Le organizzazioni nipponiche che si occupano della caccia ai cetacei hanno proposto alla comunità internazionale di cambiare il programma in cambio della ripresa delle attività. E chiedono un'ingiunzione contro il movimento ambientalista Sea Shepherd, che segue le baleniere per boicottarle in mare.
Asianews - I due Istituti giapponesi di ricerca sulle balene che da più di 10 anni cacciano i cetacei per "scopi scientifici" hanno chiesto alla comunità internazionale il permesso di poter riprendere "nel prossimo futuro" il programma. Il Kyodo Senpaku e l'Istituto per la ricerca sui cetacei hanno anche chiesto a un tribunale di Seattle, negli Stati Uniti, di emettere un'ingiunzione restrittiva contro lo Sea Shepherd, movimento ambientalista che segue le baleniere per boicottarne la caccia.
La decisione di proibire la pratica è stata presa lo scorso 31 marzo dai giudici della Corte internazionale di giustizia dell'Aja. Il tribunale internazionale ha sottolineato che il programma "scientifico" con cui il Sol Levante ha continuato a cacciare i giganti del mare "non giustifica il numero di balene uccise". Secondo la Corte, dal 2005 le navi nipponiche avrebbero infatti cacciato circa 3.600 balene all'interno del programma "Jarpa II".
Il governo nipponico ha dichiarato che rispetterà la sentenza, ma ha aggiunto che si riserva la possibilità di riprendere la caccia cambiandone i parametri. E il Kyodo Senpaku, che possiede l'intera flotta di baleniere presenti in Giappone, ha invitato il ministro dell'Agricoltura Yoshimasa Hayashi a permettere la ripresa del programma "il prima possibile" nel Pacifico settentrionale.
La caccia alle balene divide da tempo la comunità internazionale. Nel 1986, il Giappone ha firmato la moratoria internazionale su questa attività ma ha continuato a cacciare balene per "ricerche scientifiche". Norvegia e Islanda, invece, si sono rifiutate di siglare l'accordo e continuano la caccia per motivi commerciali. La moratoria esclude i gruppi indigeni, che possono continuare a nutrirsi di carne di balena, ma fissa dei limiti sugli esemplari che si possono uccidere. Ora Tokyo deve scegliere fra interrompere del tutto la caccia, rivedere il proprio programma scientifico - e quindi abbassare il numero di esemplari uccisi - oppure ritirarsi dalla Commissione internazionale che regola l'attività.
Asianews - I due Istituti giapponesi di ricerca sulle balene che da più di 10 anni cacciano i cetacei per "scopi scientifici" hanno chiesto alla comunità internazionale il permesso di poter riprendere "nel prossimo futuro" il programma. Il Kyodo Senpaku e l'Istituto per la ricerca sui cetacei hanno anche chiesto a un tribunale di Seattle, negli Stati Uniti, di emettere un'ingiunzione restrittiva contro lo Sea Shepherd, movimento ambientalista che segue le baleniere per boicottarne la caccia.
La decisione di proibire la pratica è stata presa lo scorso 31 marzo dai giudici della Corte internazionale di giustizia dell'Aja. Il tribunale internazionale ha sottolineato che il programma "scientifico" con cui il Sol Levante ha continuato a cacciare i giganti del mare "non giustifica il numero di balene uccise". Secondo la Corte, dal 2005 le navi nipponiche avrebbero infatti cacciato circa 3.600 balene all'interno del programma "Jarpa II".
Il governo nipponico ha dichiarato che rispetterà la sentenza, ma ha aggiunto che si riserva la possibilità di riprendere la caccia cambiandone i parametri. E il Kyodo Senpaku, che possiede l'intera flotta di baleniere presenti in Giappone, ha invitato il ministro dell'Agricoltura Yoshimasa Hayashi a permettere la ripresa del programma "il prima possibile" nel Pacifico settentrionale.
La caccia alle balene divide da tempo la comunità internazionale. Nel 1986, il Giappone ha firmato la moratoria internazionale su questa attività ma ha continuato a cacciare balene per "ricerche scientifiche". Norvegia e Islanda, invece, si sono rifiutate di siglare l'accordo e continuano la caccia per motivi commerciali. La moratoria esclude i gruppi indigeni, che possono continuare a nutrirsi di carne di balena, ma fissa dei limiti sugli esemplari che si possono uccidere. Ora Tokyo deve scegliere fra interrompere del tutto la caccia, rivedere il proprio programma scientifico - e quindi abbassare il numero di esemplari uccisi - oppure ritirarsi dalla Commissione internazionale che regola l'attività.
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