domenica, aprile 27, 2014
A Ramallah seduta della leadership dell’Olp chiamata a fare il punto sull’accordo con Hamas. Abu Mazen parlerà domani.

NenaNews - Oggi a Ramallah si riuniscono i vertici dell’Olp per discutere dell’accordo di riconciliazione tra Fatah e Hamas. Il presidente Abu Mazen prenderà la parola domani. Prevista la partecipazione anche di osservatori del movimento islamico. I leader di Fatah assicurano che il nuovo governo di consenso nazionale riconoscerà la soluzione dei “2 Stati”, Israele e Palestina ma un alto dirigente di Hamas, Hassan Yusef, esclude che la sua organizzazione possa accettarlo.

Jibril Rajub prova a lanciare segnali concilianti, invita alla calma. Il futuro governo di consenso nazionale palestinese che uscirà dall’accordo Fatah-Hamas siglato mercoledì a Gaza, ha spiegato ieri il dirigente di Fatah ed ex capo dell’intelligence palestinese, si riconoscerà nella linea del presidente Abu Mazen. Ossia darà continuità al negoziato con Israele. Non solo, poche ore fa i vertici di Ramallah hanno fatto sapere che la riconciliazione con Hamas andrà a compimento solo se il nuovo governo ribadirà il riconoscimento di Israele e della soluzione di “due Stati”.

Parole che vanno oltre la ripetizione della posizione dell’Anp. Dopo le minacce israeliane di sanzioni contro i palestinesi – ieri il governo Netanyahu ha deciso di sospendere le trattative con l’Anp - e gli avvertimenti al limite del ricatto economico giunti dall’Amministrazione Obama, dietro le quinte forse stanno maturando intese non scritte. Si sussurra che in cambio di un atteggiamento più morbido di Israele e Usa nei confronti di un esecutivo Fatah-Hamas (ancora da concretizzare), l’Anp potrebbe accettare il proseguimento delle trattative bilaterali con Israele senza porre condizioni.

Pare che Abu Mazen si sia convinto che la riunificazione politica tra Fatah e Hamas, tra Cisgiordania e Striscia di Gaza, dopo sette anni di scontri e scambi di accuse, sia un risultato irrinunciabile, più importante del blocco completo dell’espansione delle colonie ebraiche in Cisgiordania, la condizione avanzata per andare avanti con i colloqui. Non sono passate inosservate peraltro le dichiarazioni della portavoce del “ministro degli esteri” dell’Unione europea Catherine Ashton che sottolineano che per Bruxelles la riconciliazione palestinese è positiva ma la priorità rimane il proseguimento del negoziato. Anche le parole della storica portavoce palestinese, Hanan Ashrawi, indicano che qualcosa bolle in pentola. «Governo di unità nazionale e negoziati non sono in antitesi: anzi, la nostra posizione sarebbe rafforzata perchè ci presenteremmo al tavolo delle trattative come un blocco unico e compatto», ha detto la Ashrawi.

In attesa di conoscere tutte le sanzioni israeliane, gli Stati Uniti si sono affrettati a minacciare il taglio dell’assistenza economica alla Palestina. «Se un nuovo governo palestinese sarà formato, valuteremo in base alla sua adesione alle disposizioni note le sue politiche, le sue azioni e determineranno ogni implicazione per la nostra assistenza», ha detto un funzionario Usa a varie agenzie di stampa, facendo riferimento alle condizioni poste negli anni passati dal Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Russia, Onu, Ue): riconoscimento di Israele, fine della lotta armata, accettazione degli accordi raggiunti in passato. «Siamo stati chiari circa i principi che devono guidare un governo palestinese in modo che possa svolgere un ruolo costruttivo nel raggiungimento della pace e la costruzione di uno Stato palestinese indipendente», ha insistito il funzionario americano.

In Israele ieri si è riunito il gabinetto di sicurezza per decidere la ritorsione alla riconciliazione Fatah-Hamas. Ieri sera non erano ancora note tutte le decisioni ma difficilmente Netanyahu deciderà l’interruzione permanente dei colloqui con i palestinesi. Piuttosto opterà per una sospensione. L’esecutivo israeliano non vuole passare come la parte che ha bloccato le trattative, piuttosto intende addossare ad Abu Mazen la responsabilità del fallimento del negoziato e sottrarsi all’accusa di aver avvelenato per nove mesi il clima delle trattative con continui annunci di progetti di espansione delle colonie ebraiche nei Territori occupati e, a fine marzo, con la decisione di Netanyahu di non far scarcerare l’ultimo gruppo di prigionieri politici che si era impegnato a liberare lo scorso luglio, all’avvio del negoziato mediato dal Segretario di stato John Kerry.

Contro Abu Mazen ieri è partita una nuova raffica di accuse israeliane. A prendere di mira il presidente palestinese è stato il ministro degli esteri Avigdor Lieberman. Mentre Hamas praticherebbe verso Israele un terrorismo classico, Abu Mazen ricorre a un terrorismo politico: ha tuonato Lieberman. «Abu Mazen – ha aggiunto – conduce verso Israele una politica di non pace e non guerra», ha poi aggiunto il ministro, che ha anche accusato il presidente dell’Anp di essere sfuggente pur di non prendere impegni.


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