mercoledì, maggio 14, 2014
Clima teso tra Ue e Italia in tema di immigrazione. Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha definito “tra il provocatorio e il ridicolo” le dichiarazioni del portavoce del Commissario Malstrom che aveva chiesto all’Italia indicazioni più concrete sull’emergenza.

Radio Vaticana - Sono 17 i cadaveri recuperati dalla Marina dopo il naufragio del barcone carico di migranti affondato ieri a 40 miglia dalla Libia. Alessandro Guarasci: ascolta
L’Italia che chiede alla Ue di fare di più e Bruxelles che nega responsabilità. Il battibecco che va avanti da almeno un mese si è riproposto anche oggi. Il portavoce della Commissaria Cecilia Malmstrom, Michele Cercone, ha parlato di una lettera - spedita "in marzo al governo italiano" ma rimasta "senza risposta" - in cui si chiedevano "indicazioni concrete" su cosa Bruxelles avrebbe potuto fare in più rispetto a quanto già messo in campo per l’emergenza immigrazione. Immediata la replica del ministro dell'Interno, Angelino Alfano: "ci sono quattro indicazioni precise che noi abbiamo sempre dato in tutti i contesti – ha detto Alfano – Dunque: assistenza umanitaria in Africa, Europa direttamente coinvolta nel soccorso in mare, sede di Frontex in Italia, diritto d'asilo non limitato al Paese di primo ingresso”. Alfano ha definito la presa di posizione della Ue tra “il provocatorio e il ridicolo”, accusando la Ue di fare “scaricabarile”. L’ultima tragedia del mare, ieri a largo della Libia dove si è ribaltato un barcone: Oltre ai 17 corpi recuperati, 200 profughi tratti in salvo, mentre nella zona proseguono le ricerche di eventuali dispersi. Oggi altre 295 persone sono state soccorse dall'operazione Mare Nostrum nel Canale di Sicilia.

La richiesta di sostegno da parte dell'Europa arriva anche da chi quotidianamente lavora al fianco degli immigrati che inoltre sollecita l'apertura di canali umanitari. Lo ripete Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana. Fabio Colagrande lo ha intervistato ascolta :

R. – Io direi che non sia tanto "Mare Nostrum" ciò che va messo sul banco degli imputati, quanto invece il fatto di non avere messo in campo, a livello europeo, un intervento congiunto su un fenomeno che sta dimostrando una capacità, in termini di spinta e di numeri, come forse mai prima nel passato. "Mare Nostrum" è certamente un dispositivo importante, che auspichiamo rimanga anche nei prossimi mesi e che ha permesso fino a oggi di salvare la vita a migliaia di persone, ma è chiaro che non può essere l’unico dispositivo. Noi crediamo sia necessario, in questa fase storica, decidere veramente cosa l’Europa abbia intenzione di fare, rispetto alle centinaia di migliaia di persone che stanno fuggendo dai loro Paesi e che cercano protezione nello spazio europeo.

D. – La Croce Rossa, il Centro Astalli, voi della Caritas, tutti questi organismi che si occupano d’immigrazione sembra siano d’accordo sul fatto che serva creare dei canali umanitari. Cosa significa in concreto?

R. – Canali umanitari significa decidere se queste persone invece di arrivare sul nostro territorio – quindi in Europa, nei modi che noi conosciamo, e quindi con tutti i rischi connessi – potranno arrivare in modo più sicuro, visto che comunque giungeranno. Noi dobbiamo acquisire la consapevolezza che queste persone, in un modo o in un altro, raggiungeranno il nostro territorio, perché chiedono protezione. Allora, l’Europa capisca fino in fondo se c’è la necessità e la voglia di fare in modo che queste persone arrivino in sicurezza. Canale umanitario, quindi, significa visti umanitari, significa fare in modo che nei Paesi di origine e di transito si trovino quelle formule in grado di far giungere donne e bambini innanzitutto in maniera sicura, evitando loro di rischiare la pelle, perché questo accade, in Italia come in Grecia. Aprire, quindi, canali umanitari significa anzitutto fare delle scelte politiche precise e noi stiamo aspettando questo. D. – Sul Messaggero c’è un articolo, oggi, dove si racconta che la strada del Marocco è vietata ai migranti per la dura reazione della Guardia Civile spagnola, nella famosa enclave di Ceuta e Melilla. Insomma, questo articolo ci fa pensare che se ci fosse una linea dura anche all’altezza di Lampedusa, questi flussi diminuirebbero. Un suo commento... R. – Non credo proprio. Anche perché i trafficanti, e i migranti stessi, hanno una capacità di ridefinirsi nel progetto e nelle rotte migratorie, che a volte stupisce e negli anni ci è stato dimostrato. Quando ci fu la triste stagione dei respingimenti in mare, portati avanti dal nostro governo, e per questo successivamente condannato dalla Corte Europea dei diritti umani, i migranti comunque cambiarono rotte, che si fecero più lunghe e più pericolose, passando attraverso la Turchia e la Grecia. Io quindi continuo a dire, e ormai sono diversi anni, che la spinta verso condizioni di vita migliori, così come la fuga da guerre e carestie, sono così forti, che chiaramente nessun dispositivo, sia esso legislativo sia esso anche di polizia e di controllo delle frontiere, sarà mai sufficiente. Almeno, questo è quello che abbiamo visto in questi anni. E non è una considerazione di merito, è semplicemente una constatazione. Per cui, quello che avviene in Spagna chiaramente intristisce, perché un governo come quello spagnolo dovrebbe prendere coscienza, come ha fatto il nostro, di quello che sta accadendo in Africa e quindi intervenire di conseguenza. Non lo sta facendo, speriamo che l’Europa intervenga, per mettere fine appunto a pratiche che chiaramente vanno contro innanzitutto i diritti umani.

