venerdì, aprile 04, 2014
Oggi il premier ha detto di non voler rispettare la sentenza che lo obbliga a sbloccare il social network: “Che c’entra la libertà? È solo il prodotto di una compagnia commerciale”. 

NenaNews - A pochi giorni dalla vittoria alle elezioni amministrative, il premier turco Erdogan mostra il pugno duro. Stavolta contro la Corte Costituzionale: oggi il primo ministro ha apertamente detto di non voler rispettare la sentenza dell’Alta Corte in merito alla decisione politica di bloccare il social network Twitter.
Pochi giorni prima delle elezioni del 30 marzo, un Erdogan infuriato per i tweet di critica contro il suo governo, le politiche repressive e lo scandalo corruzione, aveva bloccato il noto social network. Una decisione che si era attirata la critiche della comunità internazionale e della stessa magistratura turca. La Corte Costituzionale aveva imposto lo sblocco di Twitter, ritenendola in violazione con l’articolo 26 della Costituzione sulla libertà di espressione, sentenza che oggi Erdogan ignora totalmente.

“Siamo ovviamente vincolati al verdetto dell’Alta Corte, ma non dobbiamo rispettarlo. Io non rispetto questa sentenza”, ha detto il premier durante una conferenza stampa in Azerbaijan. Promessa rispettata: subito dopo la vittoria alle elezioni amministrative, il primo ministro aveva annunciato vendette e punizioni contro rivali politici e critici. A risentirne è la libertà di espressione di un Paese che da anni aspira all’ingresso nell’Unione Europea.

E se Twitter resta bloccato, anche YouTube ha i suoi problemi dopo aver ospitato una serie di video che riportavano un incontro segreto tra il capo dell’intelligence turca, il capo dell’esercito e il ministro degli Esteri, impegnati a pianificare un attacco contro la Siria. Immediata era stata nei giorni scorsi la protesta sia dei gruppi e le associazioni per i diritti umani che di Bruxelles e dalla NATO. Critiche a cui Erdogan aveva risposto senza troppo scomporsi: “Si tratta di compagnie commerciali che vendono un prodotto. Non solo Twitter, anche YouTube e Facebook sono compagnie commerciali. Ognuno è libero di acquistare o meno i loro prodotti. La libertà non c’entra nulla. Mentre una compagnia statunitense viene difesa, i nostri valori morali nazionali vengono ignorati”.

Il pugno di ferro del premier continua a colpire un Paese che ha deciso, dopo undici anni di governo, di premiarlo ancora, seppur con una maggioranza relativa. Chi si attendeva la caduta del “rais” ad un anno da Gezi Park e a pochi mesi dalla Tangentopoli turca, è rimasto deluso.

E mentre Erdogan promette vendetta contro i rivali politici, la Turchia resta divisa: il Paese appare spaccato, incapace di liberarsi del tutto della figura dell’uomo forte Erdogan, criticato e attaccato ma ancora considerato guida legittima. Un Paese diviso a metà che gode di poche prospettive di riconciliazione sotto l’ala di un premier radicale come quello attuale, un combattente in prima linea che non intende concedere alcuna apertura alle opposizioni ma che promette vendette trasversali. Dall’altra parte, le tante voci delle opposizioni, dai nazionalisti agli intellettuali, il cui unico punto di contatto è la battaglia contro il governo, incapaci di rappresentare una reale alternativa in un periodo di sfide economiche e di tensione politica (soprattutto con la vicina Siria).


Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa