lunedì, maggio 12, 2014
Botta e risposta Francesco-alunni dei Pontifici collegi di Roma

di Paolo Fucili

Potete studiare quanto vi pare, ma prima che “dottori” sarete sempre “padri”, quando farete ritorno al vostro paese. Perciò occhio all'“accademicismo”, detto con un originale neologismo, curate sì la formazione accademica ma non solo quella. Così è suonato più o meno, schietto ed inequivocabile, uno dei tanti moniti di Francesco oggi alla numerosa e qualificata platea in aula Nervi: seminaristi e sacerdoti dei Pontifici collegi e dei convitti romani, le residenze che ospitano giovani preti o aspiranti tali inviati a Roma da tutto il mondo per studiare nelle università ecclesiastiche della capitale e acquisire competenze da spendere poi nella propria diocesi d'origine, terminato il più o meno lungo soggiorno romano.

Non una platea qualunque, quindi, alla luce pure di un'altra non peregrina considerazione. Quando c'è da nominare un vescovo in giro per l'orbe cattolico, vantare nel proprio curriculum studi compiuti a Roma costituisce di fatto (scorrendo le biografie di tanti novelli zucchetti viola) un titolo piuttosto importante, per i criteri di coloro cui spetta la “selezione” dei candidati.

Di fronte dunque a questa sorta di “vivaio” di quadri dirigenziali della Chiesa, era difficile che Bergoglio si lasciasse sfuggir l'occasione di metterli fin d'ora sul “chi va là”, in risposta ad alcune loro domande. Tutte visionate peraltro in anticipo da Francesco, che pure ha esordito invitando gli interlocutori a formulare altre anche lì sul momento: “non c'è problema, eh? Con tutta libertà!”.

Doveva essere lui semmai, con questa “concessione”, a temere di farsi trovare impreparato. Spontanei o non spontanei che fossero, tutti i sette quesiti di sacerdoti e seminaristi di vari paesi del globo son diventati invece altrettanti assist per Francesco per una “preventiva” lavata di capo che chissà, forse molti di quei sacerdoti ricorderanno a Dio piacendo a lungo fin quando, con qualche anno in più sul groppone, potranno salire qualche gradino della carriera ecclesiastica.

Detto “papale papale”, in risposta proprio ad un interrogativo sulle qualità della “leadership” di un pastore, quel che conta è “il servizio”, altrimenti non c'è qualità che tenga. Già il sempre acuto e calzante sant'Agostino, nel suo De Pastoribus citato nell'occasione, polemizzava coi “pastori affaristi” e i “pastori principi”, secondo l'esegesi di Bergoglio. Perché “il popolo di Dio”, assicura il Papa argentino, “ti perdona tante cose”, bontà sua, persino “scivolate affettive o se bevi un po' troppo vino... ma non ti perdona se sei un pastore attaccato ai soldi, se sei un pastore vanitoso che non tratta bene la gente: perché il vanitoso non tratta bene la gente”. Ecco i gradini che ti fanno fare carriera al contrario, parola di sua Santità: “soldi, vanità e orgoglio: i tre scalini che ci portano a tutti i peccati”.

Altro tema obbligato è stata l'immancabile “nuova evangelizzazione”, il famoso “uscire” che per il Papa “è il nocciolo”, proprio così, della faccenda. Uscire per farsi “vicini”, va da sé, con una vicinanza anche”fisica” alla gente. C'è un metodo pressoché infallibile per capire se un prete “esce” oppure no: le sue omelie, che saranno sicuramente noiose in quest'ultimo caso. E comunque non sono “conferenze”, detto a nuora (i presenti in aula Nervi) perché chissà quante altre suocere (tutti gli altri sacerdoti) intendano: devono durare massimo otto-dieci minuti, parola di un omileta non certo sprovveduto, a giudizio di molti.

Pure di formazione, si era parlato in precedenza, che è come un tavolo con quattro gambe, le elenca Francesco: accademica, comunitaria, spirituale e apostolica. Quanto alla prima, vale l'ammonimento di cui sopra, per non “scivolare sulle ideologie”, una cioé visione astrattamente ideologica della Chiesa e della vita cristiana.

Sul vivere in comunità, secondo “livello” citato del formarsi come sacerdoti, si ricorda la battuta di un santo gesuita, secondo cui si trattasi della “maggiore penitenza”, ma pure quella di un anziano vescovo, citato anch'esso dal Papa, secondo cui “è molto meglio il peggior seminario che il non- seminario”. E questo è vero, nel commento di Francesco, sia nel bene che nel male: invidie, gelosie, lotte di potere e di idee... Non sarà il “paradiso”, semmai un “purgatorio”, il consiglio comunque per Francesco è sempre quello ormai arcinoto ma mai evidentemente scontato di tenere a freno la lingua. “Ma si dice che chiacchierare è cosa di donne: ma anche di maschi, anche di noi!”, è stata quindi l'ammissione che farà felice il gentil sesso. E i preti in particolare, “abbiamo la tentazione di non parlare in faccia, di essere troppo diplomatici, quel linguaggio clericale.... Ma ci fa male! Ci fa male!

Bergoglio peraltro è il tipo che da vescovo di Buenos Aires, come raccontato stamane da lui stesso, scelse di non rimuovere il suo segretario, dopo un confronto non del tutto pacato in cui quel prete giovane, ordinato da poco tempo, non esitò a dire al futuro Papa tutto quello che riteneva di dovergli dire. E così se ne guadagnò la stima: “Questo non lo allontanerò mai dal posto di segretario: questo è un vero fratello!”.

La questione della formazione spirituale, terzo immaginario “capitolo” della conversazione di stamane, verte tutto attorno all'evangelico ammonimento che “dove è il mio cuore è il mio tesoro”. Ecco il senso del suo chiedere ai sacerdoti, da vescovo in Argentina, se finivano o no la giornata con una visita al tabernacolo. Ma noi, il Papa esorta ancora, “dobbiamo essere padroni del nostro cuore”, anche nei momenti di “turbolenza”, li ha chiamati: e prima di andare in quel caso dallo psicologo o dallo psichiatra, meglio “andare sotto il manto della Santa Madre di Dio”, giacché “un prete che si dimentica della madre e soprattutto nei momenti di turbolenza, qualcosa gli manca...”.

Sulla formazione apostolica e l'attitudine ad essere Chiesa “vicina”, che “esce”, vedasi pure il biasimo del Papa quando “si chiama una parrocchia e risponde la segreteria telefonica... Ma come si può essere al servizio del popolo senza neanche sentirlo?”.

Ecco così delineato in sintesi, dopo un'ora abbondante di incontro con sette domande e risposte, un modello decisamente “esigente” di sacerdote, che saprà comunque non prendere troppo sul serio se stesso e la sua condizione di vita, con le sue gioie e le sue sofferenze, se avrà cura di coltivare, come raccomanda l'ultimo consiglio odierno del Papa, l'amicizia tra sacerdoti. “E' una forza di perseveranza, di gioia apostolica, di coraggio e anche... senso dell'umorismo”.


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