Questi vortici di spazzatura stanno creando anche una sorta di nuovo habitat per i microbi: la Plastisfera.
Greenreport - Uno dei fenomeni più eclatanti degli effetti del consumismo, della cattiva gestione del ciclo integrato dei rifiuti e del pessimo riutilizzo delle risorse naturali tramite riciclo è senza dubbio l’insieme delle isole di plastica che galleggiano nella parte orientale del nord e del sud Pacifico. Per approfondire oltre la superficialità dello scandalo di questi vortici di rifiuti, Environmental Science & Technology Journal ha appena pubblicato lo studio “Distribution of Surface Plastic Debris in the Eastern Pacific Ocean from an 11-Year Data Set”, dal quale sono emersi – è il caso di dirlo – numeri inquietanti.
I ricercatori della Sea Education – Woods Hole Oceanographic Institution e della School of Oceanography dell’Università di Washington – Seattle hanno analizzato i dati che emergono da 2.500 crociere scientifiche, realizzate tra il 2001 e il 2012, che hanno utilizzato reti a traino per catturare il plancton. «Da questi dati – spiegano – abbiamo definito una zona di accumulo (25-41° N, 130 – 180° W, la North Pacific subtropical gyre, che corrisponde esattamente ai centri di accumulazione derivanti dalla convergenza di correnti superficiali oceaniche previsti da diversi modelli numerici oceanografici. Le singole concentrazioni massime di plastica in superficie hanno superato quota 1 milione di pezzi per kmq , con concentrazioni decrescenti con l’aumentare della distanza dal centro di accumulo previsto. Al di fuori del North Pacific subtropical gyre la concentrazione media di plastica mediana è stata di 0 pezzi kmq».
I ricercatori dicono di non essere stati in grado di rilevare però nel data set un robusto trend temporale, «forse a causa della maledetta variabilità spaziale e temporale. La grande variabilità spazio-temporale della concentrazione di plastica comporta differenze negli ordini di grandezza delle statistiche riassuntive calcolate su periodi di tempo brevi o in aree geografiche limitate».
Nonostante questo, grazie anche al lavoro di 1.700 studenti coinvolti nel progetto, utilizzando tutti i dati delle reti da plancton disponibili per i raccolti nel Pacifico orientale (17.4° S 61.0° N; 85,0-180,0° W) dal 1999, il team statunitense stima che in quell’area di oceano ci sia un’isola di microplastica galleggiante che pesa come minimo 21.290 tonnellate. Al Sea Education spiegano che è quanto il peso di 132 Boeing 747 o di 120 balenottere azzurre (Balaenoptera musculus), il più grande animale conosciuto. Nonostante l’incertezza, si tratta comunque della valutazione più completa e accurata fatta fino ad oggi sull’inquinamento da plastica nell’Oceano Pacifico.
Kara Lavender Law, di Sea Education Association, evidenzia che «nel corso degli ultimi 50 anni, gli esseri umani hanno cambiato radicalmente l’oceano con l’aggiunta di questo materiale artificiale di lunga durata. Tutto – dalle balenottere azzurre agli organismi piccoli come i microbi – ne è interessato, ma ancora non comprendiamo appieno le conseguenze di questo inquinamento». Di questa che è stata ribattezzata “Plastisfera” (Plastisphere) si occupa anche un altro studio – Life in the “Plastisphere”: Microbial Communities on Plastic Marine Debris – pubblicato sempre da Environmental Science & Technology Journal e che è stato nominato “First Runner Up: Best Environmental Science Papers of 2013″ tra gli oltre 1.730 studi pubblicati dal giornale scientifico nel 2013.
«La Plastisphere - spiega il team della Woods Hole Oceanographic Institution che ha condotto lo studio – è la flottiglia delle comunità microbiche collegata ai detriti di plastica in mare». Amaral Zettler , Erik Zettler e Tracy Mincer hanno raccolto campioni (la maggior parte dei quali plastica della dimensione di un millimetro) nel Nord Atlantico, e hanno analizzato i loro passeggeri microbici. «La Plastisphere – dicono - solleva una serie di domande. Come cambiano le condizioni ambientali di microbi marini e la loro competizione per la sopravvivenza? Come cambia l’ecosistema marino e come il fenomeno incide sugli organismi più grandi? Cosa cambia se i microbi, patogeni compresi, vengono trasportati nel mare? Dato che le plastiche sono così longeve, possono svolgere un ruolo significativo nella distribuzione dei batteri nel mare».
