“Festa
della fede” in Vaticano - Papa Francesco ha canonizzato Giovanni
XXIII e Giovanni Paolo II
di Paolo Fucili
La sintesi migliore, per efficacia e brevità, è farina del sacco di Francesco, che raramente del resto si dilunga in vani giri di parole: è stata né più né meno una “festa della fede”, come Bergoglio l’ha definita concludendo la solenne liturgia di stamane con Regina coeli e benedizione. I venerati suoi predecessori Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II da oggi son “santi” a tutti gli effetti, per la Chiesa universale. Perché “sono stati due uomini coraggiosi”, li ha lodati Bergoglio, “pieni della parresia dello Spirito Santo” (essere liberi di parlare secondo verità), e “hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia”.
Festa soprattutto per la sterminata folla (800.000 circa, a conti fatti) gratificata pure del lungo e improvvisato giro in papamobile compiuto da sua Santità prima di rientrare a santa Marta; così ha salutato da vicino anche chi si è accontentato di guardare i maxischermi installati su via della Conciliazione fino a Castel Sant’Angelo, nello spiazzo adiacente il Tevere intitolato guardacaso al neo-santo Giovanni XXIII. E non è poco, per chi magari è venuto oggi a Roma da molto lontano e non tornerà presto, oppure mai più. Passate poi le 14, appena due ore dopo la canonizzazione, le porte di san Pietro erano aperte di nuovo per dare modo di venerare le tombe di Roncalli e Wojtyla, col “beatus” delle rispettive epigrafi già rimpiazzato a tempo di record dal “sanctus”. Del resto “non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa”, aveva ammonito Franceso poco prima.
Ma la serena gioia di oggi aleggiava in realtà da giorni nell'aria, tra Vaticano e dintorni invasi di pellegrini fin da Pasqua (grazie pure al ponte col festivo del 25), mentre gli articolati preparativi (allestimento della piazza, sicurezza, mobilità, copertura mediatica dell'evento...) entravano via via nel vivo e con essi le attese di miliardi di uomini che da subito, all'indomani della morte, han visto in Roncalli e Wojtyla due straordinari esempi di santità da proclamar quanto prima (“santo subito”!).
Ecco senza ombra di dubbio i pontefici dell'età moderna più cari alla devozione del popolo. Non è questione di chissà quali indagini storiche o teologiche: pensiamo, come banale ma eloquente criterio, in quanti e quali luoghi la gente ne tiene e ne venera immagini di varia foggia, per invocare in ogni situazione della vita la protezione di loro che sono pure i più gettonati nomi del vario e fiorente merchandising di souvenir religiosi all'ombra del cupolone.
Il compito, detto in soldoni, pareva insomma non proprio dei più semplici, tirare con un'omelia le somme di un simile moto collettivo di sentimenti ed emozioni. Ma se Francesco lo ha diligentemente svolto più che bene, cogliendo ed evidenziando con sobria precisione i tratti essenziali della santità del Papa “buono” e del Papa “grande”, non sarà improbabile attribuirne il “merito” alla sonora eco con cui quella santità incarnata dai due predecessori risuona nel cuore del Papa argentino. Anche il favore popolare di cui egli gode, del resto, è stato vagamente accostato in questi giorni da qualche commentatore a quello che circondò Roncalli e Wojtyla. E il “parallelo” non è, a ben vedere, un dato di poco conto.
Prendiamo la misericordia, lucente filo conduttore che attraversa i tre pontificati. Con la famosa allocuzione “Gaudet Mater Ecclesia” che l'11 ottobre 1962 diede inizio al Concilio Vaticano II, san Giovanni XXIII affermava che la Chiesa, “la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore, [….] esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”. Ripetuto oggi sembra quasi un'ovvietà. Per gli inizi anni '60 invece fu una potente rivoluzione, di cui tutti noi siamo figli. E canonizzare Roncalli significa perciò colmare un cospicuo debito di gratitudine con chi a quella rivoluzione diede il via.
