L’agenda di Papa Francesco in Corea - L’Asia accoglie un Papa dopo 15 anni
Sarà pure il continente meno cattolico del globo, per le statistiche dei competenti uffici vaticani; ma per la geografia rimane il più esteso e popoloso dei cinque, dove peraltro le sparute greggi di fedeli di Santa Romana Chiesa son capaci di slanci così energici, nella quotidiana vita di fede, che altrove manco se li sognano. E da ben 15 anni (1999, Wojtyla in India), attendono che un Pontefice oltrepassi il Medioriente in direzione est, verso il lontano oceano pacifico; un tempo cospicuo, decisamente, nell’epoca attuale dei papi “viaggiatori” .
Ecco perché “in Asia si deve andare”, commentò un anno fa Francesco, sul volo del ritorno a Roma dalla Giornata mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, impegno ereditato “d’ufficio” dall’agenda di Benedetto XVI. Poi fu la volta di Giordania, Israele e Palestina, a maggio, sulle orme di Montini, Wojtyla e Ratzinger, per commemorare appunto l’anniversario numero 50 del viaggio di Paolo VI in Terrasanta per lo storico abbraccia col patriarca ortodosso Atenagora.
Al netto di consuetudini da rispettare (la presenza “fissa” del Papa alla GMG), anniversari da onorare (vedi sopra), mète (la Terrasanta) dove una visita papale è un impegno ormai quasi inderogabile, la Corea del Sud può dirsi davvero il primo paese in cui Francesco va (e pure con personale sforzo, è facile immaginare) per scelta del tutto propria o quasi, da oogi 13 agosto al 18. E fatta salva la breve visita in Albania il 21 settembre, sarà ancora l’oriente, Filippine e Sri Lanka, la destinazione del prossimo e già annunciato viaggio a gennaio 2015.
Curioso è infatti che della “Giornata della Gioventù asiatica” (sorta di piccola GMG “continentale”, pare) pochi sapessero finché la sesta di esse, in programma a Daejeon, non è divenuta il motivo “ufficiale” della terza trasferta di Francesco fuori d’Italia, come l’hanno “rubricato” i media “ufficiali” della Santa Sede. Incontrare i giovani d’Asia, ecco il primo intento di papa Bergoglio.
Si parla già di arrivi da ben 23 nazioni, anche se il contingente più folto sarà quello, naturalmente, dei coreani ospitanti, figli di una chiesa-caso forse più unico che raro, nel panorama mondiale. I suoi cinque milioni di fedeli rappresentano un modesto 10% circa dell’intera popolazione. Ma il cattolicesimo gode di un “indice di fiducia”, tra i coreani in genere, oltre il 70%. E soprattutto cresce (per la statistica, ma solo) al vigoroso ritmo del 2% annuo, per numero di battezzati (tra cui tantissimi adulti convertiti).
Alla sete di spiritualità cui evidentemente il Vangelo dà risposte più profonde ed autentiche di altre, si contrappone lo spirito materialista ed edonista della mentalità diffusa, letteralmente soggiogata, denunciano molte voci, da idoli come denaro, carriera, successo, bellezza (vedi le statistiche curiosamente altissime del ricorso alla chirurgia plastica) e benessere individuale, in una società dove la competizione è feroce (a scuola, all’università, negli ambienti di lavoro) e la solidarietà rimane parola vuota. E la crisi demografica all’orizzonte, simile a quella di gran parte del nostro vecchio Occidente, è la spia più allarmante del dilagante individualismo dello stile di vita.
Ecco perché la “chiamata fondamentale” che il Papa rivolgerà ai giovani di Corea e delle altre “rampanti” “tigri” asiatiche sarà a “diventare evangelizzatori dei loro coetanei”, riferisce oggi all’Osservatore romano il Segretario di Stato card. Parolin, per “non lasciarsi abbagliare dai valori effimeri delle nostre società”.
