lunedì, aprile 21, 2014
La Pasqua nelle Filippine, primo Paese cattolico d’Asia, quest’anno assume un significato particolare, dopo il devastante passaggio nel novembre scorso del tifone Haiyan.

Radio Vaticana - Più di 6 mila i morti, 30 mila i feriti e un migliaio i dispersi, oltre a danni incalcolabili soprattutto nella regione di Visayas. A sud di tale zona, c'è la grande isola di Mindanao, dov’è stato da poco siglato un accordo tra ribelli del Fronte islamico di liberazione Moro e governo filippino, per porre fine a 40 anni di guerriglia separatista. Sull’isola di Mindanao si trova padre Sebastiano D’Ambra, missionario del Pime da 35 anni nelle Filippine e fondatore del movimento per il dialogo interreligioso ‘Silsilah’. A lui Giada Aquilino ha chiesto il significato di questa Pasqua: ascolta

R. - Oggi nelle Filippine è una Pasqua di gioia, anche se purtroppo le calamità dei mesi scorsi sono state terribili. La gente ancora soffre. Durante il Venerdì Santo, in particolare qui a Zamboanga la gente per le strade ha pensato anche alla guerra che c’è stata da queste parti. Quindi: le sofferenze di Gesù sono unite a quelle della gente.

D. - Questa è anche la prima Pasqua dopo il tifone Haiyan, che ha messo in ginocchio il Paese. Il Papa ha pregato ed ha inviato aiuti per le popolazioni colpite. Qual è la situazione nelle zone interessate?

R. - La gente lentamente riprende la quotidianità. Purtroppo si tratta di calamità che vanno oltre ogni previsione e, per questo, c’è tanto da fare.

D. - Tra l’altro il Venerdì Santo a Manila c’è stata una Via Crucis per invocare sicurezza e protezione dalle calamità naturali…

R. – Sì ed è il tema che è stato mantenuto non soltanto a Manila ma in tutte le Filippine, perché nell’aria si respirano ancora questi disastri. Per il Venerdì Santo c’è la tradizione delle sette palabras, le sette parole dei Signore: molti hanno appunto messo in evidenza la sofferenza della gente e quella di Gesù.

D. – E’ successo anche lì a Mindanao?

R. - Certamente. A Mindanao, e specialmente qui dove mi trovo, a Zamboanga, c’è stata una guerra con tanti morti, centinaia di migliaia di sfollati. Ancora oggi vado ad assistere queste persone. Qui da noi poi la realtà è più differenziata, perché la popolazione è musulmana e cristiana: i musulmani non conoscono la Pasqua, sanno che è Pasqua perché i cristiani la celebrano. Quindi sta a noi cristiani proiettare la speranza del Cristo Risorto, che è Cristo dell’amore, Dio che ama tutti.

D. - A proposito di Mindanao, a marzo scorso c’è stato lo storico accordo di pace tra il governo filippino e il Fronte islamico di Liberazione Moro. Cosa ha portato?

R. - Un segno di speranza, però la strada è lunga, perché ci sono difficoltà a rispettarlo tra i vari gruppi islamici. Il governo comunque sta facendo di tutto perché questo accordo venga portato avanti dalle parti.

D. - Lei si occupa di dialogo interreligioso. Che impegno è nelle Filippine?

R. - È un impegno che porto avanti da 30 anni. Infatti, fra due settimane celebriamo il trentesimo del movimento ‘Silsilah’, per dire ancora una volta che il dialogo deve essere fondato davvero sull’amore di Dio e del prossimo.

D. - A Pasqua Papa Francesco chiede di accogliere la grazia della Misericordia di Dio. Quale auspicio per le Filippine?

R. - L’auspicio è quello che si superino davvero i conflitti e che ci si guardi l’un l’altro come fratelli e sorelle. Infatti inizieremo in questo periodo la costruzione di una nuova cappella. La croce sarà composta da due pezzi di legno raccolti nella zona dove c’è stata la guerra. Farò mettere questa frase: ”Father forgive”, “Signore perdona”.


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