Greenreport - Uno dei fenomeni più eclatanti degli effetti del consumismo, della cattiva gestione del ciclo integrato dei rifiuti e del pessimo riutilizzo delle risorse naturali tramite riciclo è senza dubbio l’insieme delle isole di plastica che galleggiano nella parte orientale del nord e del sud Pacifico. Per approfondire oltre la superficialità dello scandalo di questi vortici di rifiuti, Environmental Science & Technology Journal ha appena pubblicato lo studio “Distribution of Surface Plastic Debris in the Eastern Pacific Ocean from an 11-Year Data Set”, dal quale sono emersi – è il caso di dirlo – numeri inquietanti.
I ricercatori della Sea Education – Woods Hole Oceanographic Institution e della School of Oceanography dell’Università di Washington – Seattle hanno analizzato i dati che emergono da 2.500 crociere scientifiche, realizzate tra il 2001 e il 2012, che hanno utilizzato reti a traino per catturare il plancton. «Da questi dati – spiegano – abbiamo definito una zona di accumulo (25-41° N, 130 – 180° W, la North Pacific subtropical gyre, che corrisponde esattamente ai centri di accumulazione derivanti dalla convergenza di correnti superficiali oceaniche previsti da diversi modelli numerici oceanografici. Le singole concentrazioni massime di plastica in superficie hanno superato quota 1 milione di pezzi per kmq , con concentrazioni decrescenti con l’aumentare della distanza dal centro di accumulo previsto. Al di fuori del North Pacific subtropical gyre la concentrazione media di plastica mediana è stata di 0 pezzi kmq».
I ricercatori dicono di non essere stati in grado di rilevare però nel data set un robusto trend temporale, «forse a causa della maledetta variabilità spaziale e temporale. La grande variabilità spazio-temporale della concentrazione di plastica comporta differenze negli ordini di grandezza delle statistiche riassuntive calcolate su periodi di tempo brevi o in aree geografiche limitate».
Nonostante questo, grazie anche al lavoro di 1.700 studenti coinvolti nel progetto, utilizzando tutti i dati delle reti da plancton disponibili per i raccolti nel Pacifico orientale (17.4° S 61.0° N; 85,0-180,0° W) dal 1999, il team statunitense stima che in quell’area di oceano ci sia un’isola di microplastica galleggiante che pesa come minimo 21.290 tonnellate. Al Sea Education spiegano che è quanto il peso di 132 Boeing 747 o di 120 balenottere azzurre (Balaenoptera musculus), il più grande animale conosciuto. Nonostante l’incertezza, si tratta comunque della valutazione più completa e accurata fatta fino ad oggi sull’inquinamento da plastica nell’Oceano Pacifico.
Kara Lavender Law, di Sea Education Association, evidenzia che «nel corso degli ultimi 50 anni, gli esseri umani hanno cambiato radicalmente l’oceano con l’aggiunta di questo materiale artificiale di lunga durata. Tutto – dalle balenottere azzurre agli organismi piccoli come i microbi – ne è interessato, ma ancora non comprendiamo appieno le conseguenze di questo inquinamento». Di questa che è stata ribattezzata “Plastisfera” (Plastisphere) si occupa anche un altro studio – Life in the “Plastisphere”: Microbial Communities on Plastic Marine Debris – pubblicato sempre da Environmental Science & Technology Journal e che è stato nominato “First Runner Up: Best Environmental Science Papers of 2013″ tra gli oltre 1.730 studi pubblicati dal giornale scientifico nel 2013.
«La Plastisphere - spiega il team della Woods Hole Oceanographic Institution che ha condotto lo studio – è la flottiglia delle comunità microbiche collegata ai detriti di plastica in mare». Amaral Zettler , Erik Zettler e Tracy Mincer hanno raccolto campioni (la maggior parte dei quali plastica della dimensione di un millimetro) nel Nord Atlantico, e hanno analizzato i loro passeggeri microbici. «La Plastisphere – dicono - solleva una serie di domande. Come cambiano le condizioni ambientali di microbi marini e la loro competizione per la sopravvivenza? Come cambia l’ecosistema marino e come il fenomeno incide sugli organismi più grandi? Cosa cambia se i microbi, patogeni compresi, vengono trasportati nel mare? Dato che le plastiche sono così longeve, possono svolgere un ruolo significativo nella distribuzione dei batteri nel mare».
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