martedì, aprile 08, 2014
La brutta storia neocolonialista della miniera di Kayelekera in Malawi

di Umberto Mazzantini

Greenreport - La multinazionale australiana Paladin Energy deteneva il 100% della miniera di Langer Heinrich Uranium (Lhu), nel deserto del Namib, ma, dopo l’incidente nucleare di Fukushima nel 2011, come altre compagnie uranifere, la Paladin è in grosse difficoltà, visto che diversi Paesi hanno deciso di uscire dal nucleare o di limitarne la produzione e non procedere alla costruzione di nuove centrali.

Così il prezzo dell’ uranio è sceso da circa 75 dollari la libbra a 35 dollari e sta ristagnando a questo livello. Con un prezzo così basso le multinazionali minerarie possono operare solo con grandi perdite.

La Lhu ha avviato la produzione di uranio solo nel 2007 e la miniera dovrebbe rimanere attiva fino al 2023. La miniera si trova a circa 80 km a est di Swakopmund nel teoricamente protetto Namib Naukluft Park, dove invece è in atto un pesantissimo sviluppo industriale.

Nel 2013, l’amministratore delegato di Paladin, John Borshoff, aveva annunciato che Langer Heinrich Uranium era sul mercato per vendere una quota di minoranza e per tranquillizzare i possibili nuovi soci aveva assicurato su Mining Weekly: «Sappiamo quali sono le opzioni che abbiamo a Langer Heinrich. Si tratta di un top performer con una lunga vita mineraria e deve essere considerata per il suo valore strategico».

A gennaio di quest’anno il compratore è spuntato ed ha gli occhi a mandorla: sono i cinesi della statale China Nuclear National Corporation (Cnnc) che hanno acquisito il 25% della Lhu sborsando 190 milioni di dollari. La Cnnc è stata fondata nel 1988 dal governo cinese, ma si comporta come una multinazionale che supervisiona però tutti gli aspetti dei programmi nucleari, civili e militari, della Cina. La Cnnc sembra l’operatore più interessato ad acquisire ossido di uranio, il cosiddetto yellow cake ed è rapidamente diventato uno degli operatori più importanti del mondo sul mercato internazionale dell’uranio, per rifornire i 9 reattori nucleari che gestisce in Cina.

Quello della Lhu non è il primo investimento cinese nelle miniere di uranio della Namibia. Nel 2012, la China General Nuclear, acquisendo la Extract Resources. ha ottenuto la maggioranza delle quote della miniera di uranio Husab.

Ma i guai di Paladin Energy in Africa non sono finiti, la compagnia possiede anche la miniera di uranio di Kayelekera, a Karonga, in Malawi, chiusa a febbraio sempre a causa del basso prezzo dell’uranio che ha portato a perdite economiche costanti La produzione di uranio a Kayelekera era iniziata nel 2009, ma la Paladin dice che, con i prezzi attuali dell’uranio ci rimetterebbe 20 – 25 milioni all’anno per i prossimi due anni. Il problema è che risparmiare le operazioni di sfruttamento a cielo aperto sono continuate senza precauzioni e senza manutenzione dei macchinari ed ora popolazione, sindacati e lo stesso governo del Malawi temono che la Paladin abbandoni tutto e se ne vada, lasciando un disastro ambientale e radioattivo.

La Paladin dà rassicurazioni sull’entrata in funzione di alcuni impianti di bonifica, ma aggiunge anche che preferisce dedicarsi alla miniera namibiana dove è arrivato il soccorso rosso dei cinesi, mente la miniera del Malawi non verrà rimessa in produzione «Fino a quando i prezzi dell’uranio non raggiungeranno almeno 75 dollari per libbra». Sotto questo livello lo sfruttamento dell’uranio africano di Kayelekera ed Lhu no è sostenibile.

Quella di Kayelekera è davvero una brutta storia neocoloniale: la miniera è gestita dalla Paladin Africa Limited, una controllata della Paladin, nella quale il governo del Malawi detiene una partecipazione del 15%. Proprio il governo accusa la Paladin di violare le leggi del Malawi che stabilisce che un titolare di una licenza mineraria non possa sospendere l’estrazione mineraria, senza dare un preavviso di 6 mesi di al Mining Commissioner. Greg Walker. Invece il country manager della Paladin per il Malawi ha semplicemente incontrato il Presidente della Repubblica del Malawi il 5 febbraio per comunicargli che 2 giorni dopo avrebbe chiuso la miniera ed il Principal Secretary, Leonard Kalindekafe, Leonard Kalindekafe confessato che il governo del Malawi è venuto a conoscenza della chiusura di Kayelekera solo il 7 febbraio, ed ora dice che «Ciò che ha fatto la Paladin è illegale. La legge non è stata rispettata e stiamo lavorando con diversi avvocati per perseguirla su questi temi». Alla fine il governo del Malawi ha istituito una team per indagare sulla chiusura di una miniera sul suo territorio e della quale è azionista.

Intanto sono a rischio i posti di lavoro di 294 cittadini e di 71 immigrati, la Paladin dice che manterrà 194 locali e 27 immigrati, ma i lavoratori dicono di essere stati licenziati in molti, mentre gli immigrati lavorerebbero alla manutenzione della miniera a stipendio ridotto, come il 40% del personale rimasto, per il quale si prevede il licenziamento della maggior parte entro la fine del mese.

La Paladin ha ulteriormente mentito dicendo che ai dipendenti licenziati è stato pagato l’equivalente dello stipendio di 10 mesi, ma i lavoratori licenziati dicono di aver ricevuto liquidazioni che vanno da 3 a massimo 7 mesi di stipendio. Come se non bastasse la Paladin ha tolto qualsiasi garanzia per i lavoratori nelle banche dove avevano assunto prestiti e mutui, cosa che ha lasciato molti operai nella miseria più nera.

Intanto, mentre il governo accusa la Paladin di non rispettare i patti invia la polizia ad intimidire i minatori che protestano per la stessa cosa.

Le associazioni ambientaliste ed i sindacati dicono che la Paladin non sta attuando i programmi di controllo dell’inquinamento e delle radiazioni nella miniera e temono le conseguenze della chiusura della miniera perché il governo non è in grado di monitorare o controllare l’inquinamento radioattivo. Inoltre il lagunaggio per lo stoccaggio degli sterili è pieno e presto potrebbe cominciare a tracimare l’acqua fortemente inquinata che contiene. E’ vero che la Paladin ha dato al governo del Malawi una fidejussione di 20 milioni di dollari ma le opere necessarie per la bonifica dell’area costerebbero almeno 100 milioni di dollari, una cifra spaventosa per il poverissimo Malawi e che potrebbe diventare insostenibile se le scorie uranifere inquinassero i torrenti ed i fiumi intorno alla miniera e che finiscono nel Lago Malawi.

Un disastro uranifero/nucleare che, come succede sempre più spesso, potrebbe trasformarsi in una catastrofe ambientale e sociale.


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