Nel Brunei è entrato in vigore il primo maggio la Sharìa, come era stato deciso dal sultano Hassanal Bolkiah.
Radio Vaticana - Dopo l’applicazione nelle contese personali e nel diritto familiare, ora la legge islamica è stata estesa anche al codice penale, che sarà cambiato in tre fasi, con pene che prevedono il carcere, l’amputazione degli arti o la lapidazione. Grande preoccupazione tra i cristiani e le altre minoranze religiose. Al microfono di Elisa Sartarelli, padre Paolo Nicelli, docente di Islamologia e lingua araba presso il Seminario teologico internazionale del Pime: ascolta
R. – La Sharia non è un testo scritto, come codice, così come noi possiamo immaginare il Codice di diritto penale o il Codice di diritto civile. Sono sostanzialmente delle sentenze che vengono formulate alla luce di un confronto sulle fonti, quali il Corano o gli “hadith” che sono i detti del Profeta. Quindi, nel Corano ci sono dei decreti che toccano la vita quotidiana delle persone. La Sharia tende a preservare il diritto di Dio alla fedeltà: la preservazione non ha solo un aspetto spirituale, vi sono anche delle punizioni, ma in termini generali, pur indicando la fustigazione come pena prevista. Di fatto, poi, successivamente, nella storia dell’islam, è successo che i califfi abbiano applicato punizioni più rigide, con lapidazione per la donna e carcerazione per l’uomo: questo, nel caso dell’adulterio.
D. – La legge islamica potrebbe essere applicata anche ai cristiani, se venissero accusati di un crimine che coinvolgesse anche i musulmani. Potrebbero i non-musulmani essere considerati cittadini “di serie B”?
R. – È possibile che vengano considerati cittadini di seconda classe, diciamo “di serie B”, nel momento in cui tutto questo processo di introduzione della Sharia porterebbe a spingere questa comunità cristiana ad essere considerata come una “dhimma”, cioè come una comunità di protetti, così come l’islam prevedeva per quelle comunità non musulmane che, non volendosi convertire all’islam, venivano protette e dovevano pagare una tassa. Nel sud-est asiatico non esiste un’applicazione di questo tipo di discorso. In Malesia, per esempio, le minoranze vengono riconosciute ma non considerate come dei “dhimmi”: quindi, ci potrebbe essere un tentativo di voler considerare, dal punto di vista giuridico, queste comunità come dei “dhimmi”. Ovviamente, queste comunità non vogliono essere considerate come tali, perché altrimenti potrebbero esserci dei casi di discriminazione piuttosto pesanti. È evidente che in un contesto nel quale si vogliano applicare degli istituti della Sharia non soltanto dal punto di vista del diritto civile ma anche del diritto penale, questo potrebbe diventare pericoloso per quei cristiani, buddisti o induisti: parlo delle donne, che sposassero un musulmano. In caso di separazione o in caso di divorzio – che nell’islam viene indicato come ripudio – per motivi di adulterio o di fornicazione verrebbe applicata, appunto, la Sharia, anche se queste persone potrebbero appellarsi alla Corte dello Stato dicendo: io non sono musulmana e in questo senso non avete giurisdizione su di me.
D. – C’è il rischio che la Sharia venga estesa anche in altri Paesi asiatici?
R. – Il tentativo c’è in Indonesia, ad Aceh, la regione del Nord del Sumatra. In Malesia più volte ci sono stati tentativi, soprattutto da parte del partito più tradizionalista, il Pas, ha proposto nelle zone dove è in maggioranza di introdurre degli istituti della Sharia. Però, finora si sono limitati a fare delle proposte, come l’introduzione di alcuni istituti di rito familiare che coprono l’aspetto civile e non penale. Nelle Filippine è stato introdotto un codice, cosiddetto della Sharia, che permetteva alle comunità musulmane di poter regolare i contenziosi relativi al diritto di successione tra coniugi o membri della comunità musulmana, attraverso, appunto, istituti della Sharia. Ma contemplava semplicemente l’istituzione di Corti della Sharia per questioni di diritto civile e non penale. Il fatto che adesso il Brunei Darussalam introduca l’applicazione della Sharia per quanto riguarda il diritto civile e, nello stesso tempo, lo estenda anche al diritto penale, è qualcosa di estremamente preoccupante.
