mercoledì, luglio 09, 2014
Occupato un ex magazzino di missili sarin. Onu e Stati Uniti: “Nessun pericolo, troppo vecchi per funzionare”. La comunità sunnita irachena chiede il federalismo e la cacciata di Maliki. 

di Chiara Cruciati

NenaNews - Il governo di Baghdad lancia l’allarme: i miliziani dell’Isil hanno assunto il controllo di un vecchio magazzino di armi chimiche a nord ovest della capitale, a Muthanna. I jihadisti hanno preso i bunker 13 e 41 nel complesso, grande quasi 50 km. All’interno almeno 2.500 missili pieni di gas sarin. Ad annunciarlo è stato l’ambasciatore iracheno alle Nazioni Unite, Mohamed Ali Alhakim, che ha contattato direttamente il segretario generale Ban Ki-moon.

Nel bunker 13 sono stipati 2.500 missili di 122 mm, prodotti e riempiti di sarin prima del 1991, e circa 180 tonnellate di cianuro di sodio, agente altamente tossico utilizzato per produrre il tabun. Secondo l’Onu il bunker fu bombardato durante la prima guerra del Golfo, nel febbraio 1991, e i missili sarebbero stati parzialmente danneggiati. In ogni caso le munizioni al sarin sarebbero state di cattiva qualità e ampiamente danneggiate nel corso degli anni. Il bunker 41 contiene invece 2.000 missili di artiglieria vuoti e materiali da costruzione contaminati. Dopo la guerra, gli ispettori delle Nazioni Unite si recarono a Muthanna per distruggere gli impianti di produzione e smaltire le armi chimiche, per ripartire poco prima l’invasione statunitense del 2003.

Poco allarmati appaiono anche gli Stati Uniti secono i quali le armi in questione non sono intatte e sarebbe difficile per gli islamisti utilizzarle a fini militari. Minaccia concreta o meno, la presa dell’ex magazzino militare è l’ennesimo esempio delle capacità dell’Isil che continua ad avanzare e si avvicina pericolosamente alla capitale irachena. È anche l’esempio delle mancanze del governo Maliki che, come ha sottolineato lo stesso ambasciatore, “è stato incapace di rispettare gli obblighi di distruggere gli arsenali chimici” a causa del deteriorarsi della situazione.

Insomma, Baghdad non è in grado di fermare l’Isil, che quindi intervenga l’Onu. Questo il contenuto della lettera della rappresentanza irachena al Palazzo di Vetro. Un’ammissione che Maliki dovrebbe tenere in considerazione e accettare di farsi da parte per permettere un accordo politico tra le diverse fazioni irachene. Ieri sono intervenute anche le tribù sunnite che hanno chiaramente espresso il loro sentimento verso il potere centrale: discriminate e escluse dalla vita politica e economica del paese per anni, oggi molte delle comunità sunnite irachene sostengono l’avanzata dell’Isil, nell’intenzione di usare i jhadisti per riprendere il controllo dell’Iraq e poi liberarsene.

“Non c’è via di uscita – ha detto Najih al-Mizan, leader della tribù Albu-Rahman, a nord di Samarra, nella provincia di Salah-a-din – Formeremo il nostro territorio federale sulla base della costituzione irachena”. Ovvero, una regione autonoma da Baghdad all’interno di un Iraq unito. Fino a quando Maliki resterà premier, i sunniti non arretreranno: questo il messaggio della comunità che, oltre alla rimozione del primo ministro, punta alla creazione di un sistema giudiziario autonomo, ad un governo tecnico di emergenza e allo smantellamento delle milizie sciite, spiega al-Mizan.

Una protesta che arriva da lontano e che era esplosa con forza alla fine dello scorso anno quando gruppi sunniti organizzarono campi di protesta nella città di Ramadi, nella provincia di Anbar. Inizialmente Maliki reagì con una dura repressione delle proteste, arresti di leader e del ministro delle Finanze al-Issawi. Alle manifestazioni sunnite si aggiunse però la prima offensiva dell’Isil che a dicembre occupò Fallujah e Ramadi, primo passo verso l’avanzata di giugno.


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