Poi fu san Giovanni Paolo II che istituì l'odierna ricorrenza liturgica della Divina Misericordia, quando nel 2000 proclamò santa la mistica polacca suor Faustina Kowalska, cui si deve per grazia divina la nascita di questa devozione. Il giovane studente Wojtyla faceva devotamente tappa ogni giorno al convento di Lagiewniki dove suor Faustina visse, sulla strada del quotidiano e duro lavoro in fabbrica nella Polonia occupata dai nazisti, mentre la guerra dilaniava il mondo intero. E anche da lì proviene quache seme del grande uomo e grande Pontefice che divenne poi.
E così Francesco, che pure con la misericordia ha grande dimestichezza, ha potuto commentare oggi che i due predecessori hanno conosciuto sì le tragedie del loro tempo, il XX secolo, “ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio: più forte era la fede in Gesù Cristo redentore dell'uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio”.
Il lento progredire del tempo farà sì verosimilmente che la Chiesa mai più avrà Pontefici spettatori in gioventù delle grandi tragedie del '900: compreso Roncalli, nella cui biografia ebbero un peso dolorosamente enorme l'esperienza di cappellano militare nella prima guerra mondiale e la delicata mediazione di fatto esercitata tra Stati Uniti ed Unione Sovietica ai tempi di una crisi (1962) che rischiò di far precipitare il mondo in un nuovo catastrofico conflitto.
Ma la lezione che Wojtyla e Roncalli così ci hanno dato va gelosamente custodita, esorta oggi Bergoglio: due “contemplativi delle piaghe di Cristo”, due testimoni della misericordia di Dio in cui dimorava “una speranza viva, insieme con una gioia indicibile e gloriosa: la speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi discepoli, e delle quali nulla e nessuno può privarli: la speranza e la gioia pasquali passate attraverso il crogiolo della spoliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all'estremo, fino alla nausea per l'amarezza di quel calice”, recita uno dei più ispirati passaggi dell'omelia.
La loro vita terrena infatti non fu solo gloria, anzi. Pensiamo alla sofferenza fisica del Wojtyla anziano e malato e a ristrettezze, tormenti, privazioni, incomprensioni che son parte pure della biografia (forse meno nota) di Roncalli, il Papa “buono”, lo ha “consacrato” la fama popolare, ma attenzione a non confondere la “bontà” (che comunque è una splendida virtù cristiana) con la “bonarietà” ingenua e sprovveduta che del male non sa farsi carico.
Poi c'è la grande e straordinaria intuizione già accennata del Concilio Vaticano II, un “collaborare” con lo Spirito Santo, spiega ancora Bergoglio, per “ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, che le hanno dato i santi nel corso dei secoli”: una Chiesa “in cui si vive l'essenziale del Vangelo, vale a dire l'amore, la misericordia, in semplicità e fraternità”. Uno, nell'avviare l'impresa, “ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo”, appunto; l'altro, dandole attuazione come programmatico punto di 27 anni di carismatico pontificato, è divenuto “il Papa della famiglia”, proprio come lui stesso diceva che avrebbe voluto essere ricordato. “E mi piace sottolinearlo”, ha concluso oggi il successore pensando ai due prossimi delicati sinodi su problemi e sfide della famiglia nella Chiesa oggi, “un cammino che sicuramente dal cielo lui [Wojtyla, ndr] accompagna e sostiene”.
Proprio una bella e grandiosa “festa della fede”, sì, arricchita dalla presenza discreta ed umile del papa emerito Benedetto XVI sul lato sinistro del sagrato della basilica, accanto ai 150 cardinali e 700 vescovi concelebranti. Di fronte a loro invece, le delegazioni ufficiali di oltre 100 paesi hanno reso concretamente visibile il gioiso coinvolgimento del mondo intero in questo storico evento: un Papa che proclama santi due predecessori così vicini nel tempo, per la statistica, e nello “spirito” delle rispettive personalità. Umili figli di due antiche nazioni cristiane, Italia e Polonia, cresciuti in età, sapienza e fede nel nascondimento in cui Dio ama compiere le sue meraviglie.