D. – C’è chi dice anche che le "primavere arabe" nel Nord dell’Africa abbiano reso impossibile trattare con i governi locali e in qualche modo limitare le partenze, come ad esempio in Libia. E’ un altro dato realistico questo?

R. – Sicuramente, le condizioni in cui si trova attualmente la Libia non favoriscono alcun tipo di accordo che, però, chiaramente, come avvenuto in passato, serviva semplicemente a trattenere queste persone in un Paese dove i diritti umani non venivano e non vengono rispettati. Quindi sapere che queste persone non arrivano in Italia e quindi in Europa, ma sono incarcerate, perché di questo si tratta, dentro prigioni libiche, con tutto quello accade, perché sappiamo degli stupri verso le donne eritree o di altra nazionalità, questo non mi tranquillizza assolutamente. Quello che io chiedo è che si trovi anche, possibilmente in accordo con questi Paesi, il modo per riconsegnare un futuro decente a queste persone.

Queste morti, si ripete, pesano sulla coscienza di tutti. mons. Domenico Mogavero vescovo di Mazara del Vallo e delegato della Conferenza episcopale siciliana per le migrazioni, al microfono di Gabriella Ceraso:

R. - Credo che stiamo cominciando a diventare insensibili, perché l’unica ragione che ci fa reagire è la quantità, i numeri: se muoino in 40 non ci facciamo più caso, se sono 200 cominciamo a riflettere. Questo è gravissimo, perché significa che abbiamo perso quel senso dell’umano, che ci fa solidali con chi soffre, uno o mille che siano.

D. - Il governo, in queste ore, sta denunciando ancora una volta l’abbandono da parte dell’Europa. E’ questo il punto?

R. - Io credo che una delle preoccupazioni che stanno davanti ai governi in questo momento sia una questione di carattere economico o di ordine pubblico o di sistemazione dell’emergenza. Credo che siamo incapaci di valutare sotto il profilo di una lettura culturale del fenomeno e delineare prospettive che camminino contestualmente alla gestione dell’emergenza: gli sbarchi che continuano ci dicono che i respingimenti non sono sufficienti a fermare l’ondata di migrazioni; che Mare Nostrum può evitare delle tragedie, ma non impedisce la prosecuzione del fenomeno; che tutte le strategie che abbiamo fin qui escogitato, fino alle ingiuri o agli insulti, non sono strumenti adeguati. Allora bisogna ripensare il discorso in altri termini. Abbiamo messo queste persone nelle mani dei trafficanti di uomini e c’è un delitto contro l’umanità, perché queste persone pagano 2-3-5 mila euro per un passaggio in un barcone nelle condizioni miserabili in cui vanno e con il rischio della vita: e tutto questo ci lascia così, quasi freddi ed indifferenti. L’Italia non può fare, davanti all’Europa, la figura di chi domanda soldi per risolvere un problema: l’Italia deve farsi promotrice di una lettura e di una proposta di prospettiva nelle quale tutta l’Europa possa essere impegnata: siccome fin qui abbiamo chiesto soldi, è chiaro che appena apriamo bocca l’Europa dice “Vabbè, se ho i soldi, ti do i soldi, purché taci”. Se invece noi pensiamo altro, se pensiamo cioè che pagando il biglietto di aereo o il biglietto di nave - e quindi con accordo dei Paesi del sud del Mediterraneo - si fa una scelta progettuale di tipo politico, allora probabilmente sul fenomeno qualcosa potremmo fare. Liberalizziamo il mercato: purtroppo siamo arrivati a dirci queste cose, che sono odiose. Ma finché siamo nelle mani di delinquenti che profittano della necessità e del bisogno di chi deve fuggire dal proprio Paese, non abbiamo altre chance.

D. - Quindi lei dice: si faccia il governo italiano portavoce di una proposta onnicomprensiva?

R. - Certo, perché comunque al centro di questa situazione ci siamo noi. Sulle coste del Mediterraneo - che non è il confine sud dell’Europa, è la porta dell’Europa - ci siamo noi: quindi noi siamo i primi responsabili di una diversa visione delle cose e dobbiamo essere i primi formulatori di proposte che siano veramente efficaci nella interpretazione del fenomeno migratorio e nella possibile soluzione, sotto il profilo umanitario e quindi del rispetto dei diritti e delle dignità delle persone, del movimento migratorio stesso.


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