martedì, aprile 01, 2014
Nelle acque intorno all’Australia ci sono tra 12.500 e 17.500 pezzi di plastica per Km2

di Umberto Mazzantini

GreenReport - E’ dall’8 marzo che aerei e navi di mezzo mondo sono alla ricerca dei relitti del Malaysia Airlines Flight 370, l’aereo scomparso con tutto l’equipaggio e i passeggeri. Fino ad ora le ricerche sembravano ostacolate dalla mancanza di informazioni su quale rotta avesse seguito l’aereo dopo che era scomparso dai radar e da ogni comunicazione e dal maltempo, ma mentre l’area di ricerca si restringe sta emergendo (è il caso di dirlo) un altro colpevole: la spazzatura.

M. Sanjayan, senior scientist di Conservation International, ha detto alla CNN: «Non è come cercare un ago in un pagliaio, è come cercare un ago in una fabbrica di aghi. Si tratta di un pezzo di detriti i tra i miliardi che galleggiano nel mare».

Come è noto la spazzatura si accumula, si degrada e si sbriciola in enormi spirali oceaniche giganti i “gyre”, ed alla fine formano nell’”occhio” delle correnti oceaniche delle “isole” che in realtà sono una zuppa di detriti galleggianti, fatta soprattutto di plastica. Il più famoso di tutti è il North Pacific Gyre, il “Great Pacific Garbage Patch”, scoperto nel 2003,che raccoglie tutta la spazzatura delle correnti che circolano tra la costa occidentale del Nord America, la Cina e la costa orientale della Russia, rifiuti di ogni genere: bottiglie di plastica, shoppers, attrezzatura da pesca, detriti caduti dai container ed altri relitti.

E’ però l’Indian Ocean Gyre, che accumula l’immondizia scaricata in mare a frustrare gli sforzi di ricerca dei relitti del Boeing 777 malese misteriosamente scomparso e le osservazioni aeree centinaia di miglia al largo della costa orientale dell’Australia non hanno potuto confermare che i molti oggetti visti galleggiare in mare siano davvero relitti dell’aereo, ma hanno confermato un’altra cosa: anche le parti più remote e meno trafficate degli oceani del mondo, quasi buchi bianchi nella carta geografica ed economica del mondo, sono pieni di detriti di origine antropica.

Denise Hardesty, una ricercatrice della Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation, l’agenzia scientifica australiana, ha detto all’Associated Press che nelle acque intorno all’Australia, che nella nostra immaginazione sono limpide e cristalline, ci sono tra 12.500 e 17.500 pezzi di plastica per Km2 ed ha aggiunto quale è la conseguenza di questo pessima gestione di quella che potrebbe essere una risorsa ben più preziosa: «Per un sacco di tipi di materie plastiche ci vogliono 400 o 500 anni per degradarsi del tutto. Si frantumano solo in pezzi più piccoli, si può trovare plastiche piccole come il plancton, ecco come diventa piccola».

Miliardi di persone vivono lungo le coste di tutto il mondo, i rifiuti umani mal raccolti, mal gestiti, mal riciclati e non riutilizzati migrano inevitabilmente negli oceani trasportati dai corsi d’acqua, dal vento o gettati in mare dalle navi. Sanjayan ha riassunto così la cosa nella sua intervista alla CNN: «Il mondo usa l’oceano come la sua toilette e poi aspetta che la toilette lo sfami».

I rifiuti che confondono le ricerche dell’aereo malese sono probabilmente altri: ogni anno circa 100 milioni di container attraversano i mari del mondo a bordo di navi da carico, all’inizio delle ricerche si erano avvistati alcuni elementi di grandi dimensioni che si pensava facessero parte dell’aereo, ma successivamente si è capito che erano probabilmente parti di container persi in mare.

Secondo Greenpeace, circa il 70% della plastica scartata che raggiunge l’oceano finisce nei fondali, danneggiando il loro delicati habitat ed ha pesanti ripercussioni sulla vita marina, dalle meduse ai pesci, dal plancton e alle tartarughe, dalle balene ai delfini.

Una situazione che, se non si metterà davvero mano alla gestione del ciclo di vita delle plastiche, se non le si tratteranno come una materia preziosa e da riutilizzare, potrebbe aggravarsi notevolmente con l’innalzamento dei mari innescato dal global warming, avvicinando ancora di più io rifiuti umani non gestiti al mare.

Dhaka, la capitale del Bangladesh, una delle città in dei più rapida crescita del mondo, è un drammatico esempio di come la produzione di rifiuti abbia un impatto sullo sviluppo, sul degrado ambientale e il cambiamento climatico che supera di gran lunga la capacità della regione di affrontare la cosa in modo efficace e Sanjayan conclude: «Tutto ciò che è rifiuti in Paesi come questo – bassi e soggetti ad inondazioni – si scarica periodicamente nell’oceano». E lo oscura, lo avvelena e confonde la nostra tecnologia che crediamo infallibile.


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