Sulle pagine del britannico Telegraph di oggi 16 agosto, il giornalista inglese Ambrose Evans-Pritchard lancia un consiglio al nostro capo del Governo, Matteo Renzi: “ Per tener fede alla promessa di un nuovo Risorgimento italiano, è necessario che torniate alla lira e scommetterci sopra.
Questo è l’unico modo per riuscirci.” Poi continua affermando che sia fatto incontrovertibile che i 14 anni di disastro italiano coincidano con l’adesione alla moneta unica. Ora, che il giornalista sia noto quale esponente di quella formazione politica inglese che avversa l’euro è un dato di fatto ma che tutto il nostro sprofondare da una crisi all’altra che ci ha condotto a volte, sull’orlo di quel famoso baratro, sia iniziato giusto con l’entrata in vigore dell’euro sta sotto gli occhi di tutti . Chi scrive non è antieuropeista per partito preso ma pensa che questa Europa esista solo sulla cartina geografica: se pensiamo solamente al disinteresse del fenomeno migratorio che investe massicciamente il nostro Paese quasi fra l’indifferenza di altri stati, non pare esista una solidarietà europea. Ma questo è solo un esempio. Altri stanno sotto gli occhi di tutti noi italiani. Inutile enumerarli uno per uno. In effetti, quattordici anni fa, all’entrata in vigore della moneta unica ci eravamo accorti che il nostro denaro si era svalutato del cinquanta per cento o giù di lì. Ridotto potere di acquisto: in soldoni, un pacchetto di sigarette nazionali, da un giorno all’altro costava il doppio. Ma i salari non si erano raddoppiati. Uno prendeva un milione di stipendio? Ora solo circa cinquecento euro. E che ci acquistavi? Questo minuscolo esempio è estendibile a tutti gli altri. Eppoi si dice la contrazione dei consumi!
A lungo andare sono sorti spontaneamente partiti anti euro, da Grillo alla Lega. Partiti a base popolare, un popolo che non ce la fa davvero più. Prendete in esame i dati statistici e tirate le somme. Se si ha la sfortuna di avere una partita iva, “bancomat per le casse dello stato” l’hanno giustamente definita , nonostante il lavoro latiti e manchino gli introiti, si deve solo e sempre pagare. Una volta, quindici anni or sono, ricordo che la musica era diversa. Non si nuotava nell’oro ma la vita correva su binari assai più tranquilli. Insomma, si stava meglio quando si stava peggio. O no? I gufi? Magari un tantino di ragione l’hanno anche loro.
Questo è l’unico modo per riuscirci.” Poi continua affermando che sia fatto incontrovertibile che i 14 anni di disastro italiano coincidano con l’adesione alla moneta unica. Ora, che il giornalista sia noto quale esponente di quella formazione politica inglese che avversa l’euro è un dato di fatto ma che tutto il nostro sprofondare da una crisi all’altra che ci ha condotto a volte, sull’orlo di quel famoso baratro, sia iniziato giusto con l’entrata in vigore dell’euro sta sotto gli occhi di tutti . Chi scrive non è antieuropeista per partito preso ma pensa che questa Europa esista solo sulla cartina geografica: se pensiamo solamente al disinteresse del fenomeno migratorio che investe massicciamente il nostro Paese quasi fra l’indifferenza di altri stati, non pare esista una solidarietà europea. Ma questo è solo un esempio. Altri stanno sotto gli occhi di tutti noi italiani. Inutile enumerarli uno per uno. In effetti, quattordici anni fa, all’entrata in vigore della moneta unica ci eravamo accorti che il nostro denaro si era svalutato del cinquanta per cento o giù di lì. Ridotto potere di acquisto: in soldoni, un pacchetto di sigarette nazionali, da un giorno all’altro costava il doppio. Ma i salari non si erano raddoppiati. Uno prendeva un milione di stipendio? Ora solo circa cinquecento euro. E che ci acquistavi? Questo minuscolo esempio è estendibile a tutti gli altri. Eppoi si dice la contrazione dei consumi!
A lungo andare sono sorti spontaneamente partiti anti euro, da Grillo alla Lega. Partiti a base popolare, un popolo che non ce la fa davvero più. Prendete in esame i dati statistici e tirate le somme. Se si ha la sfortuna di avere una partita iva, “bancomat per le casse dello stato” l’hanno giustamente definita , nonostante il lavoro latiti e manchino gli introiti, si deve solo e sempre pagare. Una volta, quindici anni or sono, ricordo che la musica era diversa. Non si nuotava nell’oro ma la vita correva su binari assai più tranquilli. Insomma, si stava meglio quando si stava peggio. O no? I gufi? Magari un tantino di ragione l’hanno anche loro.
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