiori. Le imprese competitive, al contrario, sanno quanto serva poter contare sui dipendenti e tenerseli in casa.

Per fortuna qualcosa si muove in Europa. Hollande ha licenziato il premier e nominato Manuel Vals, una sorta di Renzi francese, dinamico, sicuro di sé, più di destra a giudicare dal piglio che ha mostrato, da ministro dell’interno, con gli immigrati. Vals chiederà senza complessi a Bruxelles altre dilazioni sul tetto del 3 per cento nel rapporto deficit/PIL. Attualmente la Francia è al 4,3%. Il ministro Padoan ne approfitta per chiedere una maggiore tolleranza e più tempo per il nostro debito. Insomma i guai di Hollande possono aiutare Renzi e la Germania deve tener conto della lezione Ucraina: forse meglio tenersi stretta l’Europa che c’è.

Sul Senato meglio che vi racconti in prima persona. Alcuni retroscena che troverete sui giornali, come quello proposto da Maria Teresa Meli, che scopre un asse “Civati-Grillo”, fanno solo perdere tempo. Ieri, bella e tesa, Maria Elena Boschi ha spiegato le riforme del Governo in Commissione Affari Costituzionali del Senato. È stata chiara e ha ammesso che non eleggere più i senatori ma portare a Roma consiglieri regionali e sindaci serve per meglio comporre con (traduco “per meglio controllare”) le autonomie locali. Un premier, certo della maggioranza alla Camera, grazie all’Italico, vuol tenersi sotto l’ala, a Roma per qualche giorno al mese, Presidenti di Regione, Sindaci di città metropolitane, amministratori locali.

L’ho ringraziata per la sua onestà, ma ho obiettato che l’obiettivo si può ottenere in modo più corretto eleggendo 100 senatori, nelle Regioni e assieme ai consigli regionali, attribuendo al Senato un ruolo di compensazione con le autonomie ma anche di Garanzia, riservando la doppia lettura alle leggi costituzionali ed elettorali, ai trattati europei e ai provvedimenti che investano diritti fondamentali della persona. Dopo di me il senatore Romani di Forza Italia ha detto che Berlusconi vuole trattare di nuovo per il suo sì, forse decisivo alle riforme. Scrive Repubblica “Il ricatto di Berlusconi. Voglio tutela giudiziaria o faccio saltare tutto”.

Maria Elena è uscita dall’aula prima di noi e, accerchiata dalle telecamere, ha accennato alla possibilità di invertire ancora l’ordine dei lavori: prima la legge elettorale poi la riforma del Senato. Forse un modo per dire a Berlusconi e Alfano: se non ci state andiamo a votare con l’Italico, vinciamo e prendiamo tutto. Posizione debole. Perché l’accordo con Verdini: premio di maggioranza al 37, liste bloccate e soglie di sbarramento contro i piccoli partiti al 4,5, all’8 e al 12 per cento non supererebbe l’esame del Senato. E l’Italico, modificato, dovrebbe tornare alla Camera.

Ecco che la proposta di riforma del Senato, sostenuta da una ventina di senatori Pd, primo firmatario Chiti, può rappresentare una via d’uscita per Renzi, un modo per sbrogliare la matassa. Prevede, questo disegno di legge costituzionale, il dimezzamento, ripeto dimezzamento, del numero dei parlamentari: 315 alla Camera, 106 al Senato. Confida solo alla Camera il voto di fiducia e l’esame del bilancio, chiede una doppia lettura anche del Senato per le leggi che non devono rientrare nella disponibilità di governo e maggioranza: leggi costituzionali ed elettorali, trattati europei e diritti fondamentali della persona. Vedremo se la velocità riformista di Renzi saprà essere anche pragmatica o se prevarrà il bisogno di non dispiacere ad alcuni suoi frettolosi consiglieri.


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