sabato, maggio 17, 2014
In corso la digitalizzazione dell’archivio fotografico realizzato dall’ONU dal ’48 in poi, che si è meritato il riconoscimento dell’Unesco per l’alto valore storico. Ma la “catastrofe” non è mai finita. 

di Chiara Cruciati  

Gerusalemme (NenaNews) - Sessantasei anni di esilio, cominciati nel 1948 e mai realmente terminati. A documentare la catastrofe del popolo palestinese, la Nakba, per evitare che la deportazione di massa e la pulizia etnica di un intero popolo venga dimenticata, ci hanno pensato le Nazioni Unite: 525mila fotografie che raccontano il dramma terribile di 800mila persone, da un giorno all’altro diventate la popolazione rifugiata più ampia del mondo .

Fotografie tanto crude e amare che anche il quotidiano israeliano Haaretz non ha potuto fare a meno di pubblicare sul proprio sito giovedì, anniversario della Nakba palestinese. Il corposo archivio fotografico è stato da poco digitalizzato per evitare di perdere la testimonianza visiva di quanto accadde nel 1948: famiglie intere in fuga dai propri villaggi e dalle proprie terre, camioncini e bus strapieni di valige, di donne e bambini, le lacrime delle madri, i primi campi profughi fatti di tende e gestiti dalle Nazioni Unite e diventati pochi anni dopo strutture permanenti, con case di cemento abbarbicate una sull’altra tra gli stretti vicoli dei 58 campi sparsi in tutto il Medio Oriente.

L’UNRWA, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi creata subito dopo quell’esodo di massa, ha raccolto il materiale che narrasse l’esilio: oltre 430mila pellicole, 10mila foto stampate, 85mila slide, 75 film, 730 videocassette. Un archivio tanto vasto da meritare cinque anni fa l’iscrizione nella Lista della Memoria del Mondo, gestita dall’Unesco, e un milione di dollari di donazioni da Danimarca, Francia e privati palestinesi per realizzare la necessaria digitalizzazione. Ad oggi sono duemila le immagini già digitalizzate e 50 stampe stanno girando da Gerusalemme alla Giordania, dalla Cisgiordania a Beirut nell’ambito della mostra “The Long Journey”.

Un viaggio lungo, che non pare voler terminare presto: Israele non ha alcuna intenzione di mettere sul tavolo del negoziato la questione calda e centrale dei rifugiati palestinesi, che in sei decenni e mezzo hanno superato i sette milioni. Accettare il diritto al ritorno – basilare nella lotta di liberazione della Palestina – significherebbe abbandonare il sogno di creare uno Stato ebraico, in cui la maggioranza della popolazione abbia origini ebree. La fine del sionismo, ad oggi inaccettabile per qualsiasi formazione politica israeliana.

E la Nakba continua: ieri, le manifestazioni organizzate in tutta la Palestina storica si sono nuovamente bagnate di sangue. Due giovani palestinesi, Muhammad Audah Abu al-Thahir, di 22 anni, e Nadim Siyam Nuwarah, di 17, sono stati uccisi davanti al carcere di Ofer dal fuoco israeliano, colpiti al petto mentre manifestavano in solidarietà con i prigionieri politici in sciopero della fame.


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