Altro proposito dell’illustre ospite è onorare l’ignota quanto eroica storia di “martirio” che l’ancor giovane (eppur ben temprata) chiesa coreana ha alle spalle: almeno 100 anni di feroci persecuzioni, in 230 di vita (dal battesimo del primo coreano “ufficialmente” convertito, Pietro Yi Seung-hun, 1784). Nell’agenda papale spicca non a caso il 16, a Seoul, la beatificazione di 124 martiri, Paul Yun Ji-Chung e compagni, di epoca ancora anteriore in qualche caso a quella dei 103 già canonizzati sempre là da Giovanni Paolo II (prima visita di un Papa in Corea e pure prima canonizzazione celebrata fuori Roma).
Ma tra ‘700 e ‘800, calcolano gli storici, il numero di cristiani uccisi va ben oltre le 10.000 unità, tra cui pochissimi sacerdoti e missionari stranieri e un gran numero invece di laici di ogni provenienza ed estrazione sociale; altro “unicum” o quasi del cattolicesimo coreano, l’esser nato e cresciuto grazie soprattutto all’opera di uomini e donne, padri e madri di famiglia, che esercitavano le più diverse professioni, “toccati” per grazia di Dio dall’annuncio evangelico di una “fraternità” che sovvertiva dal di dentro (e perciò attirava ostilità) la rigida struttura sociale della Corea dell’epoca, di impronta confuciana. Semmai è la Corea oggi, spiegano le statistiche già citate, ad inviare all’estero (in primis Cina e Mongolia) un contingente non piccolo di missionari, sacerdoti e religiosi.
Scorrendo infine impegni ed appuntamenti del Papa (visita al Presidente della Repubblica e l’incontro con le autorità, visita alla “cittadella” della carità di Kkottongnae, incontro coi vescovi dell’Asia, incontro coi leader delle altre comunità religiose del paese…), una menzione speciale è per la “messa per la pace e la riconciliazione” a Seoul il 18, proprio prima di imbarcarsi sull’aereo per Roma. Terzo, “obbligato” tema non poteva infatti non essere la recente storia di ostilità tra Corea del nord e del sud, dopo la devastante guerra che nel 1953 sancì la divisione in due stati a cavallo del parallelo 38.
Il tempo ha allargato ancora quel fossato, tanto che un’eventuale riunificazione porrebbe problemi enormi, dicono vari osservatori, da affrontare. Il sud (con alle spalle anch’esso una storia di regimi non democratici) ha scalato posizioni su posizioni, in tutte le classifiche mondiali di benessere e sviluppo. Al nord, invece, Pyongyang è oggi la capitale di uno dei più oppressivi regimi del pianeta, nonché un paese alla fame, con a capo una dinastia di leader ridicolmente ossessionati dal culto di se stessi, dove non esiste alcuna forma di libertà personale né religiosa.
Nell 2007 si è aperto il processo per la beatificazione di 36 martiri del comunismo, uccisi tra 1949 e 1952. Oggi si calcola sopravviva un esiguo migliaio di cattolici, senza assistenza pastorale né contatti con l’esterno. Ma nessuno di loro, hanno prontamente avvertito le autorità, verrà al sud ad incontrare Papa Bergoglio. Lui dal canto suo non potrà che pregare, per l’agognata causa della pace (l’arsenale militare di Pjongyang fa paura), implorando il Signore di guardare “con bontà i popoli divisi per motivi storici, politici, economici e religiosi”, recita il messale già diffuso dalla sala stampa vaticana: altro non è previsto, anche se Francesco, rimarcava il portavoce padre Lombardi illustrando alla stampa dettagli e significati del viaggio, “non è nuovo a gesti significativi ed imprevisti”.
Prevista invece fin d’ora e calcolata è la rotta del suo aereo, che sorvolerà sia all’andata che al ritorno la Cina. Non un dettaglio, giacché Pechino impedì ben due volte in passato a Wojtyla diretto in Corea di solcare il suo spazio aereo. E chissà che un giorno, si spera vicino, un Papa diretto in Asia non vi possa anche atterrare.
