lunedì, luglio 21, 2014
In missione oggi al Cairo il segretario dell’Onu, Ban Ki-moon, e il segretario di Stato Usa, Jonh Kerry, in cerca di un accordo per un cessate il fuoco a Gaza.  

Radio Vaticana - Intanto è stata convocata per mercoledì una riunione straordinaria del Consiglio Onu  per i diritti umani dedicata alla crisi. E all’indomani della giornata più sanguinosa dall’inizio dell’operazione israeliana, il bilancio delle vittime è salito a 509 morti e oltre 3000 feriti sul fronte palestinese e a 20 morti, fra cui 18 soldati, in campo israeliano. Oggi è stato centrato dai bombardamenti anche un ospedale a Gaza: almeno 5 i morti. Il premier israeliano Netanyahu ha affermato con decisione: "continueremo fino alla fine". Il servizio di Marco Guerra: ascolta

Mediare con la diplomazia egiziana e degli altri Paesi della regione interessati a fermare l’escalation delle violenze a Gaza. È quanto cercheranno di fare al Cairo il segretario dell’Onu, Ban Ki-moon, e il segretario di Stato Usa, Jonh Kerry, con quest’ultimo che, in un fuori onda televisivo, ha mostrato molta irritazione per i bombardamenti israeliani. E dal dipartimento di Stato Usa non nascondono infatti la preoccupazione per un'ulteriore recrudescenza del conflitto: “Riteniamo debba esserci un cessate il fuoco il prima possibile, che ripristini l'accordo del novembre 2012”, ha insistito un portavoce di Washington. L’Egitto dal canto suo ha chiesto e ottenuto, per conto del Gruppo dei Paesi arabi, che mercoledì si riunisca il Consiglio dei diritti umani dell’Onu sulla situazione a Gaza. Intanto sul terreno proseguono le operazioni militari israeliane all’indomani del giorno più violento del conflitto, che ha visto 130 morti palestinesi e 13 israeliani. Non cessa anche il lancio di missili dalla Striscia su Israele: due quelli intercettati dal sistema di difesa dello Stato ebraico. E il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha garantito il sostegno del gruppo sciita libanese alla lotta di Hamas contro Israele.

Nel pieno delle violenze, ieri ha avuto vasta eco l’appello alla pace e al dialogo lanciato dal Papa all’Angelus. Parole commentate ai nostri microfoni dal nunzio in Israele e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina, mons. Giuseppe Lazzarotto: ascolta

R. - Le parole del Santo Padre hanno avuto una grande eco qui e sono state riprese da tutti i mezzi di comunicazione ufficiali, sia la carta stampata come anche le radio e le varie emittenti. Tutti hanno rilanciato l’appello del Santo Padre. E’ quello che qui tutti ci auguriamo perché la situazione sta diventando veramente tragica: c’è una perdita di vite umane che non è accettabile, bisogna metter fine alla violenza perché così si creano altre situazioni di conflitto, si aprono nuove ferite che produrranno ancora morte. È urgente che quei responsabili capiscano che non c’è altra strada che quella del dialogo e del negoziato; le parti in causa devono essere aiutate e devono essere portate ad un tavolo di negoziato.

D. - La preghiera in Vaticano con Peres e Abbas e i vari appelli: il Papa sta ponendo la massima attenzione sulla situazione in Medio Oriente…

R. - La preghiera in Vaticano, il gesto del Santo Padre di invitare i due presidenti e la sua telefonata proprio a loro di qualche giorno fa, vanno tutte verso la stessa direzione che è quella di seminare. Quella che il Santo Padre ha fatto è una semina. Adesso, bisogna circondare questo seme di attenzioni, farlo crescere e far riprodurre i frutti che dovrebbe dare; capire il senso del gesto del Papa e tradurlo in azioni concrete come il Santo Padre sta chiedendo continuamente. Ci vogliono gesti concreti e coraggiosi, il Papa l’ha sottolineato tante volte: la pace ha bisogno di gesti coraggiosi. È ora che i responsabili politici di tutte le parti lo capiscano e si muovano in questa direzione.

D. - Come stanno vivendo israeliani e palestinesi… Qual è la sensazione, dopo molti giorni di escalation militare?

R. - Le persone sono stanche perché è una situazione che dura da troppo tempo. Questi fenomeni ricorrenti di conflitto creano naturalmente altra frustrazione, ma la maggior parte delle persone vuole la pace.

D. - La Chiesa di Terra Santa può giocare un ruolo decisivo per riavvicinare le parti?

R. - La Chiesa in Terra Santa fa tutto quello che è possibile fare: ci si muove con i mezzi che abbiamo a disposizione; adesso, si sta pensando anche a qualche iniziativa della Caritas per portare un aiuto immediato a queste popolazioni che sono direttamente colpite; si sta pensando a gesti concreti. Io vorrei cogliere qui l’occasione per accennare anche al fatto che molti pellegrini hanno cancellato il loro viaggio, il loro pellegrinaggio: però dico che venire in Terra Santa è anche un bel gesto di solidarietà. Aiuta sapere che altri cristiani - nonostante tutto - vengono qui.


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