martedì, giugno 03, 2014
Tutte le sfumature del giudizio europeo sul Belpaese. 

di Corradino Mineo 

Sole24Ore “Riforme ok, ma fate di più sui conti”. Quasi una carezza. ”L’Europa incalza ancora l’Italia”, Corriere più severo. Repubblica però spiega che noi terremo duro: “l’Italia esclude la manovra bis”. Per il Giornale un nemico (Bruxelles) ammazza l’altro: “L’Europa sgonfia Renzi: più tasse”. A me il documento della Commissione è parso un compitino puntuto ma educato, in cui si spiega allo scolaro che, con l’attuale (bassa) inflazione e la gran massa del debito che si è accumulata negli anni, l’Italia non ce la farà.

Non credo che Renzi si scomponga per questo. Sa che dovrà vedersela con Angela Merkel e Mario Draghi, più che con gli economisti della commissione. Conta sul fatto che Berlino e Francoforte capiscano come il futuro dell’Italia (e della Francia) determinerà anche quello della Germania e dell’euro. Come spiega Fubini su Repubblica, senza fermare il rafforzamento dell’euro e rilanciare la domanda interna e inflazione, il debito dell’Italia (che ha toccato il 135% per PIL) diventerebbe una mina vagante. Prima o poi i grandi creditori dovrebbero accettarne la ristrutturazione, che vuol dire rinunciarci in parte. Non piace a noi né a loro

Sulla Rai si registrano parecchie conversioni. Raffaele Bonanni, dopo averlo indetto, tuona contro lo sciopero. Luigi Gubitosi, che forse lo ha provocato annunciando tagli all’organici, ora dice al Corriere che lui non ha mai incontrato Renzi ma sta con Renzi. È possibile che i 150 milioni da restituire al governo diventino l’occasione per riformare l’azienda di viale Mazzini. Ma come? In fretta (scopriamo da Repubblica che è già all’opera un comitato di saggi) e magari maluccio (Renzi, lo sappiamo, non si cura dei dettagli). Ma ha ragione Giulietti a chiedersi perché non sia stata ancora presentata né una proposta contro il conflitto d’interessi né una per mettere al sicuro la Rai dagli ordini dei partiti. Aggiungo che la riforma dovrebbe partire da una rivoluzione copernicana. Privilegiare le idee (quale identità per le Reti, cosa si vuole da un’informazione del servizio pubblico) e più notizie senza mai approfondire e bacio della pantofola ai politici si può, o si permetterà ai giornalisti di privilegiare il racconto critico, onesto e rischioso, di quel che succede in Italia e fuori d’Italia? E dovrebbe, la riforma, valorizzare il vivaio interno: basta col finto mercato Raiset, con le star che si presentano con il produttore (come nel calcio) e poi star non sono. Riusciranno i nostri eroi?

Il Corriere ci informa che oggi (finalmente!) si incontrano Maria Elena Boschi e Anna Finocchiaro. Pare che la ministra, dopo aver imposto il suo testo (nella famosa riunione della Commissione in cui il governo è andati sotto ed è passato il documento Calderoli) si sia convinta che dovrà cedere sulla composizione del nuovo Senato. Ma il Corriere: “la proposta, sostenuta dalla minoranza del Pd, FI, M5S, Lega e Ncd, che punta all’elezione diretta dei senatori (un listino di candidati a parte, da votare alle consultazioni regionali) che così manterrebbero un legame diretto con i cittadini” è “radicale” e dunque va respinta. La mediazione possibile sarebbe quella proposta da Gotor e fatta sua da Cuperlo: “un sistema di tipo francese: elezione indiretta dei senatori affidata ad una platea molto estesa (alcune decine di migliaia di persone) formata da consiglieri comunali e regionali e deputati nazionali”.

Che devo fare, mettermi a ridere? Ma come si fa a prendere un mediano dalla nazionale francese se a noi serve un centro avanti? Nella Costituzione del 58 tutto gioca intorno all’elezione diretta del Presidente della Repubblica, dominus del governo (ma senza sporcarsi le mani, per quello c’è il primo ministro) e soprattutto garante della Costituzione e dello spirito repubblicano. Un sovrano costituzionale. Però, siccome elezione diretta e doppio turno suscitano, in Francia soprattutto, una dinamica giacobina e parigina, ecco che la Costituzione gollista pensò di offrire una tribuna alla pancia profonda e trascurata del paese, ai piccoli amministratori che non toccano palla nella politica nazionale ma fanno i conti con tanti Asterix locali.

Noi abbiamo, semmai, il problema opposto. Troppe incombenze sono state trasferite alla autonomie in modo confuso. Non a caso il governo voleva centralizzare (riforma della riforma del titolo V) e irretire sindaci e governatori promuovendoli per qualche giorno senatori. Ora però, per non dare ragione a Chiti (e proteggere Berlusconi dalla fronda interna) si pensa di affidare le garanzie costituzionale a un parlamento per metà eletto con legge maggioritaria e partitocratica, per l’altra metà nominato dalla casta degli amministratori.

Ieri, via twitter, Andrea Morzenti mi ha chiesto se considerassi Renzi una risorsa. E alla mia inevitabile risposta “certo che sì” (da tempo scrivo che Renzi sa fare politica, si muove bene nella complessità, cerca di spostare paletti che se restassero rigidi ci chiuderebbero in trappola) Morzenti ha concluso: è ufficiale Mineo è “renziano”. Siamo tutti renziani, lo è quel 40,8% che ha affidato al premier la missione, difficile di svegliare l’Italia e di farla contare. A me però quelli che si dicono renziani, dalla prima ora come dall’ultima, non mi piacciano affatto . Invece di sollecitare un libero confronto delle idee e far bene le riforme del famoso crono programma, costoro prevaricano e poi pasticciano e alla fine mediano. Così avremo la riforma del Senato, della legge elettorale e pure della Rai. Fatte male? Ma che importa, l’importante è scuotere l’albero! Invece importa, perché, come ricorda Rodotà, la Costituzione aveva un suo disegno unitario. Scuotendo l’albero, ognuno alla conquista di una pera, rischiamo di farlo a pezzi, quel disegno.


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