Sarà pure il continente meno cattolico del globo, per le statistiche dei competenti uffici vaticani; ma per la geografia rimane il più esteso e popoloso dei cinque, dove peraltro le sparute greggi di fedeli di Santa Romana Chiesa son capaci di slanci così energici, nella quotidiana vita di fede, che altrove manco se li sognano. E da ben 15 anni (1999, Wojtyla in India), attendono che un Pontefice oltrepassi il Medioriente in direzione est, verso il lontano oceano pacifico; un tempo cospicuo, decisamente, nell’epoca attuale dei papi “viaggiatori” .
Ecco perché “in Asia si deve andare”, commentò un anno fa Francesco, sul volo del ritorno a Roma dalla Giornata mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, impegno ereditato “d’ufficio” dall’agenda di Benedetto XVI. Poi fu la volta di Giordania, Israele e Palestina, a maggio, sulle orme di Montini, Wojtyla e Ratzinger, per commemorare appunto l’anniversario numero 50 del viaggio di Paolo VI in Terrasanta per lo storico abbraccia col patriarca ortodosso Atenagora.
Al netto di consuetudini da rispettare (la presenza “fissa” del Papa alla GMG), anniversari da onorare (vedi sopra), mète (la Terrasanta) dove una visita papale è un impegno ormai quasi inderogabile, la Corea del Sud può dirsi davvero il primo paese in cui Francesco va (e pure con personale sforzo, è facile immaginare) per scelta del tutto propria o quasi, da oogi 13 agosto al 18. E fatta salva la breve visita in Albania il 21 settembre, sarà ancora l’oriente, Filippine e Sri Lanka, la destinazione del prossimo e già annunciato viaggio a gennaio 2015.
Curioso è infatti che della “Giornata della Gioventù asiatica” (sorta di piccola GMG “continentale”, pare) pochi sapessero finché la sesta di esse, in programma a Daejeon, non è divenuta il motivo “ufficiale” della terza trasferta di Francesco fuori d’Italia, come l’hanno “rubricato” i media “ufficiali” della Santa Sede. Incontrare i giovani d’Asia, ecco il primo intento di papa Bergoglio.
Si parla già di arrivi da ben 23 nazioni, anche se il contingente più folto sarà quello, naturalmente, dei coreani ospitanti, figli di una chiesa-caso forse più unico che raro, nel panorama mondiale. I suoi cinque milioni di fedeli rappresentano un modesto 10% circa dell’intera popolazione. Ma il cattolicesimo gode di un “indice di fiducia”, tra i coreani in genere, oltre il 70%. E soprattutto cresce (per la statistica, ma solo) al vigoroso ritmo del 2% annuo, per numero di battezzati (tra cui tantissimi adulti convertiti).
Alla sete di spiritualità cui evidentemente il Vangelo dà risposte più profonde ed autentiche di altre, si contrappone lo spirito materialista ed edonista della mentalità diffusa, letteralmente soggiogata, denunciano molte voci, da idoli come denaro, carriera, successo, bellezza (vedi le statistiche curiosamente altissime del ricorso alla chirurgia plastica) e benessere individuale, in una società dove la competizione è feroce (a scuola, all’università, negli ambienti di lavoro) e la solidarietà rimane parola vuota. E la crisi demografica all’orizzonte, simile a quella di gran parte del nostro vecchio Occidente, è la spia più allarmante del dilagante individualismo dello stile di vita.
Ecco perché la “chiamata fondamentale” che il Papa rivolgerà ai giovani di Corea e delle altre “rampanti” “tigri” asiatiche sarà a “diventare evangelizzatori dei loro coetanei”, riferisce oggi all’Osservatore romano il Segretario di Stato card. Parolin, per “non lasciarsi abbagliare dai valori effimeri delle nostre società”.
Altro proposito dell’illustre ospite è onorare l’ignota quanto eroica storia di “martirio” che l’ancor giovane (eppur ben temprata) chiesa coreana ha alle spalle: almeno 100 anni di feroci persecuzioni, in 230 di vita (dal battesimo del primo coreano “ufficialmente” convertito, Pietro Yi Seung-hun, 1784). Nell’agenda papale spicca non a caso il 16, a Seoul, la beatificazione di 124 martiri, Paul Yun Ji-Chung e compagni, di epoca ancora anteriore in qualche caso a quella dei 103 già canonizzati sempre là da Giovanni Paolo II (prima visita di un Papa in Corea e pure prima canonizzazione celebrata fuori Roma).
Ma tra ‘700 e ‘800, calcolano gli storici, il numero di cristiani uccisi va ben oltre le 10.000 unità, tra cui pochissimi sacerdoti e missionari stranieri e un gran numero invece di laici di ogni provenienza ed estrazione sociale; altro “unicum” o quasi del cattolicesimo coreano, l’esser nato e cresciuto grazie soprattutto all’opera di uomini e donne, padri e madri di famiglia, che esercitavano le più diverse professioni, “toccati” per grazia di Dio dall’annuncio evangelico di una “fraternità” che sovvertiva dal di dentro (e perciò attirava ostilità) la rigida struttura sociale della Corea dell’epoca, di impronta confuciana. Semmai è la Corea oggi, spiegano le statistiche già citate, ad inviare all’estero (in primis Cina e Mongolia) un contingente non piccolo di missionari, sacerdoti e religiosi.
Scorrendo infine impegni ed appuntamenti del Papa (visita al Presidente della Repubblica e l’incontro con le autorità, visita alla “cittadella” della carità di Kkottongnae, incontro coi vescovi dell’Asia, incontro coi leader delle altre comunità religiose del paese…), una menzione speciale è per la “messa per la pace e la riconciliazione” a Seoul il 18, proprio prima di imbarcarsi sull’aereo per Roma. Terzo, “obbligato” tema non poteva infatti non essere la recente storia di ostilità tra Corea del nord e del sud, dopo la devastante guerra che nel 1953 sancì la divisione in due stati a cavallo del parallelo 38.
Il tempo ha allargato ancora quel fossato, tanto che un’eventuale riunificazione porrebbe problemi enormi, dicono vari osservatori, da affrontare. Il sud (con alle spalle anch’esso una storia di regimi non democratici) ha scalato posizioni su posizioni, in tutte le classifiche mondiali di benessere e sviluppo. Al nord, invece, Pyongyang è oggi la capitale di uno dei più oppressivi regimi del pianeta, nonché un paese alla fame, con a capo una dinastia di leader ridicolmente ossessionati dal culto di se stessi, dove non esiste alcuna forma di libertà personale né religiosa.
Nell 2007 si è aperto il processo per la beatificazione di 36 martiri del comunismo, uccisi tra 1949 e 1952. Oggi si calcola sopravviva un esiguo migliaio di cattolici, senza assistenza pastorale né contatti con l’esterno. Ma nessuno di loro, hanno prontamente avvertito le autorità, verrà al sud ad incontrare Papa Bergoglio. Lui dal canto suo non potrà che pregare, per l’agognata causa della pace (l’arsenale militare di Pjongyang fa paura), implorando il Signore di guardare “con bontà i popoli divisi per motivi storici, politici, economici e religiosi”, recita il messale già diffuso dalla sala stampa vaticana: altro non è previsto, anche se Francesco, rimarcava il portavoce padre Lombardi illustrando alla stampa dettagli e significati del viaggio, “non è nuovo a gesti significativi ed imprevisti”.
Prevista invece fin d’ora e calcolata è la rotta del suo aereo, che sorvolerà sia all’andata che al ritorno la Cina. Non un dettaglio, giacché Pechino impedì ben due volte in passato a Wojtyla diretto in Corea di solcare il suo spazio aereo. E chissà che un giorno, si spera vicino, un Papa diretto in Asia non vi possa anche atterrare.
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