Radio Vaticana - Dopo l’applicazione nelle contese personali e nel diritto familiare, ora la legge islamica è stata estesa anche al codice penale, che sarà cambiato in tre fasi, con pene che prevedono il carcere, l’amputazione degli arti o la lapidazione. Grande preoccupazione tra i cristiani e le altre minoranze religiose. Al microfono di Elisa Sartarelli, padre Paolo Nicelli, docente di Islamologia e lingua araba presso il Seminario teologico internazionale del Pime: ascolta
R. – La Sharia non è un testo scritto, come codice, così come noi possiamo immaginare il Codice di diritto penale o il Codice di diritto civile. Sono sostanzialmente delle sentenze che vengono formulate alla luce di un confronto sulle fonti, quali il Corano o gli “hadith” che sono i detti del Profeta. Quindi, nel Corano ci sono dei decreti che toccano la vita quotidiana delle persone. La Sharia tende a preservare il diritto di Dio alla fedeltà: la preservazione non ha solo un aspetto spirituale, vi sono anche delle punizioni, ma in termini generali, pur indicando la fustigazione come pena prevista. Di fatto, poi, successivamente, nella storia dell’islam, è successo che i califfi abbiano applicato punizioni più rigide, con lapidazione per la donna e carcerazione per l’uomo: questo, nel caso dell’adulterio.
D. – La legge islamica potrebbe essere applicata anche ai cristiani, se venissero accusati di un crimine che coinvolgesse anche i musulmani. Potrebbero i non-musulmani essere considerati cittadini “di serie B”?
R. – È possibile che vengano considerati cittadini di seconda classe, diciamo “di serie B”, nel momento in cui tutto questo processo di introduzione della Sharia porterebbe a spingere questa comunità cristiana ad essere considerata come una “dhimma”, cioè come una comunità di protetti, così come l’islam prevedeva per quelle comunità non musulmane che, non volendosi convertire all’islam, venivano protette e dovevano pagare una tassa. Nel sud-est asiatico non esiste un’applicazione di questo tipo di discorso. In Malesia, per esempio, le minoranze vengono riconosciute ma non considerate come dei “dhimmi”: quindi, ci potrebbe essere un tentativo di voler considerare, dal punto di vista giuridico, queste comunità come dei “dhimmi”. Ovviamente, queste comunità non vogliono essere considerate come tali, perché altrimenti potrebbero esserci dei casi di discriminazione piuttosto pesanti. È evidente che in un contesto nel quale si vogliano applicare degli istituti della Sharia non soltanto dal punto di vista del diritto civile ma anche del diritto penale, questo potrebbe diventare pericoloso per quei cristiani, buddisti o induisti: parlo delle donne, che sposassero un musulmano. In caso di separazione o in caso di divorzio – che nell’islam viene indicato come ripudio – per motivi di adulterio o di fornicazione verrebbe applicata, appunto, la Sharia, anche se queste persone potrebbero appellarsi alla Corte dello Stato dicendo: io non sono musulmana e in questo senso non avete giurisdizione su di me.
D. – C’è il rischio che la Sharia venga estesa anche in altri Paesi asiatici?
R. – Il tentativo c’è in Indonesia, ad Aceh, la regione del Nord del Sumatra. In Malesia più volte ci sono stati tentativi, soprattutto da parte del partito più tradizionalista, il Pas, ha proposto nelle zone dove è in maggioranza di introdurre degli istituti della Sharia. Però, finora si sono limitati a fare delle proposte, come l’introduzione di alcuni istituti di rito familiare che coprono l’aspetto civile e non penale. Nelle Filippine è stato introdotto un codice, cosiddetto della Sharia, che permetteva alle comunità musulmane di poter regolare i contenziosi relativi al diritto di successione tra coniugi o membri della comunità musulmana, attraverso, appunto, istituti della Sharia. Ma contemplava semplicemente l’istituzione di Corti della Sharia per questioni di diritto civile e non penale. Il fatto che adesso il Brunei Darussalam introduca l’applicazione della Sharia per quanto riguarda il diritto civile e, nello stesso tempo, lo estenda anche al diritto penale, è qualcosa di estremamente preoccupante.
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