“La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d'angolo”, recitava proprio il salmo della messa di oggi; “questo è il giorno che ha fatto il Signore, rallegriamoci in esso ed esultiamo!”. San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II, pregate per noi!
di Paolo Fucili
La sintesi migliore, per efficacia e brevità, è farina del sacco di Francesco, che raramente del resto si dilunga in vani giri di parole: è stata né più né meno una “festa della fede”, come Bergoglio l’ha definita concludendo la solenne liturgia di stamane con Regina coeli e benedizione. I venerati suoi predecessori Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II da oggi son “santi” a tutti gli effetti, per la Chiesa universale. Perché “sono stati due uomini coraggiosi”, li ha lodati Bergoglio, “pieni della parresia dello Spirito Santo” (essere liberi di parlare secondo verità), e “hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia”.
Festa soprattutto per la sterminata folla (800.000 circa, a conti fatti) gratificata pure del lungo e improvvisato giro in papamobile compiuto da sua Santità prima di rientrare a santa Marta; così ha salutato da vicino anche chi si è accontentato di guardare i maxischermi installati su via della Conciliazione fino a Castel Sant’Angelo, nello spiazzo adiacente il Tevere intitolato guardacaso al neo-santo Giovanni XXIII. E non è poco, per chi magari è venuto oggi a Roma da molto lontano e non tornerà presto, oppure mai più. Passate poi le 14, appena due ore dopo la canonizzazione, le porte di san Pietro erano aperte di nuovo per dare modo di venerare le tombe di Roncalli e Wojtyla, col “beatus” delle rispettive epigrafi già rimpiazzato a tempo di record dal “sanctus”. Del resto “non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa”, aveva ammonito Franceso poco prima.
Ma la serena gioia di oggi aleggiava in realtà da giorni nell'aria, tra Vaticano e dintorni invasi di pellegrini fin da Pasqua (grazie pure al ponte col festivo del 25), mentre gli articolati preparativi (allestimento della piazza, sicurezza, mobilità, copertura mediatica dell'evento...) entravano via via nel vivo e con essi le attese di miliardi di uomini che da subito, all'indomani della morte, han visto in Roncalli e Wojtyla due straordinari esempi di santità da proclamar quanto prima (“santo subito”!).
Ecco senza ombra di dubbio i pontefici dell'età moderna più cari alla devozione del popolo. Non è questione di chissà quali indagini storiche o teologiche: pensiamo, come banale ma eloquente criterio, in quanti e quali luoghi la gente ne tiene e ne venera immagini di varia foggia, per invocare in ogni situazione della vita la protezione di loro che sono pure i più gettonati nomi del vario e fiorente merchandising di souvenir religiosi all'ombra del cupolone.
Il compito, detto in soldoni, pareva insomma non proprio dei più semplici, tirare con un'omelia le somme di un simile moto collettivo di sentimenti ed emozioni. Ma se Francesco lo ha diligentemente svolto più che bene, cogliendo ed evidenziando con sobria precisione i tratti essenziali della santità del Papa “buono” e del Papa “grande”, non sarà improbabile attribuirne il “merito” alla sonora eco con cui quella santità incarnata dai due predecessori risuona nel cuore del Papa argentino. Anche il favore popolare di cui egli gode, del resto, è stato vagamente accostato in questi giorni da qualche commentatore a quello che circondò Roncalli e Wojtyla. E il “parallelo” non è, a ben vedere, un dato di poco conto.
Prendiamo la misericordia, lucente filo conduttore che attraversa i tre pontificati. Con la famosa allocuzione “Gaudet Mater Ecclesia” che l'11 ottobre 1962 diede inizio al Concilio Vaticano II, san Giovanni XXIII affermava che la Chiesa, “la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore, [….] esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”. Ripetuto oggi sembra quasi un'ovvietà. Per gli inizi anni '60 invece fu una potente rivoluzione, di cui tutti noi siamo figli. E canonizzare Roncalli significa perciò colmare un cospicuo debito di gratitudine con chi a quella rivoluzione diede il via.
Poi fu san Giovanni Paolo II che istituì l'odierna ricorrenza liturgica della Divina Misericordia, quando nel 2000 proclamò santa la mistica polacca suor Faustina Kowalska, cui si deve per grazia divina la nascita di questa devozione. Il giovane studente Wojtyla faceva devotamente tappa ogni giorno al convento di Lagiewniki dove suor Faustina visse, sulla strada del quotidiano e duro lavoro in fabbrica nella Polonia occupata dai nazisti, mentre la guerra dilaniava il mondo intero. E anche da lì proviene quache seme del grande uomo e grande Pontefice che divenne poi.
E così Francesco, che pure con la misericordia ha grande dimestichezza, ha potuto commentare oggi che i due predecessori hanno conosciuto sì le tragedie del loro tempo, il XX secolo, “ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio: più forte era la fede in Gesù Cristo redentore dell'uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio”.
Il lento progredire del tempo farà sì verosimilmente che la Chiesa mai più avrà Pontefici spettatori in gioventù delle grandi tragedie del '900: compreso Roncalli, nella cui biografia ebbero un peso dolorosamente enorme l'esperienza di cappellano militare nella prima guerra mondiale e la delicata mediazione di fatto esercitata tra Stati Uniti ed Unione Sovietica ai tempi di una crisi (1962) che rischiò di far precipitare il mondo in un nuovo catastrofico conflitto.
Ma la lezione che Wojtyla e Roncalli così ci hanno dato va gelosamente custodita, esorta oggi Bergoglio: due “contemplativi delle piaghe di Cristo”, due testimoni della misericordia di Dio in cui dimorava “una speranza viva, insieme con una gioia indicibile e gloriosa: la speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi discepoli, e delle quali nulla e nessuno può privarli: la speranza e la gioia pasquali passate attraverso il crogiolo della spoliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all'estremo, fino alla nausea per l'amarezza di quel calice”, recita uno dei più ispirati passaggi dell'omelia.
La loro vita terrena infatti non fu solo gloria, anzi. Pensiamo alla sofferenza fisica del Wojtyla anziano e malato e a ristrettezze, tormenti, privazioni, incomprensioni che son parte pure della biografia (forse meno nota) di Roncalli, il Papa “buono”, lo ha “consacrato” la fama popolare, ma attenzione a non confondere la “bontà” (che comunque è una splendida virtù cristiana) con la “bonarietà” ingenua e sprovveduta che del male non sa farsi carico.
Poi c'è la grande e straordinaria intuizione già accennata del Concilio Vaticano II, un “collaborare” con lo Spirito Santo, spiega ancora Bergoglio, per “ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, che le hanno dato i santi nel corso dei secoli”: una Chiesa “in cui si vive l'essenziale del Vangelo, vale a dire l'amore, la misericordia, in semplicità e fraternità”. Uno, nell'avviare l'impresa, “ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo”, appunto; l'altro, dandole attuazione come programmatico punto di 27 anni di carismatico pontificato, è divenuto “il Papa della famiglia”, proprio come lui stesso diceva che avrebbe voluto essere ricordato. “E mi piace sottolinearlo”, ha concluso oggi il successore pensando ai due prossimi delicati sinodi su problemi e sfide della famiglia nella Chiesa oggi, “un cammino che sicuramente dal cielo lui [Wojtyla, ndr] accompagna e sostiene”.
Proprio una bella e grandiosa “festa della fede”, sì, arricchita dalla presenza discreta ed umile del papa emerito Benedetto XVI sul lato sinistro del sagrato della basilica, accanto ai 150 cardinali e 700 vescovi concelebranti. Di fronte a loro invece, le delegazioni ufficiali di oltre 100 paesi hanno reso concretamente visibile il gioiso coinvolgimento del mondo intero in questo storico evento: un Papa che proclama santi due predecessori così vicini nel tempo, per la statistica, e nello “spirito” delle rispettive personalità. Umili figli di due antiche nazioni cristiane, Italia e Polonia, cresciuti in età, sapienza e fede nel nascondimento in cui Dio ama compiere le sue meraviglie.
“La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d'angolo”, recitava proprio il salmo della messa di oggi; “questo è il giorno che ha fatto il Signore, rallegriamoci in esso ed esultiamo!”. San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II, pregate per noi!
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